Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20272 del 31/07/2018


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Civile Ord. Sez. 5 Num. 20272 Anno 2018
Presidente: GRECO ANTONIO
Relatore: GIUDICEPIETRO ANDREINA

ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n.17541/12 R.G. proposto da
Giorgio Fedon & Figli S.p.A., persona del I.r.p.t., rappresentata e difesa,
anche disgiuntamente, dall’avv. Stefano Zunarelli e dall’avv. Lorenzo del
Federico, con domicilio eletto in Roma, via della Scrofa n. 64, presso lo
studio del primo;
– ricorrente contro
Agenzia delle Entrate, in persona del direttore

pro tempore,

rappresentata dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio legale in
Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato;
– controricorrente Agenzia delle Entrate, Centro Operativo di Pescara, in persona del
direttore pro tempore.
– intimata avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale
dell’Abruzzo, sezione staccata di Pescara, n.19/09/12, pronunciata il 26
maggio 2011, depositata il 9 gennaio 2012 e non notificata.

1

Data pubblicazione: 31/07/2018

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 27/3/2018 dal
Consigliere Andreina Giudicepietro.

RILEVATO IN FATTO
1. la Giorgio Fedon & Figli S.p.A. ricorre con sei motivi contro l’Agenzia
delle Entrate ed il Centro Operativo di Pescara della Agenzia delle Entrate,

Commissione Tributaria Regionale dell’Abruzzo, sezione staccata di Pescara,
n.19/09/2012, pronunciata il 26/5/2011 depositata il 9/1/2012 e non
notificata, concernente l’impugnativa del diniego di nulla-osta alla fruizione
del credito di imposta per spese di ricerca e sviluppo previsto dall’art.1,
commi 281-284, L.n.296/06 successivamente modificato dall’art.29 D.L.
n.185/08, convertito nella legge n.2/09;
2. con la suddetta impugnativa la società odierna ricorrente ha dedotto
l’illegittimità costituzionale dell’art.29 D.L. n.185/08, convertito nella legge
n.2/09, e la conseguente violazione degli artt. 3, 41,97 e 117 COST. in
relazione all’art. 360, comma 1, n.3, c.p.c., nonché la contraddittorietà ed
illogicità della motivazione ai sensi dell’art. 360, comma 1, n.5, c.p.c. e la
violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 10 comma 2, 7 commi 1 e 2
L.n.212/2000 (Statuto del contribuente), oltre alla nullità dell’atto di diniego
del nulla osta per vizi suoi propri;
3.

la presente fattispecie trae origine dalla disposizione dell’art.1,

commi 281-284, L. n. 296/06, che ha previsto la possibilità per le imprese
di ottenere un credito di imposta, a fronte del sostenimento di spese per
attività di ricerca e sviluppo, volte alla innovazione del prodotto;
4. tale credito di imposta doveva essere indicato nella dichiarazione dei
redditi ed era fruibile in relazione al periodo di imposta in cui le spese di
attività di ricerca e sviluppo erano state sostenute, senza alcun limite di
importo;
5. successivamente l’art. 29 del d.l. 29-11-2008 n. 185 ha stabilito dei
limiti finanziari al credito di imposta per gli anni 2008, 2009, 2010 e 2011
e, per i soggetti che avevano avviato attività di ricerca prima del 29-112008, ha introdotto un meccanismo di “prenotazione” per la fruizione del

2

per la cassazione della sentenza indicata in epigrafe emessa dalla

credito di imposta per via telematica, mediante l’invio di un formulario
contenente la pianificazione scelta e l’importo delle spese agevolabili da
sostenere;
6. in attuazione della normativa sopra citata, la società ricorrente,
avendo sopportato costi per un credito di imposta pari ad euro 294.508,00
per il 2008 ed euro 324.000,00 per il 2009, il 6-5-2009 ha inviato il
ed il 15-6-2009 ha ricevuto la comunicazione del Centro

Operativo di Pescara relativa al “diniego del nulla osta alla fruizione del
credito di ricerca e sviluppo”;
7. contro tale provvedimento di diniego, la società ha proposto ricorso
presso la C.T.P. di Pescara, che lo ha accolto;
6. la Commissione Tributaria Regionale dell’Abruzzo, sezione distaccata
di Pescara, con la sentenza oggetto della presente impugnazione, a sua
volta ha accolto l’appello dell’Ufficio;
7.

a seguito del ricorso della società contribuente, l’Agenzia delle

Entrate si costituisce con controricorso, replicando al ricorso;
8. il ricorso è stato fissato per la camera di consiglio del 27 marzo 2018,
ai sensi degli artt. 375, ultimo comma, e 380 bis 1, cod. proc. civ., il primo
come modificato ed il secondo introdotto dal d.l. 31.08.2016, n.168, conv.
in legge 25 ottobre 2016, n.197;
i\J\

9. la società ricorrente ha depositato memorie;
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.1.11 primo motivo di ricorso, col quale la ricorrente si duole
dell’illegittimità costituzionale dell’art.29 D.L. n.185/08, convertito nella
legge n.2/09, e della conseguente violazione degli artt. 3, 41,97 e 117
COST. ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., è infondato.
Con tale motivo la ricorrente deduce la violazione del principio di
uguaglianza (poiché imprese in situazione identiche erano state trattate
irragionevolmente in maniera diversa, attraverso il meccanismo della
“corsa” alla prenotazione, senza rispetto dei “diritti quesiti” di coloro che
avevano iniziato le attività prima del 29-11-2008, data di entrata in vigore
del decreto legge), nonché la violazione della libertà dell’iniziativa

3

formulario

‘1

economica di impresa e della libera concorrenza ai sensi degli artt. 41, 97 e
117 Cost.
1.2. Di recente la Corte Costituzionale, investita dell’identica questione
su fattispecie analoga, con sentenza n.149/2017 ha dichiarato
inammissibile, in relazione al parametro di cui all’art. 3 Cost., la questione
relativa alla peculiare modalità telematica per la fruibilità del credito di

particolare, la Corte Costituzionale ha ribadito, in conformità con il suo
precedente orientamento (C.Cost. sent. n.236/2014), che non è ravvisabile
la violazione del principio dell’affidamento, tutelato dall’art. 3 Cost., quando
l’intervento retroattivo del legislatore, che incide sull’affidamento dei
cittadini, trovi giustificazione in principi, diritti e beni di rilievo
costituzionale, dunque abbia una causa normativa adeguata, e sia
comunque rispettoso del principio di ragionevolezza inteso, anche, come
proporzionalità. In altri termini, il principio dell’affidamento è sottoposto al
normale bilanciamento proprio di tutti i diritti e valori costituzionali. E
proprio attraverso il bilanciamento dei diversi valori, la Corte Costituzionale
perviene alla conclusione che la disposizione censurata ha una «causa
normativa adeguata» e non viola i principi di ragionevolezza e
proporzionalità. Ed invero, la disposizione censurata viene ad introdurre un
tetto massimo di spesa per le agevolazioni previste dall’art. 1, commi 281284, L.n.296/06, del tutto in linea con la previsione dell’art. 81 Cost.
Inoltre, la norma è introdotta con il «decreto anticrisi», intitolato «Misure
urgenti per il sostegno a famiglie, lavoro, occupazione e impresa e per
ridisegnare in funzione anti-crisi il quadro strategico nazionale», volto a
«fronteggiare l’eccezionale situazione di crisi internazionale» e «potenziare
le misure fiscali e finanziarie occorrenti per garantire il rispetto degli
obiettivi fissati dal programma di stabilità e crescita approvato in sede
europea» (così il preambolo al d.l. n. 185 del 2008). Infine, a ciò si
aggiunga che, a seguito dei successivi interventi normativi, gli stanziamenti
previsti hanno permesso la copertura di circa metà (47,53 per cento)
dell’importo complessivo dei crediti insoddisfatti, in tal modo mitigando il
pregiudizio del contribuente. Tali considerazioni, ampiamente esplicitate

4

imposta ed infondata quella relativa alla tutela dell’affidamento. In

nella sentenza della Corte Costituzionale e già contenute “in nuce” nella
motivazione della sentenza del giudice di appello, consentono di superare la
questione della pretesa illegittimità costituzionale dell’art. 29 D.L. n. 185/08
in relazione all’art. 3 Cost. e valgono a giustificare la compressione della
tutela dell’affidamento al fine di garantire, con il rispetto del principio di
copertura della spesa pubblica, una maggiore stabilità economica in tempo

1.3. Alla luce della sentenza della Corte Costituzionale, appare infondata
anche la censura dell’art. 29, commi 2, lettera a), e 3, del d.l. n. 185 del
2008 per violazione dell’art. 3 Cost., nella parte in cui, anche per i crediti
d’imposta relativi ad attività di ricerca avviate prima del 29 novembre 2008,
la norma prevede una procedura di ammissione al beneficio basata sul
criterio cronologico di ricezione delle domande telematiche dei contribuenti.
La Corte Costituzionale sul punto ha ritenuto l’inammissibilità della censura,
evidenziando che un eventuale suo accoglimento determinerebbe un assetto
normativo caratterizzato da iniquità e irragionevolezza, poiché coloro che
sono risultati vincitori nella procedura telematica, non solo perderebbero il
beneficio ottenuto, ma non potrebbero neanche concorrere alla distribuzione
del successivo finanziamento previsto dall’art. 2, comma 236, della legge n.
191 del 2009, finanziamento che è riservato ai “perdenti”. A ciò si aggiunga
che un criterio di priorità temporale delle domande di ammissione al credito,
nonostante l’elevato numero dei concorrenti e la velocità dei meccanismi di
trasmissione informatica, non appare di per sé irrazionale ed ingiustificato
(anzi, la scelta dello strumento informatico si rende necessaria proprio per
garantire un parametro oggettivo di priorità, in considerazione dell’elevato
numero delle domande).
1.4. Quanto alla denunciata violazione degli artt. 97 e 117 della
Costituzione, questa Corte ritiene di poter condividere quanto già espresso
nell’ordinanza n.3576/2015 dalla VI sezione civile della Cassazione, che ha
ritenuto inammissibile per manifesta infondatezza la relativa questione,
poiché “la disposizione in esame non impinge in alcun modo sull’imparzialità
e buon andamento della pubblica amministrazione”. In particolare, non
appare convincente la censura della ricorrente in relazione all’articolo 117

5

di crisi.

della Costituzione, evocato nella parte in cui assoggetta la potestà
legislativa statale ai “vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario”, tra i
quali il vincolo di tutela della concorrenza, poiché la disposizione in esame
non pregiudica in alcun modo la libertà di concorrenza. Anche con
riferimento al parametro dell’articolo 117 Cost., quindi, il sospetto di
illegittimità costituzionale sollevato dalla ricorrente appare manifestamente

1.5. Né, secondo quanto già rilevato dalla Corte nella ordinanza citata,
si ravvisa la violazione dell’art. 41 COST. Va ricordato che i crediti d’imposta
originariamente riconosciuti andavano a coprire il 10 per cento dei costi
delle attività di ricerca, cosicché l’ablazione retroattiva nei confronti dei
soggetti non ammessi al beneficio fiscale è stata del solo 5 per cento circa
dei costi sostenuti: il venir meno di tale posta non può, dunque, aver avuto
una incidenza decisiva sul complessivo andamento economico delle imprese
e non costituisce un’illegittima compressione della libertà di iniziativa
economica privata, come correttamente ritenuto dal giudice di appello.
2.1. Il secondo motivo di ricorso, relativo alla contraddittorietà della
motivazione del provvedimento impugnato, che, pur riconoscendo un vero e
proprio diritto soggettivo in capo alla ricorrente, ne ammette la
soppressione, sia pure parziale, da parte delle leggi posteriori al suo
sorgere, è infondato, poichè la sentenza del giudice di appello motiva in
maniera chiara ed esauriente, sia sulla legittimità costituzionale della
disciplina introdotta con l’art.29 D.L. n. 185/08, sia sul bilanciamento dei
diversi interessi costituzionalmente protetti, che è alla base del
ridimensionamento dell’agevolazione riconosciuta con la L. n. 296/06 entro
un tetto massimo di spesa. Deve, quindi, ritenersi che la motivazione della
C.T.R. dell’Abruzzo sia in se’ coerente ed in linea con quanto affermato dalla
Corte Costituzionale nella citata sentenza.
3.1. Il terzo motivo (violazione e falsa applicazione dell’art. 3 L. n.
212/00, che esclude l’efficacia retroattiva delle norme tributarie) involge la
questione della valenza delle norme contenute nella legge n.212/00 (cd.
Statuto del contribuente).
3.2. Il motivo è infondato.

6

infondato.

3.3. Ed invero, “le disposizioni dello statuto del contribuente, che
costituiscono meri criteri guida per il giudice, in sede di applicazione ed
interpretazione delle norme tributarie, anche anteriormente vigenti, per
risolvere eventuali dubbi ermeneutici, non hanno, nella gerarchia delle fonti,
rango superiore alla legge ordinaria, con la conseguenza che esse non
possono fungere da norme parametro di costituzionalità, né consentire la

(da ultimo Cass. ord. n. 20812/17). Deve, quindi, riconoscersi che una
legge ordinaria, come quella in esame, possa derogare ai principi espressi
nello Statuto del contribuente, a meno che essi non coincidano con principi
costituzionali, la cui tutela non si sottrae, come già detto, al bilanciamento
tra i diversi valori tutelati dalla Costituzione e tra loro confliggenti.
Sul punto è sufficiente riportarsi a quanto affermato dalla Corte
Costituzionale nella sopra citata sentenza n.149 del 2017, laddove il giudice
delle leggi ha affermato che un intervento normativo, anche retroattivo,
incidente su diritti perfetti, non è necessariamente incostituzionale, se trova
giustificazione nella sopravvenuta esigenza di tutela di altri interessi pubblici
di rilievo costituzionale.
Per quanto fin qui detto, deve riconoscersi al legislatore la possibilità di
intervenire con una legge successiva, limitando i diritti riconosciuti in
precedenza, qualora ciò sia necessario per un equo bilanciamento dei diversi
valori costituzionalmente protetti.
4.1. Con il quarto motivo, la società ricorrente deduce la violazione e
falsa applicazione dell’art. 10, comma 2, L. n. 212/00, e dei principi
comunitari in tema di legittimo affidamento, principio riferibile, non solo
all’attività amministrativa, ma anche a quella legislativa.
4.2. Il motivo è infondato.
4.3. La Corte Costituzionale, infatti, nella citata sentenza n.149/2017,
ha riconosciuto che nel caso in esame l’intervento normativo, che aveva
inciso sui diritti precedentemente riconosciuti, era giustificato dalla
necessità di mantenere il bilancio dello stato nel rispetto dei parametri
europei ed era finalizzato al rilancio dell’economia a fronte di una situazione
eccezionale di crisi.

7

disapplicazione della norma tributaria in asserito contrasto con le stesse”

Per quanto la CTR abbia fornito un’interpretazione del principio di
legittimo affidamento più restrittiva di quella ammessa dalla stessa Corte
Costituzionale e dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea interpretazione secondo la quale il principio non opera in relazione agli atti
del legislatore, ma solo riguardo all’amministrazione, mentre, al contrario, il
giudice delle leggi nazionale e la Corte di Giustizia ritengono che il principio

diventa irrilevante nell’economia complessiva del giudizio, in quanto non
solo la Corte Costituzionale, come sopra evidenziato, ma anche la stessa
Corte di Giustizia, in qualche occasione, ha ammesso che l’applicazione del
principio possa flettersi di fronte ad interventi legislativi in presenza
situazioni particolari e a determinate condizioni.
Quest’ultima, in particolare, si è già occupata della definizione del
concetto di legittimo affidamento, ed ha affermato che, per quanto lo stesso
sia un principio fondamentale dell’ordinamento dell’Unione, non si traduce
nella aspettativa di intangibilità di una normativa, in particolare in settori in
cui è necessario, e di conseguenza ragionevolmente prevedibile, che le
norme in vigore vengano continuamente adeguate alle variazioni della
congiuntura economica. (Corte Giust., sentenza del 23.11.1999 nella causa
C-149/96).
5.1. Anche il quinto motivo (violazione degli artt.7, comma 1, L.
n.212/00 e 3 L. n.241/90, in relazione all’art.360, comma1, n.3 c.p.c.),
relativo alla pretesa nullità del diniego del nulla osta per la carenza di
motivazione, è infondato.
5.2. Invero, il diniego di nulla osta, che non si basi sulla negazione del
diritto all’agevolazione, non ha sostanzialmente la natura di avviso di
accertamento, sicché l’atto non deve avere una motivazione simile a quella
prevista da specifiche disposizioni di legge per gli atti costituenti esercizio
della potestà impositiva (Cass. n. 8998/14). Nel caso di specie, come già
rilevato dal giudice di appello, il provvedimento di diniego era idoneo a
fornire tutte le indicazioni necessarie a chiarire i motivi per cui non veniva
concessa l’autorizzazione alla fruizione del credito di imposta. In particolare,
il provvedimento spiegava che il nulla osta alla fruizione del credito di

8

coinvolga anche l’esercizio della funzione legislativa – tuttavia l’imprecisione

imposta veniva negato per l’esaurimento delle risorse finanziarie; inoltre
recava l’indicazione del giorno e dell’ora di ricezione del formulario al COP,
che consentiva all’interessato il controllo sull’ordine di arrivo della domanda,
quale condizione di accoglimento della stessa.
6.1. Infine è infondato il sesto motivo di impugnazione, con cui la
ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 7 comma 2 della

relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., in quanto non è indicato il responsabile del
procedimento.
6.2. Invero le Sezioni Unite

di questa Corte hanno chiarito che

“l’indicazione del responsabile del procedimento negli atti
dell’amministrazione finanziaria non è richiesta dall’art.7 L.212/00 a pena di
nullità, in quanto tale sanzione è stata introdotta per le sole cartelle di
pagamento dall’art.36 , comma 4 ter, del D.L. n.248/07, convertito in legge
dalla legge n.31/08, applicabile solo alle cartelle riferite ai ruoli consegnati
agli agenti della riscossione a decorrere dal 1 giugno 2008”, fattispecie del
tutto diversa da quella in esame, che ha ad oggetto l’impugnativa di un
provvedimento di diniego dell’agevolazione.
Inoltre, anche a voler ritenere applicabile l’art.21 octies legge 241.1990,
la C.T.R. correttamente rileva che la procedura è stata gestita da un
elaboratore elettronico, sicchè non esisteva alcun procedimento nel cui
ambito il contribuente avrebbe potuto interloquire. Come evidenziato dal
giudice di appello, nel caso in esame il diniego di nulla osta, dipendendo
unicamente dalla mancanza di risorse finanziarie e dall’ordine cronologico
di arrivo della domanda, assume la natura di un provvedimento vincolato,
per il quale è esclusa la possibilità di annullamento ai sensi dell’art. 21
octies della legge 241 del 1990, in assenza di discrezionalità della pubblica
amministrazione.
7.1. Sussistono giusti motivi, in relazione alla complessità delle
questioni trattate, che hanno dato origine ai riportati contrasti
giurisprudenziali, per compensare tra le parti le spese del giudizio di
legittimità.

9

legge 212/2000, nonché dell’art. 21 octies della legge n. 241 del 1990, in

P.Q. M.
La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese tra le parti.

Così deciso in Roma, il giorno 27 marzo 2018.

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA