Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2026 del 27/01/2011

Cassazione civile sez. lav., 27/01/2011, (ud. 28/10/2010, dep. 27/01/2011), n.2026

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BATTIMIELLO Bruno – Presidente –

Dott. LAMORGESE Antonio – rel. Consigliere –

Dott. D’AGOSTINO Giancarlo – Consigliere –

Dott. CURCURUTO Filippo – Consigliere –

Dott. MAMMONE Giovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 26318-2009 proposto da:

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE (OMISSIS) in

persona del suo Presidente e legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLA FREZZA 17, presso

l’AVVOCATURA CENTRALE DELL’ISTITUTO, rappresentato e difeso dagli

avvocati ALESSANDRO RICCIO, NICOLA VALENTE, CLEMENTINA PULLI, giusta

procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

B.G. (OMISSIS), elettivamente domiciliata

in ROMA, VIA APPIO CLAUDIO 334, presso lo studio dell’avvocato BROSIO

GIOVANNA, rappresentata e difesa dall’avvocato ARIZIA ANTONINO,

giusta procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 907/2007 della CORTE D’APPELLO di MESSINA del

27/09/07, depositata il 25/11/2008;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

28/10/2010 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONIO LAMORGESE;

è presente il P.G. in persona del Dott. MASSIMO FEDELI.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte di appello di Messina, con sentenza depositata il 25 novembre 2008, in riforma della decisione di primo grado, ha riconosciuto il diritto di B.G. all’assegno d’invalidità con decorrenza dal 1 maggio 2005.

La Corte territoriale, pur rilevando che l’appello avverso la pronuncia del Tribunale della stessa sede, pubblicata il 28 aprile 2003, era stato proposto dalla B. il 21 maggio 2004, ha considerato l’aggravamento, intervenuto nelle more del processo, delle condizioni di salute dell’appellante, riscontrato dal consulente tecnico d’ufficio.

Per la cassazione della sentenza l’Istituto ha proposto ricorso con tre motivi, cui l’intimata ha resistito con controricorso, illustrato con memoria.

Ravvisati i presupposti per la decisione del ricorso in camera di consiglio, è stata redatta relazione ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ., poi ritualmente notificata alle parti e comunicata al Procuratore Generale.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

L’INPS, denunciando violazione o falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ. (primo motivo) e degli artt. 133, 323, 327, 433 e 434 cod. proc. civ. (secondo motivo) e vizio di motivazione (terzo motivo), critica la sentenza impugnata per non avere esaminato l’eccezione di inammissibilità dell’appello, sollevata con la memoria di costituzione in sede di gravame, e per avere ritenuto implicitamente l’ammissibilità dell’impugnazione sebbene proposta oltre il termine annuale, senza fornire alcuna ragione in proposito.

Il ricorso è fondato nei limiti appresso precisati.

Anche se con riferimento al primo motivo si deve rilevare, così correggendosi quanto evidenziato nella relazione ex art. 380 bis cod. proc. civ., che il mancato esame da parte del giudice di appello, o in unico grado, di una questione meramente processuale non può dar luogo a un vizio di omessa pronuncia, che attiene soltanto al mancato esame delle domande di merito e non può assurgere a causa autonoma di nullità della sentenza impugnata (Cass. 23 gennaio 2009 n. 1079, Cass. 25 giugno 2003 n. 10073), sussiste la violazione, denunciata con il secondo motivo, dell’art. 327 cod. proc. civ..

E’ in realtà errata la soluzione implicitamente data dal giudice alla questione sollevata dalla parte, e comunque rilevabile d’ufficio, circa la decadenza della parte dall’impugnazione. La quale non è stata rilevata dalla Corte territoriale, pur avendo dato atto nell’esposizione in fatto della sentenza, della eccezione d’inammissibilità del gravame sollevata dall’Istituto sotto il profilo della violazione da parte dell’appellante del termine di cui all’art. 327 cod. proc. civ..

Data la natura di controversia in materia assistenziale, ai sensi della L. 7 ottobre 1969, n. 742, art. 3 non è infatti applicabile la sospensione dei termini nel periodo feriale.

Nè la deduzione svolta dalla resistente in memoria, secondo cui la tardività dell’appello da essa proposta non sarebbe stata “oggetto di disputa tra le parti” – a parte la smentita contenuta nella esposizione in fatto della sentenza impugnata, ove invece si da atto (v. pag. 2 della sentenza) dell’eccezione in proposito sollevata dall’INPS con la memoria di costituzione nel giudizio di appello – può avere alcuna rilevanza, in quanto l’inammissibilità dell’impugnazione derivante dall’inosservanza dei termini all’uopo stabiliti a pena di decadenza è correlata alla tutela d’interessi di carattere generale e, come tale, è insanabile, oltre che rilevabile d’ufficio (cfr. fra le tante, Cass. sez. unite 5 aprile 2005 n. 6983).

Inconferente è poi il richiamo ai precedenti giurisprudenziali che negano l’ammissibilità del mezzo di annullamento ove siano contestualmente dedotti il vizio di omessa pronuncia e quello di motivazione, poichè nella specie l’Istituto ricorrente ha formulato motivi diversi, e soprattutto perchè l’inammissibilità del motivo di omessa pronuncia non esclude la fondatezza dell’altro motivo in cui è stata denunciata la violazione dell’art. 327 cod. proc. civ..

Anche la circostanza pure argomentata in memoria circa l’aggravamento accertato nel corso del giudizio di appello, sulla base delle risultanze della consulenza tecnica di ufficio rinnovata nel grado, aggravamento che comportando per l’odierna resistente il riconoscimento del diritto alla prestazione, l’avrebbe “costretta ad attendere l’esito del giudizio per poi dare avvio ad un nuovo iter amministrativo” ove la Corte territoriale si fosse limitata a dichiarare l’inammissibilità dell’impugnazione per decorrenza dei termini, non può avere alcuna influenza sulla questione dell’intempestività dell’appello.

In conclusione la sentenza impugnata deve essere cassata a norma dell’art. 382 c.p.c., comma 3, u.p., in quanto il giudizio non avrebbe potuto proseguire.

Non si deve provvedere sulle spese del giudizio di cassazione e di quello di appello, ai sensi dell’art. 152 disp. att. cod. proc. civ., nel testo anteriore a quello di cui al D.L. 30 settembre 2003, n. 269, art. 42, comma 11, convertito nella L. 24 novembre 2003, n. 326, modifica qui non applicabile ratione temporis.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso nei limiti di cui in motivazione; cassa senza rinvio la sentenza impugnata; nulla per le spese del presente giudizio e di quello di appello.

Così deciso in Roma, il 28 ottobre 2010.

Depositato in Cancelleria il 27 gennaio 2011

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