Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20276 del 25/09/2020

Cassazione civile sez. I, 25/09/2020, (ud. 15/07/2020, dep. 25/09/2020), n.20276

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. TRICOMI Laura – rel. Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9965/2019 proposto da:

A.M., domiciliato in Roma, Via Circumvallazione Clodia n.

88, presso lo studio dell’Avvocato Giovanni Arilli e rappresentato e

difeso dall’Avvocato Carla Pennetta, giusta procura in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in Roma Via dei Portoghesi 12 presso

l’Avvocatura Generale Dello Stato, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

Avverso la sentenza n. 683/2018 della CORTE DI APPELLO di PERUGIA,

depositata il 13/09/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

15/07/2020 dal cons. Dott. TRICOMI LAURA;

 

Fatto

RITENUTO

CHE:

A.M., nato in (OMISSIS), con ricorso D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35 aveva impugnato dinanzi il Tribunale di Perugia, con esito sfavorevole, il provvedimento di diniego adottato della Commissione Territoriale in merito alla domanda di riconoscimento della protezione internazionale ed umanitaria; la decisione è stata confermata con la sentenza di appello oggi impugnata.

Il ricorrente aveva narrato di essere fuggito dal proprio Paese perchè a seguito del conflitto insorto con una persona del villaggio che voleva acquistare i terreni di famiglia, vi era stata una sparatoria ed il fratello era stato ucciso; la polizia aveva chiuso la vicenda inscrivendola, invece, nel conflitto tra sunniti e sciiti, denunciando lo stesso ricorrente, quale appartenete alla comunità sunnita.

La Corte territoriale ha affermato che, pur prescindendo dalla genericità del racconto, l’allontanamento dal (OMISSIS) del ricorrente andava ascritto a vicende dallo stesso ricondotte a questioni strettamente personali, conseguenti a contrasti tra famiglie che esulavano dalla protezione internazionale.

Ha, quindi, escluso la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato osservando che il ricorrente non aveva esposto il timore di persecuzioni; in merito alla protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c) ha rimarcato che il ricorrente non aveva dedotto una situazione di violenza indiscriminata in situazione di conflitto armato nel Paese di provenienza a fondamento della originaria richiesta; infine, ha negato la protezione umanitaria, non avendo il ricorrente dimostrato la ricorrenza di una situazione personale di vulnerabilità specifica.

Avverso detta sentenza il richiedente propone ricorso per cassazione con quattro mezzi.

Il Ministero dell’Interno ha replicato con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1.1. Con il primo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione della Convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951, del Protocollo relativo alla statuto dei rifugiati adottato a New York il 31 gennaio 1967 e della direttiva n. 2004/83/CE del Consiglio del 29/4/2004, lamentando sostanzialmente il mancato assolvimento dell’onere di cooperazione istruttoria da parte del giudice di appello.

1.2. Il motivo è inammissibile perchè non coglie la ratio decidendi e non la censura, oltre che essere generico nella sua formulazione.

Giova rammentare come la proposizione del ricorso in sede giurisdizionale nella materia della protezione internazionale dello straniero non si sottragga all’applicazione del principio di allegazione dei fatti posti a sostegno della domanda, sicchè il ricorrente ha l’onere di indicare i fatti costitutivi del diritto azionato, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli d’ufficio nel giudizio (Cass. n. 19197 del 28/09/2015); pertanto, soltanto quando il cittadino straniero che richieda il riconoscimento della protezione internazionale, abbia adempiuto all’onere di allegare i fatti costitutivi del suo diritto, sorge il potere dovere del giudice di accertare anche d’ufficio la sussistenza deì presupposti per l’applicazione della protezione richiesta (Cass. n. 17069 del 28/06/2018; Cass. n. 3016 del 31/01/2019).

La Corte territoriale ha respinto la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato sulla accertata natura privatistica dei fatti narrati al richiedente, accertamento che non viene censurato, così come non è contestata l’affermazione secondo cui questi non aveva mai fatto riferimento alla paura di persecuzioni nei suoi confronti, nè ad alcun collegamento con la situazione socio-politica del (OMISSIS) quale fonte di possibili ripercussioni negative sulla sua persona (fol. 3 della sent. imp.).

Ne consegue che, accertato da parte dalla Corte territoriale un difetto di allegazione e/o di deduzione in merito ai presupposti della protezione internazionale richiesta, non vi è spazio per dolersi della mancata attivazione del dovere di integrazione probatorio d’ufficio, perchè l’attenuazione del principio dispositivo derivante dalla “cooperazione istruttoria”, cui il giudice del merito è tenuto, non riguarda il versante dell’allegazione, che anzi deve essere adeguatamente circostanziata, bensì quello della prova, con la conseguenza che l’osservanza degli oneri di allegazione si ripercuote sulla verifica della fondatezza della domanda.

2.1. Con il secondo motivo si denuncia la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 in merito al mancato riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari.

2.2. Con il terzo motivo si lamenta l’omesso di fatti decisivi inerenti la richiesta di protezione umanitaria, segnatamente criticando la mancata valutazione comparativa tra il contesto di vita del ricorrente in (OMISSIS), al quale si troverebbe esposto in caso di rimpatrio, e quello in Italia, ove lo stesso è un lavoratore ben integrato.

2.3. I motivi secondo e terzo, da trattarsi congiuntamente per connessione, sono inammissibili.

La Corte territoriale ha respinto la domanda non avendo ravvisato un particolare stato di vulnerabilità del richiedente e nessuna delle censure è focalizzata su tale statuizione.

2.4. Inoltre, quanto al secondo motivo, ove ci si duole della mancata valutazione della situazione socio-politica del (OMISSIS), va osservato che il giudice del gravame – contrariamente a quanto si assume nel motivo (fol. 6 del ricorso) – non argomenta affatto sulla scorta del “processo di stabilizzazione in atto in (OMISSIS)”, ma rimarca che il ricorrente non ha mai dedotto o fatto riferimento alla situazione socio/politica ed a possibili ripercussioni negative su di lui – di guisa che la censura appare fuori centro; il ricorrente, inoltre, non spiega nemmeno se e in che modo avesse eventualmente dedotto davanti al giudice di merito la sussistenza di elementi particolari della situazione socio/politica rilevanti ai fini del diritto alla protezione umanitaria.

2.5. Quanto al mancato riconoscimento dell’integrazione in Italia, la censura, oltre che carente sul piano della specificità, risulta priva di decisività, posto che in assenza di una accertata vulnerabilità, non è possibile procedere al riconoscimento della protezione umanitaria (conf. Cass. n. 4455 del 23/2/2018).

3.1. Con il quarto motivo si denuncia la nullità della sentenza e del procedimento ex art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia su un motivo di gravame.

Il ricorrente si duole che non sia stata esaminata la autonoma domanda di riconoscimento di asilo costituzionale, avanzata in via subordinata.

3.2. Il motivo è inammissibile perchè privo di decisività, atteso che nel sistema pluralistico delle misure di protezione internazionale garantite nell’ordinamento italiano, in conformità al diritto unionale (art. 78 TFUE)1, il diritto di asilo previsto dall’art. 10 Cost., comma 3, è interamente attuato e regolato attraverso le situazioni finali previste dai tre istituti costituiti dallo status di rifugiato, dalla protezione sussidiaria e dal diritto al rilascio del permesso umanitario (fino al 5 ottobre 2018, data di entrata in vigore del D.L. n. 113 del 2018, conv. in L. n. 125 del 2018), sui quali la Corte territoriale si era pronunciata nei limiti di quanto devoluto con l’impugnazione proposta dal ricorrente.

4. In conclusione il ricorso va dichiarato inammissibile.

Le spese seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo.

Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis (Cass. S.U. n. 23535 del 20/9/2019).

PQM

– Dichiara inammissibile il ricorso;

Condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 2.100,00, oltre spese prenotate a debito;

– Dà atto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 15 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 25 settembre 2020

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