Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20273 del 22/08/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 22/08/2017, (ud. 05/12/2016, dep.22/08/2017),  n. 20273

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2204/2015 proposto da:

F.C., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE DI VILLA

PAMPHELI 33, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI ANTONIO

RAMPINO, rappresentata e difesa dall’avvocato FEDERICO RUTIGLIANO

giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

FI.PA.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1067/2014 della CORTE D’APPELLO di BARI,

emessa il 13/05/2014 e depositata il 28/06/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

05/12/2016 dal Consigliere Relatore Dott. MILENA FALASCHI.

Fatto

CONSIDERATO IN FATTO

F.C. con atto di citazione notificato in data 20/02/2007 conveniva in giudizio Fi.Pa. innanzi il Tribunale di Bari e premesso di essere proprietaria di un immobile confinante con quello di proprietà del convenuto, sito in (OMISSIS), lamentava che quest’ultimo aveva realizzato, sull’adiacente lastrico solare, l’apertura di una porta in violazione delle norme concernenti le distanze tra costruzioni per le vedute dirette ex art. 905 c.c., nonchè il mancato rispetto, nell’edificazione del muro di confine, dell’altezza di 3 metri ex art. art. 886 c.c.. Il Giudice adito, nella contumacia del convenuto, sulla base degli accertamenti eseguiti dal c.t.u., aveva ritenuto l’irregolarità di dette opere ordinando la rimozione dalla veduta e la sopraelevazione del muro di confine fino ad un’altezza di 3 metri dal piano di calpestio.

In virtù di appello interposto dal FI., con atto di citazione notificato il 23/07/2011, la Corte di Appello di Bari, nella resistenza dell’appellata, in riforma della sentenza n. 203/2011 del Tribunale di Bari, accogliendo il gravame, escludeva che la porta di accesso al lastrico solare costituisse veduta e negava l’esistenza dell’obbligo d’innalzare il muro di confine, in assenza di una pari offerta della controparte.

Avverso tale decisione la F. propone ricorso per Cassazione sulla base di tre motivi, con i quali lamenta rispettivamente: la violazione o falsa applicazione degli artt. 905 e 906 c.c.; la violazione e falsa applicazione dell’art. 886 c.c.; la omessa ed insufficiente motivazione circa un fatto decisivo della controversia.

Il FI. è rimasto intimato.

Il consigliere relatore, nominato a norma dell’art. 377 c.p.c., ha depositato la relazione di cui all’art. 380 bis c.p.c., proponendo l’accoglimento del primo motivo di ricorso ed il rigetto per i restanti.

Diritto

RITENUTO IN DIRITTO

Vanno condivise e ribadite le argomentazioni e le conclusioni di cui alla relazione ex art. 380 bis c.p.c., che di seguito si riporta: “La ricorrente con il primo motivo lamenta che la Corte di Appello di Bari abbia erroneamente ritenuto che l’apertura della porta sul lastrico solare adiacente alla sua proprietà non comporti alcuna violazione delle norme concernenti le distanze tra costruzioni, in particolare quanto alle vedute dirette. La censura appare fondata.

Occorre preliminarmente osservare che è pacifico in punto di fatto, che dalla porta in ferro, di cui si discute, è possibile affacciarsi sul lastrico solare adiacente alla proprietà della F. da una distanza di 0,75 metri dal confine, inferiore a quella minima prevista pari a 1,5 metri.

La Corte distrettuale ha statuito che da detta apertura non è esercitabile una veduta poichè sull’accesso vi è una porta in ferro che non consente di guardare nella proprietà confinante.

In definitiva, sostiene la Corte di Appello di Bari che una porta non può dar luogo ad una veduta, perchè carente di inspectio.

La giurisprudenza di questa Corte, in tema di limitazioni legali della proprietà, con particolare riferimento alle scale, ai ballatoi e alle porte, che fondamentalmente sono destinati all’accesso dell’edificio, e soltanto occasionalmente od eccezionalmente utilizzabili per l’affaccio, ha statuito che possono configurare vedute quando – indipendentemente dalla funzione primaria del manufatto – risulti obiettivamente possibile, in via normale, per le particolari situazioni o caratteristiche di fatto, anche l’esercizio della prospectio ed inspectio su o verso il fondo del vicino (Cfr. Cass. n. 499 del 2006 e Cass. 16 martin 1981 n. 1451).

Nella fattispecie, il giudice territoriale ha escluso una comoda inspectio e uprospectio sulla sola base del materiale in cui è stata realizzata la porta, senza considerare lo stato dei luoghi, ossia gli altri elementi obiettivi di carattere strutturale e funzionale, determinanti al fine di accertare l’esistenza o meno di una veduta, non potendo rilevare solo la circostanza che la porta serva a collegare due spazi, in quanto tale elemento di diversità non vale ad escludere di per sè l’obiettiva esistenza di una servitù di veduta.

Con la seconda censura la ricorrente lamenta che la Corte d’Appello di Bari abbia errato nel non condannare il resistente FI. alla sopraelevazione del muro fino all’altea di 3 metri e adduce, a sostegno, che esistono due distinti muri di cinta in aderenza al confine e ciascuna delle parti avrebbe dovuto provvedere personalmente alla sopraelevazione.

La censura è inammissibile.

La ricorrente con la doglianza in esame pone una questione che non risulta trattata in sede di merito e la giurisprudenza di questa Corte, qualora una determinata questione giuridica che implichi un accertamento di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, ne indicata nelle conclusioni ivi epigrafate, pone a carico del ricorrente che la (n)proponga in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione innanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale scritto difensivo o atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di Cassazione di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa. Onere che nella specie non risulta assolto.

Con la terza ed ultima doglianza la ricorrente lamenta che la Corte di Appello di Bari abbia omesso di considerare e valutare l’irregolarità edilizia ed urbanistica della complessiva opera realizzata dal confinante con aumento di volumetria.

La censura è priva di pregio.

Occorre premettere che nella specie trova applicazione, ratione temporis, l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come riformato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54,conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134. Tanto chiarito si osserva che il vizio di motivazione deve essere interpretato alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al minimo costituzionale del sindacato di legittimità sulla motivazione.

Ciò precisato, venendo al caso di specie, in tema di realizzazione di opere abusive da parte dei proprietari di un fondo, i titolari del fondo finitimo sono legittimati alla richiesta di riduzione in pristino sempre che possano, in concreto, lamentare la violazione di un diritto soggettivo loro spettante, la prova della cui esistenza spetta, comunque, ai soggetti asseritamente lesi (v. Cass. n.10438 del 1998).

Orbene la tutela reclamata dalla parte è stata garantita nell’ambito dei rapporti di vicinato dal momento che il ricorrente ha lamentato la lesione del diritto al rispetto delle distanze tra costruzioni per le vedute dirette, non rilevando l’irregolarità edilizia ed urbanistica dell’opera qualora non integri la violazione di diritti soggettivi.

Per tali ragioni si ritiene sussistere la manifesta fondatezza del primo motivo e l’infondatezza delle censure restanti e dunque procedere ai sensi degli artt. 375 e 380 bis c.p.c.”.

Gli argomenti e le proposte contenuti nella relazione di cui sopra – cui non sono state rivolte critiche – sono condivisi dal Collegio e conseguentemente va accolto il primo motivo, respinti i restanti, con annullamento della contestata decisione in relazione alla censura accolta, con rinvio a diversa Sezione della Corte di appello di Bari. Lo stesso giudice provvederà alla regolamentazione delle spese del presente giudizio.

PQM

 

La Corte, accoglie il primo motivo di ricorso, rigettati i restanti;

cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia a diversa Sezione della Corte di appello di Bari, anche per le spese del giudizio di Cassazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Sesta – 2 Civile della Corte di Cassazione, il 5 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 22 agosto 2017

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