Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2026 del 28/01/2021

Cassazione civile sez. I, 28/01/2021, (ud. 03/12/2020, dep. 28/01/2021), n.2026

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – rel. Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

Dott. MACRI’ Ubalda – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11521/2019 proposto da:

M.K., elettivamente domiciliato in Roma, Via Antonio

Stoppani n. 34, presso lo studio dell’avvocato Silvagni Luca,

rappresentato e difeso dall’avvocato Colavincenzo Danilo, giusta

procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato in Roma, via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura

dello Stato, che lo rappresenta e difende ope legis;

– resistente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di TORINO, depositata il 01/03/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

03/12/2020 da CAPRIOLI MAURA.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

Ritenuto che:

M.K., cittadino nigeriano, chiese alla competente commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4:

(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato politico, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex artt. 7 e segg.;

(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;

(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6 (nel testo applicabile ratione temporis).

La commissione territoriale rigettò l’istanza con provvedimento notificato in data 8.6.2018 avverso il quale il richiedente propose impugnativa avanti il Tribunale di Torino il quale, nell’esaminare la domanda ha ritenuto non credibile il racconto del richiedente – il quale aveva dichiarato di essere fuggito dal suo Paese perchè omosessuale – e ha affermato che non erano emersi elementi da cui desumere la sussistenza di una grave ed individuale minaccia nei confronti del richiedente in ragione della non credibilità del racconto del richiedente e che non era ravvisabile nell’area di provenienza una situazione di conflitto armato interno; che era insussistente una condizione di vulnerabilità all’esito del rimpatrio e non si ravvisavano condizioni individuali di elevata vulnerabilità, nè il richiedente aveva dato prova di avere seriamente intrapreso un percorso di integrazione.

M.K. ricorre per la cassazione del decreto con atto affidato a quattro motivi.

L’Amministrazione intimata non ha svolto difese.

Con il primo motivo si lamenta ex art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 comma 2 e art. 27, comma 1 bis e del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3,5,6,7 e art. 8, comma 1 e secondo.

Si lamenta che il primo Giudice avrebbe violato il principio i individualità ed imparzialità nell’esame della domanda previsto dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 2.

Si sostiene che il Tribunale non avrebbe tenuto conto di possibili incongruenze nel racconto di chi giunge in Italia dopo un lungo viaggio costellato da esperienze traumatiche ed è proprio al fine di colmare tali lacune devono ritenersi predisposti gli specifici criteri di valutazione delle richieste ed il particolare regime probatorio in deroga alle norme civilistiche.

Si duole inoltre che il primo giudice non avrebbe tenuto conto la documentazione prodotta all’udienza del 6.2.2019 riguardante la presa di conoscenza della propria omosessualità da parte del richiedente, il supporto fornito dall’Arcigay e quindi la tessera della medesima associazione in violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, lett. b) e c), finendo in tal modo per inficiare una conferente correlazione alla condizione individuale del richiedente assunta erroneamente come non credibile.

Con il secondo motivo si censura ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione fra le parti,omessa motivazione sulle persecuzioni ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 8, comma 2, da cui deriverebbe l’illogica ed apparente motivazione sul rapporto fra elementi oggettivi ed individuali alla base della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), secondo la sentenza della Corte di Giustizia Europea del 17.2.2009.

Si lamenta che il Tribunale muovendo dall’inverosimiglianza del fatto narrato esclude le ipotesi previste all’art. 14 a e b senza considerare i limiti della memoria umana derivanti da esperienze traumatiche.

Si denuncia altresì la violazione dei principi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3 e comma 5, dell’art. 8, comma 1 e 2 e del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 8, comma 2, per avere i giudici di primo grado svuotato di significato e rilevanza la vicenda personale del richiedente.

Si osserva poi con riferimento alla situazione generale della Nigeria che la mancata indicazione delle date nelle fonti menzionate non consentirebbe di verificare se il Collegio abbia ottemperato al principio di stretta attualità di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, e comunque si evidenzia che quanto riportato nella decisione impugnata non fa emergere una situazione di totale estraneità dell’Edo State da possibili fonti di violenza generalizzata.

Da ultimo si denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione fra le parti, l’omesso esame della capacità di integrazione del richiedente attraverso l’attività di volontariato documentate in relazione alle condizioni del paese e della regione di provenienza alla luce dei presupposti per la protezione umanitaria di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5.

Si critica la carente motivazione in ordine ai presupposti di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 6, comma 2 e alla mancata valutazione della documentazione prodotta in ordine alla omosessualità in violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, lett. B) e comma 5, lett. B).

Si duole che il Tribunale avrebbe ricondotto la domanda di protezione umanitaria alla sola instabilità politica del paese e alla violazione dei diritti umani che connota la Nigeria senza procedere a una valutazione unitaria e complessiva della richiesta e pertanto omettendo qualunque correlazione della persecuzione subita e documentata.

Il primo motivo è infondato.

Giova ricordare con riguardo alla lamentata violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, il disposto del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, lett. b), (esame su base individuale della dichiarazione e della documentazione presentate dal richiedente) non può essere inteso nel senso di imporre l’analitica valutazione di ciascun documento prodotto al giudicante, il quale, al contrario, è tenuto a enunciare le ragioni del proprio convincimento senza tuttavia dover passare in rassegna ciascuna delle prove offerte dal richiedente asilo ed effettuare una precisa esposizione di tutte le singole fonti di prova e del loro specifico peso probatorio; la stessa norma, al comma 5, detta i criteri di procedimentalizzazione legale della decisione in merito alla valutazione di credibilità delle dichiarazioni del richiedente, ma non prescrive una valutazione, separata e prioritaria, dei documenti prodotti dal migrante; al contrario, il giudicante è tenuto a un apprezzamento globale della congerie istruttoria raccolta, cosicchè anche in questa materia la scelta degli elementi probatori e la valutazione di essi rientrano nella sfera di discrezionalità del giudice di merito, il quale non è obbligato a confutare dettagliatamente le singole argomentazioni svolte dalle parti su ciascuna delle risultanze probatorie ma deve soltanto fornire un’esauriente e convincente motivazione sulla base degli elementi ritenuti più attendibili e pertinenti.

Nel caso di specie, invece, il giudice di merito, facendo corretta applicazione dei principi sopra enunciati ha valutato il racconto del richiedente e ha ritenuto le dichiarazioni del ricorrente nel complesso non credibili, specificando le ragioni del suo convincimento rilevati alle pagina 2, 3 e 4 del provvedimento impugnato e non ritenendo fondato il timore persecutorio rappresentato dal richiedente, nè il danno grave in caso di rimpatrio avuto riguardo alla condizione soggettiva dello stesso per i motivi legati alla sua vicenda personale e alla situazione politico-sociale del paese di provenienza.

Il primo Giudice, contrariamente a quanto affermato nel ricorso, ha anche esaminato la tessera rilasciata dall’Arcigay di Torino qualche giorno prima dell’udienza fissata per la comparizione ritenendo il documento proprio in considerazione delle modalità temporali non idoneo a scalfire la mancanza di credibilità delle vicende narrate.

Questa Corte ha di recente ribadito che la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, il D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c).

Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, o come motivazione apparente, o come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (Cass. n. 3340 del 2019; conf. Cass. n. 6265 del 2020; Cass. n. 1516 del 2020).

Con riferimento al secondo motivo va rilevato che la giurisprudenza di legittimità ha precisato che, in tema di riconoscimento della protezione sussidiaria, il principio secondo il quale, una volta che le dichiarazioni del richiedente siano giudicate inattendibili alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non occorre procedere ad approfondimenti istruttori officiosi, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori, investe certamente, oltre alla richiesta di riconoscimento dello status di rifugiato, pure le domande formulate ai sensi dell’art. 14, lett. a) e b), del predetto Decreto (cfr. Cass. n. 15794 del 2019; Cass. n. 4892 del 2019).

Quanto poi alla richiesta formulata ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), è ben vero “in tema di protezione sussidiaria dello straniero, ai fini dell’accertamento della fondatezza di una domanda proposta sulla base del pericolo di danno di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), (violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato determinativa di minaccia grave alla vita o alla persona), una volta che il richiedente abbia allegato i fatti costitutivi del diritto, il giudice del merito è tenuto, ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, a cooperare nell’accertare la situazione reale del paese di provenienza mediante l’esercizio di poteri-doveri officiosi d’indagine e di acquisizione documentale in modo che ciascuna domanda venga esaminata alla luce di informazioni aggiornate sul Paese di origine del richiedente” e che “al fine di ritenere adempiuto tale onere, il giudice è tenuto ad indicare specificatamente le fonti in base alle quali abbia svolto l’accertamento richiesto” (Cass. 26 aprile 2019, n. 11312).

Tuttavia, si deve ritenere che chi intenda denunciare, in sede di legittimità, la violazione da parte del giudice di merito dei propri doveri istruttori, sotto il profilo del mancato esercizio dei poteri di indagine o di incompleta indicazione delle fonti ha sempre l’onere di allegare, per consentire a questa Corte di valutare la decisività della censura, che esistono COI aggiornate e dimostrative dell’esistenza, nella regione di sua provenienza, di una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato; di indicarle; di riassumerne o trascriverne il contenuto, nei limiti strettamente necessari al fine di evidenziare che, se il giudice di merito ne avesse tenuto conto, l’esito della lite sarebbe stato diverso;

il motivo, per quanto attinente ad una violazione di legge, riguarda infatti pur sempre l’omesso esercizio di poteri istruttori, la cui censura non può consistere nella mera allegazione della mancata ricerca di una prova purchessia e va viceversa sorretto da un ragionamento, eventualmente anche desumibile ex se dal contenuto delle COI, che dimostri l’indispensabilità degli elementi così addotti; in altre parole, la necessaria concludenza del vizio denunciato, comporta il convergere della censura in un requisito di indispensabilità del mezzo, la cui ricorrenza è già stata individuata da questa Corte, seppure in altri ambiti, allorquando esso sia idoneo ad eliminare ogni possibile incertezza od a provare quel che sia rimasto indimostrato (Cass., S.U., 4 maggio 2017, n. 10790; v. anche, in tema di mancato esercizio dei poteri istruttori officiosi da parte del giudice del lavoro, Cass. 10 settembre 2019, n. 22628; fino a Cass. 16 maggio 2002, n. 7119);

Connotazioni questa che mancano nel caso in esame ove il ricorrente si limita a contestare la valutazione espressa dal Tribunale in merito alla mancanza di instabilità politica e di violenza nell’area di provenienza del richiedente.

Il motivo va pertanto rigettato.

Il terzo profilo di censura è inammissibile.

La concessione della protezione umanitaria risponde ad una fattispecie complessa alla cui definizione concorrono con le condizioni di vulnerabilità personale del richiedente protezione, positivamente scrutinabili anche in relazione alle condizioni di instabilità del paese di rimpatrio, l’integrazione raggiunta nel territorio nazionale.

Colui che ricorre in cassazione non può pertanto circoscrivere la censura alla decisione di merito di rigetto alla mancata valutazione da parte del giudice della situazione di instabilità del paese di origine senza, nel contempo, portare contestazione alla ritenuta mancata sua integrazione in territorio italiano (Cass. SU a 29459 del 13/11/2019) che nel caso in esame non può essere desunta da una tessera rilasciata dall’Arcigay in prossimità dell’udienza di comparizione specie ove si consideri che il tribunale aveva già escluso che potesse essere credibile il racconto in merito alla omosessualità, sicchè non è su questo profilo che in ogni caso il ricorrente potrebbe far leva.

D’altronde, M.K. sollecita questo Giudice del diritto a riesaminare profili rilevanti sul piano del giudizio “di fatto”, la cui delibazione è evidentemente preclusa in questa sede, al pari del riesame delle risultanze istruttorie.

Alla stregua delle considerazioni sopra esposte il ricorso va rigettato.

Nessuna determinazione in punto spese per il mancato svolgimento di attività difensiva da parte dell’intimata.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; nulla per le spese;ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 3 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 28 gennaio 2021

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