Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20256 del 25/07/2019

Cassazione civile sez. VI, 25/07/2019, (ud. 26/03/2019, dep. 25/07/2019), n.20256

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20770-2018 proposto da:

J.M.N., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA VARESE

46, presso lo studio dell’avvocato BUCCI FABIO, che lo rappresenta e

difende;

– ricorrente –

contro

CORTE D’APPELLO DI MILANO;

– intimata –

avverso la sentenza n. 3021/2018 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 19/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 26/03/2019 dal Consigliere Relatore Dott. FALABELLA

MASSIMO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – J.M.N., originario del Bangladesh, adiva il Tribunale di Milano domandando il riconoscimento della protezione internazionale, o, in subordine, di quella sussidiaria e, in via ulteriormente gradata, di quella umanitaria.

Il Ministero dell’interno resisteva in giudizio.

Il Tribunale rigettava il ricorso.

2. – Il gravame proposto contro la decisione di prime cure era respinto dalla Corte di appello di Milano con sentenza del 19 giugno 2018.

3. – Il detto istante propone ora ricorso per cassazione facendo valere tre motivi di impugnazione. Non vi sono controricorrenti.

Il Collegio ha autorizzato la redazione della presente ordinanza in forma semplificata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Il primo motivo denuncia la violazione dell’art. 116 c.p.c.. Vi si assume che il ricorrente, pur con la “difficoltà di esprimere pensieri logici in maniera articolata”, aveva fornito la “descrizione di un quadro di persecuzione messo in atto da membri del partito Awami League nei propri confronti”.

Il secondo mezzo prospetta violazione di legge ed eccesso di potere. Vi si censura l’affermazione della Corte di appello per cui il ricorrente, dopo aver subito l’aggressione da lui narrata, aveva continuato a dimorare nello stesso posto per due anni: condotta che -si osserva – doveva ritenersi del tutto normale secondo l’id quod plerumque aaidit. Si contesta, inoltre, che il giudice distrettuale abbia ritenuto la vendita di un terreno da parte del padre del ricorrente, posta in atto un anno prima della partenza di quest’ultimo, come “prodromica” a una “volontà di emigrare”.

Col terzo motivo si oppone violazione di legge e illogicità manifesta. Il ricorrente contesta il giudizio di inattendibilità formulato dalla Corte di appello sulla scorta del rilievo per cui egli non conoscesse il significato dell’acronimo “BNP”: asserisce l’istante che “pur essendo un suppater del BNP non è certo uno studioso della storia dei partiti politici del Bangladesh, ha scarsa scolarizzazione e può tranquillamente desumersi che sia a sconoscenza del significato dell’acronimo pur aderendo al BNP”.

2. – Il ricorso risulta notificato non al Ministero dell’interno, e cioè alla controparte del ricorrente nella precedente fase del giudizio (la quale avrebbe dovuto essere evocata avanti alla Corte di cassazione), ma alla Corte di appello di Milano. Può solo aggiungersi, per senso di completezza, che le censure, per come articolate, non avrebbero comunque consentito al ricorso di superare il vaglio dell’ammissibilità. Il primo motivo, ad onta della sua rubricazione, si risolve in una mera contestazione del giudizio di fatto espresso dalla Corte di appello quanto alle motivazioni che avrebbero sospinto il richiedente asilo ad emigrare, mentre il secondo e il terzo nemmeno chiariscono i contorni delle censure svolte (per un verso l’istante cita, in ambo i motivi, la “violazione di legge”, senza però indicare la disposizione o le disposizioni di cui la Corte distrettuale avrebbe fatto erronea applicazione; per altro verso egli denuncia l'”eccesso di potere” e l'”illogicità manifesta”: e cioè fattispecie non ricomprese tra quelle fissate dall’art. 360 c.p.c. per sollevare, poi, doglianze che, al pari di quanto rilevato con riguardo al primo motivo, ineriscono al merito della controversia e non possono quindi sollevarsi in sede di legittimità): si tratta, quindi di motivi che non rientrano nelle categorie logiche di censura enucleate dal codice di rito (cfr.: Cass. 29 maggio 2012, n. 8585; Cass. 22 settembre 2014, n. 19959; Cass. 14 maggio 2018, n. 11603; Cass. 3 luglio 2008, n. 18202).

3. – Il ricorso è dunque inammissibile.

4. – Nulla deve statuirsi in punto di spese, stante la mancata resistenza del Ministero.

PQM

La Corte:

dichiara inammissibile il ricorso; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 6a Sezione Civile, il 26 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 25 luglio 2019

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