Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20265 del 04/10/2011

Cassazione civile sez. lav., 04/10/2011, (ud. 16/06/2011, dep. 04/10/2011), n.20265

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Presidente –

Dott. LA TERZA Maura – Consigliere –

Dott. CURCURUTO Filippo – rel. Consigliere –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. FILABOZZI Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 23041/2007 proposto da:

MARKET CASA S.N.C., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PO 25/B, presso lo studio

dell’avvocato PESSI ROBERTO, che la rappresenta e difende unitamente

all’avvocato MASSARI NICOLA, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

E.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA COSSERIA 2,

presso lo studio dell’avvocato PLACIDI ALFREDO, rappresentato e

difeso dall’avvocato CONSALES CLAUDIO, giusta delega in atti;

– controricorrente –

contro

E.L., G.P., E.B.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 223 0/2 006 della CORTE D’APPELLO di LECCE,

depositata il 11/12/2006 R.G.N. 3351/05;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

16/06/2011 dal Consigliere Dott. FILIPPO CURCURUTO;

udito l’Avvocato GENTILE GIOVANNI per delega PESSI ROBERTO;

udito l’Avvocato CONSALES CLAUDIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GAETA Pietro, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

La Corte Appello di Lecce, riformando la sentenza di primo grado, ha accolto la domanda di E.M. contro la Market casa s.n.c. di C.P. e E.B., padre dell’attore, diretta a far dichiarare l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato fra la società e E.M. dal 1 dicembre 1993 al 2 gennaio 1997, e, conseguentemente, a far condannare la società a pagare all’ E. una determinata somma per differenze retributive, anche per lavoro straordinario, per tredicesima e quattordicesima mensilità, per ferie, festività e riposi non goduti. La Corte di merito, per quel che ancora rileva, ha ritenuto, sulla base dell’istruttoria, che l’ E. avesse dimostrato la subordinazione lavorativa con la società, osservando, in particolare, che mediante la produzione di prospetti paga per i mesi da marzo a dicembre 1996, nei quali risultava assunto quale commesso, l’attore aveva provato il rapporto per il suddetto periodo di tempo, sicchè doveva dimostrare la sua continuità nel periodo anteriore, mentre il convenuto E.B. doveva a sua volta dimostrare il fondamento dell’eccezione di simulazione assoluta del rapporto, da lui proposta sull’assunto di aver costituito solo formalmente un rapporto di lavoro con il figlio per garantire a quest’ultimo una copertura assicurativa e previdenziale.

Ciò premesso, la Corte territoriale, sulla base di una analitica disamina delle testimonianze e della documentazione prodotta, ha concluso nel senso che non era configurabile una forma di collaborazione nell’impresa familiare, come invece ritenuto dal primo giudice, e che l’appellante aveva provato la continuità del rapporto mentre l’appellato non aveva dimostrato il fondamento della sua eccezione.

Quanto alle differenze retributive il giudice di merito ha riconosciuto l’applicabilità del contratto collettivo nazionale del settore commercio, implicitamente recepito dalla società, ed ha ritenuto provata anche la prestazione di lavoro straordinario.

Pertanto ha condannato la società a pagare a E.M. una determinata somma per i titoli sopra indicati.

La Market casa s.n.c. chiede la cassazione di questa sentenza con ricorso per due motivi, illustrato anche da memoria.

E.M. resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

Con il primo motivo di ricorso si addebita alla sentenza impugnata di avere, in violazione e con falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., e art. 2094 c.c., ritenuto irrilevante l’onere probatorio della subordinazione gravante sull’attore, fondando tale decisione sul presupposto che la semplicità delle mansioni di commesso esplicate dall’ E. avrebbe reso non necessario l’esercizio del potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro.

Il motivo contesta, in sostanza, il ricorso ai criteri sussidiari in relazione al carattere elementare delle mansioni ed invoca il principio per cui anche in caso di svolgimento di mansioni elementari il lavoratore deve provare l’esercizio da parte del datore di lavoro dei poteri sopramenzionati.

Il motivo è infondato.

La giurisprudenza di questa Corte è orientata a ritenere che quando la prestazione dedotta in contratto sia estremamente elementare, ripetitiva e predeterminata nelle sue modalità di esecuzione, ed, al fine della qualificazione del rapporto di lavoro come autonomo o subordinato, il criterio rappresentato dall’assoggettamento del prestatore all’esercizio del potere direttivo, organizzativo e disciplinare non risulti, in quel particolare contesto, significativo, occorre, a detti fini, far ricorso a criteri distintivi sussidiari, quali la continuità e la durata del rapporto, le modalità di erogazione del compenso, la regolamentazione dell’orario di lavoro, la presenza di una pur minima organizzazione imprenditoriale (anche con riferimento al soggetto tenuto alla fornitura degli strumenti occorrenti)e la sussistenza di un effettivo potere di autorganizzazione in capo al prestatore, desunto anche dalla eventuale concomitanza di altri rapporti di lavoro. (Cass. 8569/2004 che nella specie, ha annullato la decisione dei giudici di merito che avevano escluso la esistenza di un rapporto di lavoro subordinato in relazione all’addetta alla pulizia dello stabile sede di un consorzio, in considerazione del contenuto del contratto di appalto stipulato tra la lavoratrice ed il consorzio – nel quale si stabiliva che la prima avrebbe quotidianamente svolto le pulizie nell’immobile, ed avrebbe percepito un compenso annuo, frazionabile anche in scadenze più brevi, ma di fatto erogato mensilmente; che era vietato il subappalto del servizio, che infine, gli strumenti di lavoro sarebbero stati forniti a carico del consorzio – ed in considerazione altresì degli elementi probatori acquisiti, dai quali era emerso che la lavoratrice non era tenuta ad osservare un preciso orario di lavoro – anche se la stessa aveva di fatto prestato servizio per quattro ore giornaliere, dovendo peraltro le pulizie essere svolte nell’orario di chiusura degli uffici – e che nessuno le aveva impartito direttive – in presenza, peraltro, di una dettagliata predeterminazione delle modalità di espletamento del servizio – nè era risultato che la stessa fosse stata assoggettata al potere gerarchico del consorzio. Nell’occasione la S.C. ha rilevato che detta decisione era stata adottata senza indagare se potessero assumere valore significativo al fine della qualificazione del rapporto, la continuità e la durata quasi ventennale del medesimo, le modalità di pagamento del corrispettivo, la circostanza che gli strumenti di lavoro fossero a carico del datore di lavoro, e la reale portata della organizzazione del lavoro da parte della lavoratrice;

coni Cass. 9251/2010).

La sentenza impugnata, peraltro, pur uniformandosi a tale principio, ha avuto comunque cura di precisare, sulla base dell’istruttoria testimoniale, che in ogni caso E.B. impartiva direttive al figlio come agli altri dipendenti e che E.M. aiutava il padre nell’attività di vendita. Quindi, contrariamente a quanto sostenuto in ricorso, la sentenza non ha indebitamente valorizzato una circostanza ammessa dallo stesso attuale ricorrente, ossia la mera presenza di E.M. nei locali dell’azienda per esercitarvi in proprio l’attività di falegnameria, ma ha indicato le ragioni di tale presenza anche in una attività diversa che, essendo svolta in “aiuto” del titolare dell’azienda e con le ulteriori caratteristiche di continuità e di durata oraria parimenti messe in rilievo dalla Corte di merito, non illogicamente è stata ritenuta, insieme agli altri, quale elemento dimostrativo della subordinazione.

Con il secondo motivo di ricorso si addebita anzitutto alla sentenza impugnata di avere in violazione e con falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., dando luogo ad una sentenza affetta da nullità e con insufficiente e contraddittoria motivazione, di avere provveduto alla liquidazione delle differenze retributive in favore dell’appellante sulla base di un ceni non prodotto contestualmente al ricorso ed acquisito irritualmente dal giudice di primo grado.

Si addebita poi alla sentenza impugnata di avere riconosciuto compensi per lavoro straordinario sulla base della mera presenza dell’ E. nei locali aziendali senza che fosse però stata raggiunta la prova della subordinazione lavorativa.

Il motivo è infondato.

La sentenza impugnata (vedi pagina 8, terzo capoverso) riassume in termini diversi la censura svolta sul punto dall’appellato, affermando che le indicazioni relative al contratto erano contenute nell’atto introduttivo attraverso la produzione dei prospetti e che pertanto risultava privo di fondamento l’argomento secondo cui non sarebbe stato indicato sin dall’atto introduttivo il contratto di settore. Quindi dalla sentenza non risulta che sia stata riproposta la questione della inammissibilità dell’ordine di deposito del contratto impartito dal Tribunale al E.. Questa questione deve quindi considerarsi preclusa in questa sede Quanto al secondo profilo, esso è infondato per l’infondatezza del primo motivo.

In conclusione, il ricorso deve essere rigettato con condanna della parte ricorrente alle spese del giudizio.

P.Q.M.

rigetta il ricorso; condanna il ricorrente alle spese in Euro 50,00 oltre ad Euro 3000 per onorari, nonchè IVA, CPA e spese generali.

Così deciso in Roma, il 16 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 4 ottobre 2011

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