Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20265 del 22/08/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 22/08/2017, (ud. 27/06/2017, dep.22/08/2017),  n. 20265

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHIRO’ Stefano – Presidente –

Dott. MANZON Enrico – rel. Consigliere –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14657/2016 proposto da:

P. CARNI S.N.C. (C.F. e P.I. (OMISSIS)), in persona del legale

rappresentante P.R. nonchè socia unitamente C.M.

E C.S., elettivamente domiciliate in ROMA Piazza Cavour

presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentate e

difese dall’avvocato GABRIELE DALLARA;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1276/4/2015 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE di GENOVA, depositata il 24/11/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 27/06/2017 dal Consigliere Dott. ENRICO MANZON.

Disposta la motivazione semplificata su concorde indicazione del

Presidente e del Relatore.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che:

Con sentenza in data 2 novembre 2015 la Commissione Tributaria Regionale della Liguria, previa dichiarazione di cessazione parziale della materia del contendere, accoglieva l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate, ufficio locale, avverso la sentenza n. 122/3/12 della Commissione tributaria provinciale di La Spezia che aveva accolto i ricorsi della P. Carni di P.R. snc, P.R., C.M. e C.S. contro gli avvisi di accertamento IRAP, IVA 2005-2006. La Commissione tributaria regionale, per la parte che qui rileva, osservava in particolare che, residuando materia del contendere in ordine alla fattura passiva per euRo 25.000 emessa dalla Associazione Sportiva Virtus Basket Spezia in data 27 giugno 2006 con il n. 5/2006 ed afferente a prestazioni pubblicitarie assunte come effettuate dalla associazione emittente, tali prestazioni dovevano di contro considerarsi inesistenti sulla base delle prove indiziarie allegate dall’Ente impositore a sostegno delle sue pretese fiscali di cui agli atti impositivi impugnati.

Avverso la decisione hanno proposto ricorso per cassazione la società contribuente e le sue socie deducendo due motivi.

Resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che:

Con il primo motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – le ricorrenti lamentano violazione/falsa applicazione di plurime disposizioni legislative anche costituzionali, per il difetto assoluto della motivazione della sentenza impugnata.

Con il secondo mezzo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – le ricorrenti denunciano vizio motivazionale, per omesso, contraddittorio e insufficiente esame del fatto – decisivo e controverso – della inesistenza della fattura oggetto del rilievo contestato.

Le censure, da esaminarsi congiuntamente per stretta connessione, sono in parte inammissibili e comunque infondate.

Va infatti ribadito che:

-“La motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perchè affetta da “error in procedendo”, quando, benchè graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perchè recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture” (Sez. U, Sentenza n. 22232 del 03/11/2016, Rv. 641526-01).

– “La riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione” (Sez. U., Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830).

La sentenza impugnata certamente non rientra nelle ipotesi considerate in tali arresti giurisprudenziali, avendo di contro argomentato in modo sicuramente rispettoso del “minimo costituzionale”.

Infatti la CTR ha rilevato che, pur indiziarie, le prove allegate dall’Ente impositore dovevano considerarsi adeguate, derivando da intercettazioni telefoniche espletate nei confronti della Associazione sportiva emittente la fattura contestata che la stessa è stata pagata solo in parte (Euro 10.000 su 30.000) e risultando altresì che l’emittente non aveva ancora numerato le fatture all’atto dell’accesso dei verificatori di polizia tributaria, che erano state riscontrate ulteriori irregolarità contabili e che le fatture dell’Associazione erano del tutto omologhe quanto all’oggetto.

Il giudice tributario di appello ha poi anche svalorizzato con puntuale argomento la controprova offerta dai contribuenti.

Consimile articolato giudizio meritale non può essere riconsiderato in questa sede, valendo il principio che “Con la proposizione del ricorso per Cassazione, il ricorrente non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sè coerente; l’apprezzamento dei fatti e delle prove, infatti, è sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che nell’ambito di detto sindacato, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione” (Sez. 6-5, Ordinanza n. 7921 del 2011).

Il ricorso va dunque rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso; condanna le ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 2.300 oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, il 27 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 22 agosto 2017

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