Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20253 del 03/10/2011
Cassazione civile sez. II, 03/10/2011, (ud. 15/04/2011, dep. 03/10/2011), n.20253
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SETTIMJ Giovanni – Presidente –
Dott. PETITTI Stefano – Consigliere –
Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –
Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –
Dott. DE CHIARA Carlo – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ordinanza
sul ricorso 12546-2009 proposto da:
C.A. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA,
VIALE GIULIO CESARE 71, presso lo studio dell’avvocato D’AMICO
ROBERTO, che la rappresenta e difende, giusta mandato in calce al
ricorso;
– ricorrente –
contro
FINIMMON S.A. (già PELOPIA SPA), (OMISSIS), in persona dei
propri legali rappresentanti, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA
FEDRO 52, presso lo studio dell’avvocato RICCIO ANDREA, che la
rappresenta e difende, giusta procura speciale in calce al
controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1774/2 008 della CORTE D’APPELLO di ROMA del
18/12/07, depositata il 24/04/2008;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
15/04/2011 dal Consigliere Relatore Dott. CARLO DE CHIARA;
è presente il P.G. in persona del Generale Dott. ROSARIO GIOVANNI
RUSSO.
Fatto
PREMESSO IN FATTO E DIRITTO
che nella relazione ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. si legge quanto segue:
“Con la sentenza impugnata la Corte d’appello di Roma ha respinto il gravame della sig.ra C.A. avverso la sentenza di primo grado, con cui era stata respinta la domanda di accertamento della proprietà di un piccolo immobile per intervenuta usucapione, proposta dalla C. nei confronti della s.r.l. Pelopia, ed era stata accolta la domanda riconvenzionale di indennizzo per l’abusiva occupazione dell’immobile da parte dell’attrice.
La sig.ra C. ha quindi proposto ricorso per cassazione per tre motivi, cui la società intimata ha resistito con controricorso.
I primi due motivi di ricorso, dedotti ai sensi dei nn. sia 3 che 5 dell’art. 360 c.p.c., comma 1, confondono, in realtà, i due tipi di censura (violazione di legge e vizio di motivazione) e si concludono con “quesiti” finali che nè integrano gli estremi del quesito di diritto previsto dall’art. 366 bis c.p.c., comma 1, nè contengono la “chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione” (art. 366 bis c.p.c., comma 2).
In realtà con quei motivi si pretende una inammissibile rivalutazione nel merito della statuizione dei giudici di appello di insussistenza della prova del possesso ad usucapionem.
Con il terzo motivo di ricorso si sostiene la necessità dell’integrazione del contraddittorio nei confronti di altra società, resasi acquirente dell’immobile dalla Pelopia s.r.l. prima dell’emissione della sentenza di primo grado, con riferimento alla domanda di indennizzo per l’occupazione abusiva, che la società cedente non avrebbe potuto pretendere anche per il periodo successivo alla cessione.
Si tratta di questione del tutto nuova, mai trattata in grado di appello. Quanto, dunque, al suo secondo aspetto (infondatezza della richiesta di indennità per il periodo successivo alla cessione), che attiene al merito della decisione, deve dichiararsi la sua inammissibilità per novità; quanto al primo (integrazione del contraddittorio), che integra questione processuale rilevabile anche di ufficio in ogni stato e grado del giudizio, deve dichiararsi la sua infondatezza, non ricorrendo un’ipotesi di litisconsorzio necessario.
Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO
che detta relazione è stata ritualmente comunicata al P.M. e notificata agli avvocati delle parti, i quali non hanno presentato conclusioni o memorie; che la stessa è condivisa dal Collegio; che, pertanto, il ricorso va dichiarato inammissibile;
che le spese del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente alle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 2.700,00, di cui 2.500,00 per onorari, oltre spese generali ed accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 15 aprile 2011.
Depositato in Cancelleria il 3 ottobre 2011