Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20258 del 25/09/2020

Cassazione civile sez. lav., 25/09/2020, (ud. 21/07/2020, dep. 25/09/2020), n.20258

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ANTONIO Enrica – Presidente –

Dott. MANCINO Rossana – rel. Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –

Dott. BUFFA Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3216/2015 proposto da:

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA CESARE BECCARIA n. 29 presso l’Avvocatura Centrale

dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati EMANUELA

CAPANNOLO, MAURO RICCI, e CLEMENTINA PULLI;

– ricorrente –

contro

E.G., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA

CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE,

rappresentato e difeso dall’avvocato DONATO DI PINTO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2640/2014 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 04/11/2014, R.G.N. 2061/2012;

Il P.M. ha depositato conclusioni scritte.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. con sentenza in data 4 novembre 2014, la Corte di Appello di Bari ha riformato la sentenza di primo grado e riconosciuto il diritto dell’attuale ricorrente alla pensione di reversibilità del padre, quale figlio superstite invalido e vivente a carico;

2. avverso tale sentenza l’INPS ha proposto ricorso, affidato ad un articolato motivo, al quale ha opposto difese E.G., con controricorso;

3. il P.G. ha richiesto il rigetto del ricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

4. con il primo motivo l’INPS denuncia la violazione e falsa applicazione del R.D. n. 636 del 1939, art. 13, D.P.R. n. 818 del 1957, art. 19, comma 2, artt. 39 e 40, art. 2697 c.c., artt. 414,415,421 e 437 c.p.c.;

5. in sostanza l’Istituto lamenta che, nonostante il controricorrente non avesse specificamente allegato, nel ricorso introduttivo del giudizio, lo stato di “vivenza a carico” del padre defunto e per tale ragione il giudice di primo avesse respinto la sua domanda, la Corte d’Appello aveva ritenuto legittima la tardiva allegazione di tale presupposto costitutivo del diritto alla pensione ed acquisito, in appello, la relativa documentazione, anche se la produzione era avvenuta tardivamente, dopo la costituzione in giudizio;

6. il ricorso è da rigettare;

7. la Corte d’Appello, da un canto, ha ritenuto che il ricorrente avesse allegato in ricorso la “vivenza a carico”, presupposto costitutivo del diritto fatto valere; dall’altro, con valutazione difforme dal giudice di primo grado, ha ritenuto provata l’esistenza di tale presupposto, utilizzando, al fine, i documenti prodotti dal ricorrente nel corso del giudizio di primo grado ed in grado d’appello, ritenuti “indispensabili” ai fini dell’accertamento della verità materiale e della decisione della causa;

8. questa Corte ha già chiarito (v., fra le altre, Cass. n. 13353 del 2012) che nel rito del lavoro, in deroga al generale divieto di nuove prove in appello, è possibile l’ammissione di nuovi documenti, su richiesta di parte o anche d’ufficio, solo nel caso in cui essi abbiano una speciale efficacia dimostrativa e siano ritenuti dal giudice indispensabili ai fini della decisione della causa, facendosi riferimento per “indispensabilità” delle nuove prove ad una loro “influenza causale più incisiva” rispetto alle prove in genere ammissibili in quanto “rilevanti”, ovvero a prove che siano idonee a fornire un contributo decisivo all’accertamento della verità materiale per essere dotate di un grado di decisività e certezza tale che da sole considerate, e quindi a prescindere dal loro collegamento con altri elementi e da altre indagini, conducano ad un esito “necessario” della controversia;

9. questa Corte ha più volte precisato (v. Cass., Sez. U., n. 11353 del 2004 e, da ultimo, per tutte, Cass. n. 3318 del 2019 e i precedenti ivi richiamati) che nel rito del lavoro e, in particolare, nella materia della previdenza e assistenza, caratterizzata dall’esigenza di contemperare il principio dispositivo con quello della ricerca della verità materiale, gli artt. 421 e 437 c.p.c., attribuiscono al giudice il potere – dovere di provvedere di ufficio agli atti istruttori idonei a superare l’incertezza sui fatti costitutivi dei diritti in contestazione, sempre che tali fatti siano stati puntualmente allegati nell’atto introduttivo e quindi oggetto del dibattito processuale e richiedono che, dall’esposizione dei fatti compiuta dalle parti o dall’assunzione degli altri mezzi di prova, siano dedotti, sia pure implicitamente, quei fatti e quei mezzi di prova idonei a sorreggere le ragioni della parte e a decidere la controversia, e cioè che sussistano significative piste probatorie emergenti dagli atti di causa, intese come complessivo materiale probatorio, anche documentale, correttamente acquisito agli atti del giudizio di primo grado (v. Cass. Sez. U. n. 11353 del 2004 cit.);

10. il deposito in appello di documenti non prodotti in prime cure non è oggetto di preclusione assoluta, in quanto il giudice di appello, nell’esercizio dei poteri officiosi di cui all’art. 437 c.p.c., può sempre ammettere detti documenti ove li ritenga indispensabili al fine della decisione e sempre che sussista una pista probatoria, nel senso sopraindicato;

11. nel caso di specie la Corte del merito ha rimarcato, e motivato, in continuità con i richiamati precedenti di legittimità, l’indispensabilità della documentazione diretta all’accertamento della verità materiale in ordine all’acquisizione dei documenti prodotti in appello comprovanti, agli effetti della vivenza a carico, la condizione reddituale del superstite inabile, tenuto conto dei soli redditi personali soggetti ad IRPEF con esclusione dei redditi del coniuge (nella specie, la sentenza di separazione personale), con positivo e decisivo accertamento tale da condurre all’esito del completo rovesciamento della decisione cui era pervenuto il giudice di primo grado quanto alla sussistenza del requisito della vivenza a carico;

12. la sentenza impugnata risulta, pertanto, immune da censure;

13. segue, coerente, la condanna alle spese di lite;

14. ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, sussistono i presupposti processuali per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso ex art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in Euro 200,00 per esborsi, Euro 3.000,00 per compensi professionali, oltre quindici per cento spese generali e altri accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, sussistono i presupposti processuali per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso ex art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 21 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 25 settembre 2020

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