Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20268 del 22/08/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 22/08/2017, (ud. 10/11/2016, dep.22/08/2017),  n. 20268

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – rel. Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6673/2013 proposto da:

AVV. Q.B.A., AVV. L.G.,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA GIOVANNI NICOTERA 29, presso

lo studio dell’avvocato ANTONIO QUATTROCIOCCHI BRANCA, che li

rappresenta e difende giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

CONDOMINIO (OMISSIS), in persona dell’amministratore in carica,

elettivamente domiciliato in ROMA, V.LE DELLE MILIZIE 34, presso lo

studio dell’avvocato DOMENICO MAROCCO, che lo rappresenta e difende

in virtù di delega a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 255/2012 della CORTE D’APPELLO di ROMA, emessa

il 19/09/2011 e depositata il 17/01/2012;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

10/11/2016 dal Consigliere Relatore Dott. PASQUALE D’ASCOLA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1) Il Tribunale di Roma, con sentenza del 12 dicembre 2005, ha accertato il diritto di D.T.R. (al quale è succeduto L.G.) e di Q.B.A., conduttori di un appartamento sito nel condominio (OMISSIS), di parcheggiare la propria autovettura nel cortile condominiale. Ha rigettato la domanda di risarcimento dei danni.

Ha ravvisato difetto di prova sia in relazione alla consistenza ontologica dei medesimi sia in relazione al quantum.

La Corte d’appello di Roma ha respinto l’impugnazione.

Per la cassazione della sentenza di appello, gli attori ricorrono sulla base di due motivi.

Il condominio (OMISSIS) resiste con controricorso.

Il giudice relatore ha avviato la causa a decisione con il rito previsto per il procedimento in Camera di consiglio.

Parte ricorrente ha depositato memoria.

2) Con il primo motivo di ricorso parte ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 347 e 168 c.p.c. e art. 72 disp. att. c.p.c., per avere la sentenza impugnata rigettato la domanda di risarcimento del danno proposta sull’assunto che agli atti mancasse il fascicolo di parte di primo grado e che, pertanto, non fosse possibile determinare l’esistenza di un danno e il suo preciso ammontare.

Parte ricorrente sostiene che era onere della cancelleria di appello richiedere il fascicolo d’ufficio e che in esso doveva trovarsi il fascicolo di parte; aggiunge che la cancelleria del tribunale non avrebbe dovuto smembrarlo. Lamenta che la Corte di appello non abbia provveduto a richiederlo. Riferisce che essa ha provveduto a ricercare il fascicolo presso il Tribunale e, ritiratolo, lo ha allegato nel giudizio di legittimità.

Il motivo è per più ragioni infondato.

In primo luogo va osservato che “Il mancato rinvenimento nel fascicolo di parte, al momento della pronuncia della causa, dei documenti su cui la parte assume di aver basato la propria pretesa in giudizio, non preclude al giudice di secondo grado di decidere sul gravame, ove non risulti lo smarrimento del fascicolo e la formale richiesta di ricostruzione del medesimo” (Cass. n. 13218 del 27/06/2016).

Inoltre l’istanza di ricostruzione del fascicolo di parte, che non si rinvenga nel fascicolo d’ufficio, non può essere genericamente formulata, ma deve contenere la rappresentazione credibile dell’involontarietà dell’omissione essendo altrimenti, il giudice tenuto a decidere sulla base degli atti e documenti rinvenuti al momento dell’assunzione della deliberazione giudiziale, dovendosi presumere volontario, in virtù del principio dispositivo, il mancato reperimento del predetto fascicolo al momento della decisione (Cass. n. 21733 del 22/10/2010).

Parte ricorrente non ha neppure allegato di avere verificato la presenza del proprio fascicolo di parte nel fascicolo del grado di appello prima della assegnazione della causa a sentenza; non ne ha lamentato la mancanza o lo smarrimento; non ha formulato al giudice di appello alcuna istanza di acquisizione.

Non può pertanto dolersi della avvenuta decisione allo stato degli atti.

2.1) Un ulteriore argomento è decisivo e assorbente: la parte ricorrente nell’odierno ricorso non indica quali documenti fossero contenuti nel fascicolo e perchè dovessero essere ritenuti decisivi. Tale mancanza rende inammissibile la censura.

Infatti, ove anche fosse esistito un dovere del giudice di acquisire il fascicolo, l’omissione dell’acquisizione può tradursi in un vizio della motivazione, ma la parte che intenda censurare tale vizio in sede di legittimità ha l’onere di richiamare nel ricorso il contenuto dei documenti dispersi e dimostrarne la rilevanza ai fini di una decisione diversa. (Cass. n. 18237 del 03/07/2008).

3) Il secondo motivo di ricorso (col quale si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1226 e 2056 c.c. e art. 115 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) appare manifestamente infondato.

Il ricorso deduce che per il mancato uso del parcheggio nel cortile è “fuor di dubbio che un danno vi sia stato” e afferma che il danno poteva essere liquidato in via equitativa.

Il ricorso in tal modo non coglie che il motivo principale del rigetto (ratio decidendi fondamentale, che viene prima – dal punto di vista logico – della questione concernete il quantum) è stata la mancata prova della sussistenza del danno, a causa della omessa produzione della documentazione dalla quale avrebbe dovuto trarsi la relativa prova dei presupposti.

In particolare la Corte di appello ha rilevato che parte appellante avrebbe dovuto provare (eventualmente tramite i documenti) in quali termini fosse “stato negato il diritto ed, in particolare, con riferimento alla turnazione, se e quando spettante”.

La censura su tale decisivo profilo è affidata a un’enunciazione apodittica.

Non viene data risposta a questi rilievi e viene solo prospettata una iperbolica pretesa di liquidazione in base all’uso sistematico del parcheggio a pagamento su pubblica via, senza neppure porsi il problema della possibilità di ricorrere allo strumento equitativo solo quando sia impossibile, o almeno ardua, la specifica prova del quantum, ma non quando siano mancate allegazioni e prove dei fatti costitutivi del danno stesso, rimasto solo ipotetico.

Giova in proposito richiamare i rilievi che parte controricorrente ha svolto per negare la sussistenza di un diritto degli istanti ad accedere al parcheggio, in mancanza di prova del pagamento della quota di accesso che era stata fissata dal Regolamento condominiale per l’accesso turnario.

A questi aspetti fa evidentemente riferimento la sentenza della Corte di appello, rimasta priva di adeguata censura.

Discende da quanto esposto il rigetto del ricorso e la condanna alla refusione delle spese di lite, liquidate in dispositivo.

Va dato atto della sussistenza delle condizioni per il raddoppio del contributo unificato.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna alla refusione delle spese di lite liquidate in Euro 2.000 per compenso, Euro 200 per esborsi, oltre accessori di legge, rimborso delle spese generali (15%).

Dà atto della sussistenza delle condizioni di cui del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, per il versamento di ulteriore importo a titolo di contributo unificato.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile – 2, il 10 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 22 agosto 2017

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