Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20256 del 31/07/2018


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 20256 Anno 2018
Presidente: CRISTIANO MAGDA
Relatore: STALLA GIACOMO MARIA

SENTENZA

sul ricorso 11130-2011 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente contro

ASICS ITALIA SPA in persona del legale rappresentante
pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA
COLA DI RIENZO 180, presso lo studio dell’avvocato
PAOLO FIORILLI, rappresentato e difeso dagli avvocati
MARCO MICCINESI, FRANCESCO PISTOLESI giusta delega a

Data pubblicazione: 31/07/2018

marcine;
– controricorrente

avverso la sentenza n. 19/2010 della COMM.TRIB.REG. di
TORINO, depositata il 03/03/2010;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica

MARIA STALLA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. UMBERTO DE AUGUSTINIS che ha concluso
per l’accoglimento del ricorso;
udio per il ricorrente l’Avvocato GAROFOLI che ha
chiesto l’accoglimento;
udito per il controricorrente l’Avvocato GINANNESCHI
per delega dell’Avvocato MICCINESI che ha chiesto
l’inammissibilità o rigetto del ricorso.

udienza del 08/06/2018 dal Consigliere Dott. GIACOMO

Fatti rilevanti e ragioni della decisione.
§ 1. L’agenzia delle entrate propone un motivo di ricorso per la cassazione della
sentenza n. 19/33/10 del 3 marzo 2010, con la quale la commissione tributaria
regionale del Piemonte, a conferma della prima decisione, ha ritenuto infondato – per
la parte che qui ancora interessa – l’avviso di accertamento notificato, per Iva 2001,
ad Asics Italia spa. Avviso recante il rilievo della mancata applicazione dell’Iva sulle
fatture di riaddebito alla casa madre, e proprietaria del marchio, Asics Corporation
media italiani su

incarico della stessa Asics Italia, in asserita violazione del principio di territorialità
Iva.
La commissione tributaria regionale, in particolare, ha ritenuto che tale rilievo fosse
infondato, dal momento che tra Asics Italia e la casa madre extra-UE non era
intercorso, contrariamente a quanto sostenuto dall’ufficio, un rapporto di mandato
senza rappresentanza, bensì un rapporto di fornitura di un servizio pubblicitario
indiretto forfettariamente quantificato; dovendosi distinguere il luogo della sede della
società erogante il servizio e degli sponsor (nella specie, calciatori ed atleti residenti
in Italia ma operanti anche in ambito internazionale), e quello (indeterminato) in cui
il messaggio pubblicitario trovava realizzazione ed effetto (sostanzialmente, in tutto il
mondo e, quindi, anche in ambiti extraterritoriali ai fini Iva, ex art.7, co.4^, lett.d)
dpr 633/72).
Resiste con controricorso Asics Italia spa la quale deduce vari profili di
inammissibilità del ricorso, nonché la sua infondatezza.
§ 2.1Conrunico motivo di ricorso l’Agenzia delle Entrate lamenta – ex art.360, 1″ co.
n. 3 cod.proc.civ. – violazione e falsa applicazione dell’art. 9 della Sesta Direttiva Iva
(alla luce dei principi fissati con sentenze CGUE 19 febbraio 2009 in causa C-1/08
AthesiaDruck, e 15 marzo 2001 in causa C-108/00), nonché dell’art. 7, 4^ comma,
lett.f) dpr 633/72, per avere la commissione tributaria regionale escluso l’imponibilità
Iva delle prestazioni pubblicitarie, nonostante che: – tali prestazioni divenissero
imponibili in Italia (luogo di residenza degli atleti incaricati) anche se rese a favore di
soggetto extra Ue (art.7, 4^ comma, lett.f) cit.), posto che in Italia si collocava il
‘luogo di utilizzazione della prestazione pubblicitaria’, ravvisabile in quello “dal quale
vengono diffusi i messaggi pubblicitari”

(sent.CGUE 19 febbraio 2009 cit.); –

quest’ultima disposizione normativa si ponesse in deroga al principio generale di
territorialità, così come consentito agli Stati membri dall’articolo 9, n. 3, lett.b) della
citata direttiva Iva (sicché il criterio di collegamento generale del domicilio del
prestatore era sostituito, per le prestazioni pubblicitarie, dal ‘luogo di utilizzo della
prestazione’, come sopra individuabile).

Ric.n.11130/11 rg. – Ud.dell’8 giugno 2018

II Cons.

Japan, di una quota delle prestazioni pubblicitarie erogate da

§ 2.2 Il motivo non può trovare accoglimento.
Il tema fondamentale di causa attiene alla corretta applicazione del principio di
territorialità dell’Iva in una fattispecie di prestazione pubblicitaria indiretta resa, in
forza di contratti di sponsorizzazione di abbigliamento sportivo, da atleti, squadre e
federazioni sedenti in Italia (ma partecipanti a competizioni e manifestazioni sportive
su scala internazionale), a favore di un soggetto non-UE (la casa madre giapponese,
alla quale la committente italiana fatturava, fuori campo Iva ex art.7, 4^co. lett.f)

pubblicitarie mondiali).
Il dato normativo di partenza è costituito dall’art.9 della Sesta Direttiva CEE in
materia di Iva, secondo la quale (2^ co., lett.e)) il luogo (tra le altre) delle
prestazioni pubblicitarie “rese a destinatari stabiliti fuori della Comunità (…)” deve
essere individuato in “quello in cui il destinatario ha stabilito la sede della sua attività
economica o ha costituito un centro di attività stabile per il quale si è avuta la
prestazione di servizi o, in mancanza di tale sede o di tale centro d ‘attività stabile, il
luogo del suo domicilio o della sua residenza abituale”.
Questa regola generale, che porterebbe di per sé ad escludere la rilevanza Iva
delle prestazioni pubblicitarie rese alla società giapponese, trova però temperamento
nel terzo comma, lett.b), del medesimo art.9 Dir., in base al quale, per le prestazioni
in oggetto: “Al fine di evitare casi di doppia imposizione, di non imposizione o di
distorsione di concorrenza, gli Stati membri possono (…) considerare: (…) b) il luogo
di prestazione dei servizi situato al di fuori della Comunità a norma del presente
articolo come se fosse situato all’interno del paese quando l’effettiva utilizzazione e
l’effettivo impiego hanno luogo all’interno del paese”.
Su tale presupposto, il legislatore italiano ha disciplinato la materia nell’articolo 7,
4^co., lett.f), dpr 633/72 cit. in base al quale, nella formulazione vigente
rationetemporis(la disciplina della territorialità Iva, successivamente ai fatti di causa,
è mutata per effetto del decreto legislativo n. 18/2010, emanato per adeguare
l’ordinamento nazionale alle sopravvenute direttive UE in materia), è previsto (prima
parte) che le prestazioni pubblicitarie (tra le altre) “si considerano effettuate nel
territorio dello Stato quando sono utilizzate in Italia o in altro Stato membro della
Comunita’ stessa”, quand’anche “rese a soggetti domiciliati e residenti fuori della
Comunita’ economica europea”.
La stessa disposizione prescrive poi (seconda parte) che le medesime prestazioni, se
rese – anche a favore di soggetti extra UE – da soggetti domiciliati o residenti in Italia
“si considerano effettuate nel territorio dello Stato quando sono utilizzate in Italia o in
altro Stato membro della Comunita’ stessa”.

Ric.n.11130/11 rg. – Ud.dell’8 giugno 2018

dpr 633/72, il rimborso forfettario della parte di compensi relativi alle prestazioni

Risulta dunque che l’esercizio in materia della potestà di deroga si è concretato nella
sostituzione del criterio di collegamento costituito dalla ‘sede del destinatario’ della
prestazione pubblicitaria, con quello del ‘luogo di utilizzazione’ di tale prestazione.
Sul contenuto di quest’ultimo criterio di collegamento territoriale, è intervenuta (su
questione pregiudiziale sollevata da questa corte di legittimità, nell’ambito del
giudizio poi definito con la sentenza n.26687/09, escludente anch’essa l’imposizione
Iva) la citata sentenza CGUE 19 febbraio 2009, in causa C-1/08 AthesiaDruck, la

materia di prestazioni pubblicitarie, quando il destinatario della prestazione è stabilito
fuori del territorio della Comunità, il luogo della prestazione, in linea di principio, ai
sensi dell’art. 9, n. 2, lett. e), della sesta direttiva, è fissato ove ha sede il
destinatario; tuttavia, gli Stati membri possono avvalersi della facoltà prevista
dall’art. 9, n. 3, lett. b), della sesta direttiva, stabilendo il luogo della prestazione dei
servizi in questione, in deroga a detto principio, all’interno dello Stato membro
interessato; b. ove si sia fatto uso della facoltà di cui all’art. 9, n. 3, lett. b), della
sesta direttiva, una prestazione pubblicitaria effettuata da un prestatore stabilito
nella Comunità a vantaggio di un destinatario stabilito in uno Stato terzo,
indipendentemente dal fatto che tale destinatario sia un destinatario finale o
intermedio, è considerata essere stata effettuata nella Comunità, purché l’effettiva
utilizzazione e l’effettivo impiego, ai sensi dell’art. 9, n. 3, lett. b), della sesta
direttiva, avvengano all’interno dello Stato membro interessato;

c. in materia di

prestazioni pubblicitarie si verifica l’ipotesi di effettiva utilizzazione ed effettivo
impiego “quando la diffusione dei messaggi pubblicitari oggetto della prestazione

avviene a partire dallo Stato membro interessato”.
Dal tenore della motivazione della CGUE si evince che il criterio di collegamento in
deroga (considerazione del luogo di prestazione dei servizi situato al di fuori della
Comunità a norma dell’art.9 Dir.cit. come se fosse situato all’interno del Paese) può
operare (§ 28) “quando l’effettiva utilizzazione e l’effettivo impiego hanno luogo

all’interno del paese”; e per Paese all’interno del quale hanno luogo l’effettiva
utilizzazione e l’effettivo impiego delle prestazioni pubblicitarie si deve intendere “il

paese dal quale vengono diffusi i messaggi pubblicitari” (§ 29).
Ora, è proprio facendo applicazione ditali principi che si giunge a ritenere infondato il
motivo di ricorso in esame.
Il giudice di merito ha appurato che le prestazioni pubblicitarie oggetto di rimborso
da parte della casa-madre giapponese non individuavano in Italia, ai fini
dell’imposizione globale Iva, il suddetto criterio di collegamento del ‘luogo di
utilizzazione’; posto che, indipendentemente dalla residenza in Italia tanto della
5
Ric.n.11130/11 rg. – Ud.dell’8 giugno 2018

Il Cons.Est.

quale ha formulato – per la parte qui rilevante – i seguenti principi conclusivi: a. in

società committente quanto dei soggetti ed enti sportivi vincolati alla
sponsorizzazione, la prestazione veniva resa e diffusa, in occasione di manifestazioni
e competizioni sportive internazionali, in Stati extra UE, ed attraverso media ed
organismi di trasmissione e comunicazione ivi ubicati.
L’agenzia delle entrate si è limitata a dare per scontato che anche le prestazioni
oggetto di rimborso, in forza degli accordi contrattuali interni alle due società del
gruppo, trovassero diffusione a partire e nell’ambito del territorio nazionale; senza

peraltro contestare che tali prestazioni consistessero in attività di sponsorizzazione
sportiva destinata anche all’ambito internazionale, perché affidata ad atleti (per es.,
calciatori della squadra nazionale) e federazioni normalmente impegnati in
manifestazioni in tutto il mondo; e nell’ambito di competizioni riprese e diffuse da
organismi di comunicazione ed informazione anch’essi dislocati in tutto il mondo.
Si tratta di circostanza fattuale dirimente, posto che la quota di rimborso dei
compensi pubblicitari addebitata dalla società italiana alla casa-madre giapponese
faceva appunto riferimento alle (sole) prestazioni pubblicitarie di diffusione mondiale
(extra UE); trovando la propria giustificazione contrattuale (causale) nel nesso di
corrispettività intercorrente tra il pagamento di tale quota di compensi da parte della
casa-madre giapponese ed il vantaggio da quest’ultima conseguito per effetto della
pubblicizzazione del marchio di proprietà in ambito internazionale.
Nemmeno, poi, l’amministrazione ha contestato la congruità della percentuale
forfettaria di rimborso in rapporto alla percentuale di effettiva diffusione ‘mondiale’
(non Iva) del messaggio pubblicitario.
In definitiva non può dirsi, sulla base dei principi fissati dalla menzionata sentenza
CGUE AthesiaDruck, che la quota di rimborso fatturato fuori campo Iva facesse
riferimento a prestazioni pubblicitarie connotate da “effettiva utilizzazione ed effettivo

impiego all’interno del paese”.
Al rigetto del ricorso consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese
processuali, che si liquidano in dispositivo.

Pqm
La Corte

rigetta il ricorso;
condanna l’agenzia delle entrate al pagamento delle spese del giudizio di
cassazione, che liquida in euro 6000,00; oltre rimborso forfettario spese
genera i ed accessori di legge.
mera di consiglio della quinta sezi ne civile in data 8 giugno
Così deciso nella
2018.
Il Cons.
Giacom
Il
5idente
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6
Ric.n.11130/11 rg. – Ud.dell’8 giugno 2018

Il Cons.Est.

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