Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20276 del 23/08/2017


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Cassazione civile, sez. II, 23/08/2017, (ud. 19/04/2017, dep.23/08/2017),  n. 20276

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Presidente –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2052-2013 proposto da:

T.V. ((OMISSIS)), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

DEI GRACCHI 187, presso lo studio dell’avvocato MARCELLO MAGNANO SAN

LIO, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati FRANCESCO

MAUCERI, ROSARIO GAROZZO;

– ricorrente –

contro

P.F. ((OMISSIS)), domiciliato ex lege in ROMA, PIAZZA

CAVOUR, presso la CANCELLERIA della CORTE DI CASSAZIONE,

rappresentato e difeso dagli avvocati GIOVANNI INGRASCI’, CARMELO

BRUNO;

– controricorrente –

e contro

T.G.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1557/2011 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 30/11/2011;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

19/04/2017 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE GRASSO.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Ritenuto che il Tribunale di Catania, Sezione Distaccata di Giarre, con sentenza del 14/5/2007, rigettò la domandà di usucapione di una casa con accessori (legnaia, magazzino, pollaio e legnaia), sita in (OMISSIS), avanzata da T.V. nei confronti di P.F., il quale ultimo si era difeso esponendo che i beni predetti erano stati concessi in affitto agrario a T.G. (fratello dell’attore) e che il Tribunale di Catania, Sezione Agraria, con sentenza del 17/1/2001, divenuta definitiva, aveva dichiarato cessato il contratto in parola e ordinato all’affittuario il rilascio;

che la Corte d’appello di Catania, con sentenza del 30/11/2011, rigettò l’appello proposto da T.V., sulla base delle considerazioni decisive che seguono: il T., convivente del fratello, doveva qualificarsi mero detentore, non era intervenuto alcun atto di “interversione” (rectius: di mutamento) della detenzione in possesso, ai sensi dell’art. 1141 cod. civ.; la sentenza della Sezione Agraria del Tribunale contemplava anche i beni in relazione ai quali il T. chiedeva di essere dichiarato proprietario per usucapione;

ritenuto che T.V. propone ricorso per cassazione avverso la statuizione di cui sopra, prospettando cinque motivi di censura, ulteriormente illustrati con successiva memoria e che la controparte resiste con controricorso, ulteriormente illustrato da successiva memoria;

considerato che il primo motivo, con il quale il ricorrente lamenta la violazione degli artt. 1140 e 1141 cod. civ., descrivendo la sentenza impugnata quale frutto di due forzature (che il ricorrente convivesse con il fratello e che i beni per i quali rivendica l’acquisto per usucapione rientravano fra quelli concessi in affitto al fratello), non merita di essere accolto per un doppio ordine di ragioni: al contrario di quel che presuppone il ricorrente costituisce onere di colui che agisce perchè venga accertato acquisto di un diritto reale per usucapione dimostrare con puntualità quali siano i beni sui quali afferma di aver esercitato il privilegiato rapporto di fatto, onere che nella specie non consta essere stato assolto; inoltre, senza che assuma rilievo specifico di sorta la sussistenza della convivenza, non può reputarsi compatibile con il possesso ad usucapionem la circostanza che la situazione di fatto prospettata derivi da altro soggetto (il fratello), il quale vanti una posizione chiaramente incompatibile con il predetto animus, non risultando puntualmente allegato e dimostrato che, per contro, il ricorrente abbia instaurato una signoria di fatto con i beni indicati per via autonoma;

considerato che con il secondo motivo, il T. denunzia la violazione dell’art. 2909 cod. civ. e art. 111 cod. proc. civ., per essere stata assegnata impropria efficacia esterna al giudicato agrario;

che, come si è avuto modo di chiarire, la sentenza passata in giudicato, anche quando non possa avere l’effetto vincolante di cui all’art. 2909 cod. civ., può avere comunque l’efficacia riflessa di prova o di elemento di prova documentale in ordine alla situazione giuridica che abbia formato oggetto dell’accertamento giudiziale e tale efficacia indiretta può essere invocata da chiunque vi abbia interesse, spettando al giudice di merito esaminare la sentenza prodotta a tale scopo e valutarne liberamente il contenuto, anche in relazione agli altri elementi di giudizio rinvenibili negli atti di causa (Sez. 3, n. 4241, 20/2/2013, Rv. 626549), in quanto, pur escluso che l’accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato estende i suoi effetti nei confronti dei terzi, quale affermazione obiettiva di verità, è idoneo a spigare efficacia riflessa verso soggetti estranei al rapporto processuale semprechè il terzo non sia titolare di un rapporto autonomo ed indipendente rispetto a quello in ordine al quale il giudicato interviene (Sez. 5, n. 12252, 17/5/2017, Rv. 644131; Sez. 1, n. 24558, 2/12/2015, Rv. 637983; Sez. 3, n. 691, 13/1/2011, Rv. 616292; Sez. L., n. 2137, 31/1/2014, Rv. 629926; Sez. 2, n. 7523, 27/3/2007, Rv. 596278; Sez. 2, n. 4864, 1/3/2007, Rv. 595330; Sez. 1, n. 27500, 22/12/2006, Rv. 593614);

che, nel caso di specie l’accertamento operato con la sentenza agraria costituisce, appunto, un elemento documentale di prova, che valutato liberamente dal Giudice di merito, in uno agli altri elementi probatori, ha contribuito alla definizione della situazione fattuale e, in particolare, a spiegare la scaturigine del collegamento materiale tra il ricorrente e i beni sui quali il medesimo pretende di aver acquisito la proprietà per usucapione;

che, pertanto, la contestazione di un tale documento, invece che essere giustificato dalla pretesa violazione dell’art. 2909 cod. civ. (l’art. 111 cod. proc. civ., ne è solo speculare riflesso processuale), avrebbe dovuto prendere le mosse da ben altra critica;

che in ragione di quanto sopra anche il rassegnato secondo motivo deve essere rigettato;

considerato che il terzo motivo, con il quale il T. lamenta la violazione degli artt. 2697,2727,2728 e 2729 cod. civ., artt. 115 e 116 cod. proc. civ., è destituito di giuridico fondamento, in quanto, esattamente al contrario di quanto sostenuto in ricorso, spettava al ricorrente assolvere all’onere probatorio che incombe sull’attore, il quale agisce in usucapione, dimostrando di aver goduto del bene come se ne fosse il proprietario, senza che la sua posizione fosse derivata da quella del fratello, detentore qualificato per contratto;

considerato che il quarto motivo, con il quale viene denunziato vizio motivazionale in relazione al punto controverso e decisivo costituito dal vaglio probatorio e in particolare sulla ritenuta inclusione dei beni di cui qui si discute fra quelli contemplati dal negozio d’affitto non può essere accolto, importando inammissibile vaglio di merito: nella motivazione della sentenza impugnata non si rinviene alcun vizio motivazionale intrinseco rilevabile in questa sede, nè, peraltro, l’interpretazione della sentenza della Sezione Agraria del Tribunale di Catania, quale documento avente la valenza prima descritta, può essere sottratta all’insindacabile giudizio della Corte di merito, apparendo utile rilevare che con la censura in esame il ricorrente, in definitiva, invoca la complessiva rivalutazione della ricostruzione fattuale effettuata dalla Corte territoriale, che impinge nelle preclusioni del giudizio di legittimità, essendosi più volte chiarito che la violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. è apprezzabile, in sede di ricorso per cassazione, nei limiti del vizio di motivazione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), e deve emergere direttamente dalla lettura della sentenza, non già dal riesame degli atti di causa, inammissibile in sede di legittimità (Sez. 2, n. 24434, 30112016, v.642202), con la conseguenza che, pur trovando qui applicazione il testo del citato n. 5, prima della modifica apportata dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134,), resta escluso già in tesi che la sentenza censurata sia incorsa nel denunziato vizio;

considerato che il quinto motivo, con il quale si deduce la violazione degli artt. 91 e 92 cod. proc. civ., è manifestamente destituito di giuridico fondamento, stante che la sentenza di merito non ha fatto altro che doverosamente applicare il principio di soccombenza;

considerato che il ricorrente, in ragione dell’epilogo, è tenuto a rimborsare al resistente le spese legali del presente giudizio, spese che possono liquidarsi siccome in dispositivo, tenuto conto del valore e della qualità della causa, nonchè delle attività espletate.

PQM

 

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore dei controricorrente, delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 2.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 19 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 23 agosto 2017

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