Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20267 del 25/09/2020

Cassazione civile sez. II, 25/09/2020, (ud. 21/02/2020, dep. 25/09/2020), n.20267

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. DE MARZO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21148/2019 proposto da:

O.F., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA DEI

CONSOLI, 62, presso lo studio dell’avvocato ENRICA INGHILLERI,

rappresentato e difeso dall’avvocato LUCIA PAOLINELLI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 5/2019 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 03/01/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

21/02/2020 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE DE MARZO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza depositata il 3 gennaio 2019, la Corte d’appello di Ancona ha rigettato l’impugnazione proposta da O.F., cittadino della Nigeria, avverso la decisione di primo grado, che aveva respinto il ricorso proposto dallo stesso avverso il provvedimento negativo della commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale.

2. Per quanto ancora rileva, la Corte territoriale ha osservato: a) che il racconto del ricorrente presentava profili di scarsa credibilità (prima a proposito della morte del padre attribuita alla magia nera praticata dalla zio per impadronirsi delle loro proprietà, poi a proposito delle richieste provenienti dal gruppo (OMISSIS) di aderire alla loro organizzazione); b) che non emergevano circostanze idonee a giustificare il riconoscimento della protezione sussidiaria; c) che non erano sussistenti specifiche situazioni soggettive espressive di una situazione di vulnerabilità rilevante ai fini della protezione umanitaria.

3. Avverso tale sentenza nell’interesse del soccombente è stato proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi. Il Ministero dell’Interno ha resistito con controricorso. In data 13 febbraio 2020 è stata depositata memoria ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo si impugnano i capi da 1 a 30 della sentenza “in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”, dolendosi della motivazione apparente e tautologica.

La doglianza – anche a tacere dell’improprietà del richiamo normativo – è infondata, dal momento che la Corte territoriale ha preso in esame le dichiarazioni del richiedente e ha espresso una valutazione articolata in relazione ai vari profili rilevanti ai fini del riconoscimento della protezione internazionale.

Nè parte ricorrente deduce profili idonei a rivelare una assenza di analisi di specifiche censure e, in ultima analisi, il carattere appunto apparente del percorso argomentativo seguito dalla Corte d’appello.

2. Con il secondo motivo si lamenta “violazione e falsa applicazione dell’art. 1 A della Convenzione di Ginevra, degli art. 3, comma 1, 2,3,4 e 5 – D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14; D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, artt. 11 e 32 – Vizio di motivazione”.

Il ricorrente si duole del mancato rispetto dei criteri di valutazione della credibilità del richiedente, del mancato adempimento del dovere di cooperazione istruttoria e di valutazione della richiesta alla luce di informazioni precise e aggiornate.

Si aggiunge che il richiedente è stato vittima di soprusi da parte di bande criminali denominate (OMISSIS) e che erronea era la distinzione operata tra varie aree del medesimo Paese, con la conseguenza che sarebbero sussistenti i presupposti per il riconoscimento della protezione invocata.

La doglianza è inammissibile.

Questa Corte ha chiarito, in linea generale, che è inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (Cass., Sez. Un., 27 dicembre 2019, n. 34476).

Peraltro, la sentenza impugnata è stata depositata il 3 gennaio 2019. Pertanto, viene in questione l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel testo risultante dalle modifiche apportate dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), conv., con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134 (pubblicata nel S.O. n. 171, della Gazzetta Ufficiale 11 agosto 2012, n. 187), e applicabile, ai sensi del medesimo art. 54, comma 3, alle sentenze pubblicate dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione del decreto (al riguardo, va ricordato che, ai sensi dell’art. 1, comma 2, della Legge di Conversione, quest’ultima è entrata in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale). Come chiarito dalle Sezioni Unite di questa Corte, l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, così come novellato, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass., Sez. Un., 7 aprile 2014, n. 8053).

Ora, parte ricorrente, sia pure attraverso una formale denuncia di violazione di legge (che pure, nella rubrica, si accosta alla significativa e rivelatrice menzione del vizio di motivazione), aspira ad una inammissibile rivalutazione delle emergenze probatorie, che la Corte territoriale ha analizzato giungendo ad una argomentata esclusione della narrazione del richiedente, per la scarsa credibilità logica del racconto.

Solo per completezza si osserva che la Nigeria è una repubblica federale, con la conseguenza che razionalmente si è tenuto conto dello Stato di provenienza.

3. Con il terzo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, art. 3 della Cedu, art. 10 Cost., D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, nonchè “vizio di motivazione”, con riguardo, per quanto poi illustrato nel motivo, al mancato riconoscimento della protezione cd. umanitaria.

Il motivo trascrive il rapporto 2017 – 2018 della Nigeria redatto da Amnesty International, deducendo che il ricorrente si è allontanato dalla Nigeria nel 2014 e si è integrato in Italia dove lavora.

La doglianza è inammissibile, perchè deduce delle circostanze fattuali senza puntualizzare quando sarebbero state introdotte nel giudizio di merito e quando si sarebbero realizzate, al fine di valutare l’ammissibilità del loro ingresso nella presente fase del giudizio. Ad abundantiam, si rileva che a nulla evidentemente vale la produzione della documentazione allegata alla memoria, estranea al perimetro di cui art. 372 c.p.c..

4. Il ricorrente soccombente deve essere condannato alla rifusione delle spese sostenute dall’amministrazione resistente, da liquidarsi in Euro 2.100,00, oltre spese prenotate a debito.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese di controparte, che liquida in Euro 2.100,00, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 21 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 25 settembre 2020

 

 

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