Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20249 del 25/09/2014


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 20249 Anno 2014
Presidente: GOLDONI UMBERTO
Relatore: PETITTI STEFANO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:

vendita – preliminare
o definitivo

NACUCCHI Giulia (NCC GLI 38A42 B180I), FAVIA Valeria Maria
(FVA VRM 63H48 B1800), FAVIA Alessandra (FVA LSN 65A69
B1800), rappresentate e difese, per procura speciale in .),)
calce al ricorso, dall’Avvocato Giuliano Lucarini, elettivamente domiciliate in Via Cicerone n. 44, Roma, presso lo
studio dell’Avvocato Francesco Carluccio;
v

– ricorrenti contro
RUBINO Margherita;
– intimata e

Data pubblicazione: 25/09/2014

FALLIMENTO C.I.S.E.T. s.d.f. di Fanuzzi Cosimo e Fanuzzi
Raffaela e dei singoli soci, in persona del curatore pro
tempore;
– intimato –

FANUZZI RAFFAELA (FNZ RFL 46T41 E471N), quale erede di
Margherita Rubino, rappresentata e difesa, per procura
speciale a margine del ricorso, dall’Avvocato Raffaello

Gioioso, presso lo studio del quale in Roma, via della
Giuliana n. 44, è elettivamente domiciliata;
– controricorrente e ricorrente incidentale contro
NACUCCHI Giulia (NCC GLI 38A42 B180I), FAVIA Valeria Maria
(FVA VRM 63H48 B1800), FAVIA Alessandra (FVA LSN 65A69
81800), rappresentate e difese, per procura speciale in
calce al ricorso, dall’Avvocato Giuliano Lucarini, elettivamente domiciliate in Via Cicerone n. 44, Roma, presso lo
studio dell’Avvocato Francesco Carluccio;
– controricorrenti al ricorso incidentale e

,

FALLIMENTO C.I.S.E.T. s.d.f. di Fanuzzi Cosimo e Fanuzzi
Raffaela e dei singoli soci, in persona del curatore pro
tempore;
– intimato –

e sul ricorso iscritto al R.G. n. 17651/08 proposto da:

nonché sul ricorso iscritto al R.G. n. 18718/08 proposto
da:
FALLIMENTO C.I.S.E.T. s.d.f. di Fanuzzi Cosimo e Fanuzzi
Raffaela e dei singoli soci, in persona del curatore pro
rappresentato e difeso, per procura speciale a

margine del controricorso con ricorso incidentale,
dall’Avvocato Tiziana Stefanelli, elettivamente domiciliato in Roma, via Giovanni Pierluigi da Palestrina n. 19,
presso lo studio dell’Avvocato Fabio Francesco Franco;
– controricorrente e ricorrente incidentale contro
– intimato NACUCCHI Giulia (NCC GLI 38A42 B180I), FAVIA Valeria Maria
(FVA VRM 63H48 B1800), FAVIA Alessandra (FVA LSN 65A69
B1800), rappresentate e difese, per procura speciale in
calce al ricorso, dall’Avvocato Giuliano Lucarini, elettivamente domiciliate in Via Cicerone n. 44, Roma, presso lo
studio dell’Avvocato Francesco Carluccio;
– controricorrenti al ricorso incidentale e
RUBINO Margherita;

intimata –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Lecce n. 624
del 2007, depositata il 4 ottobre 2007.

tempore,

Udita

la relazione della causa svolta nella pubblica

udienza dell’il febbraio 2014 dal Consigliere relatore
Dott. Stefano Petitti;

sentito l’Avvocato Francesco Carluccio, con delega;
il P.M., in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. Lucio Capasso, che ha chiesto il rigetto
del ricorso principale e degli incidentali.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione del 7 maggio 1999 Nacucchi Giulia, Favia Valeria Maria e Favia Alessandra, eredi di Favia Ugo, deceduto il 15 luglio 1981, convenivano in giudizio, dinnanzi al Tribunale di Brindisi, Rubino Margherita
e la Curatela del Fallimento C.I.S.E.T. s.d.f. di Fanuzzi
Cosimo e Fanuzzi Raffaela e singoli soci, per sentire dichiarare e riconoscere: a) in via principale, che con atto
del 4 maggio 1966, Fanuzzi Franco (marito della Rubino e
dante causa dei falliti) aveva trasferito al dante causa
di esse ricorrenti la proprietà di due immobili siti in
Brindisi, via Anime, piano quinto; b) in via subordinata
che esse ricorrenti avevano acquisito la proprietà dei
predetti immobili per usucapione ultraventennale; c) in
via ulteriormente gradata, che la predetta scrittura privata conteneva un preliminare di compravendita giustificante l’emissione di una sentenza di trasferimento della
proprietà ex art. 2932 cod. civ.

/>22-

sentito

La Curatela convenuta si costituiva in giudizio contestando la domanda attrice, chiedendone il rigetto, e proponendo contestualmente domanda riconvenzionale, volta alla risoluzione del preliminare di vendita per grave ina-

aventi causa, e la condanna delle attrici alla restituzione degli immobili e al pagamento dei frutti, con l’obbligo
della Rubino, in quanto custode dei beni pignorati, di
rendere il conto.
La Rubino si costituiva in giudizio contestando le domande attrici e spiegando a propria volta domanda riconvenzionale, con la quale chiedeva la condanna delle Favia
al pagamento in suo favore della somma di lire
500.000.000, a titolo di ristoro dell’indennità di usufrutto e di risarcimento danni.
Le attrici contestavano tutto quanto dedotto, prodotto
e richiesto dagli avversari.
Durante l’istruttoria veniva, fra l’altro, esperita
C.T.U. contabile avente ad oggetto sia l’ammontare dei residui ratei di mutuo fondiario originariamente posti a carico del Favia, e non pagati, sia le somme per valore locativo e/o mancato utilizzo delle due unità immobiliari
oggetto di causa, anche a titolo di risarcimento del danno.

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dempimento da parte del promissario acquirente e dei suoi

Al momento delle conclusioni, le attrici si limitavano
a richiedere l’accoglimento della domanda subordinata, ossia la declaratoria di acquisto per usucapione degli immobili.

si accoglieva la domanda principale, nonostante la predetta rinunzia delle parti, riconoscendo che, sulla base della scrittura privata del 1966, il Fanuzzi aveva venduto al
Favia gli immobili indicati, trasferendone dunque la proprietà in capo agli eredi, nei limiti delle rispettive
quote ereditarie, dalla data del decesso del Fanuzzi. Il
Tribunale, inoltre, accertava e dichiarava che, fino
all’anno 2002, l’ammontare delle quote del mutuo e dei relativi accessori non corrisposti dal Favia e dai suoi aventi causa a Intesa Gestione Crediti, in relazione al mutuo contratto dal Fanuzzi (che l’acquirente si era accollato) per gli appartamenti in questione, era pari a complessivi euro 17.336,39; disponeva, infine, la trascrizione della sentenza subordinatamente all’avvenuto pagamento
della detta somma, condannando i convenuti al pagamento
delle spese processuali.
Avverso tale sentenza, con atto di citazione del 7 aprile 2004, proponeva appello la Rubino, sottolineando come il Tribunale di Brindisi avesse accolto una domanda non
riproposta dalle attrici in sede di precisazione delle

6

Con sentenza del 3 marzo 2004, il Tribunale di Brindi-

conclusioni, e chiedeva di conseguenza la sospensione
dell’efficacia esecutiva della sentenza, la declaratoria
di inammissibilità e di infondatezza delle domande attrici
e, in accoglimento della propria domanda riconvenzionale,

della somma di euro 250.000, quale ristoro dell’indennità
di usufrutto e/o a titolo di risarcimento del danno per
l’abusiva occupazione degli immobili e per i conseguenti
canoni di locazione dal 1966, con il rigetto di ogni eventuale domanda proposta dalla curatela fallimentare nei
suoi confronti.
Le Favia si costituivano in giudizio, contrastando il
gravame e proponendo appello incidentale, chiedendo che la
corte riconoscesse e dichiarasse, come richiesto e confermato in primo grado, l’avvenuto acquisto della proprietà
degli immobili in questione per usucapione.
La curatela si costituiva chiedendo l’accoglimento del
gravame proposto dalla Rubino e la risoluzione del contratto di compravendita del 1966 per il grave e persistente inadempimento della controparte. Nell’ipotesi poi, di
mancata riforma della sentenza impugnata, chiedeva che
fosse fatto obbligo alla sig.ra Rubino di rendere il conto
della gestione.
La Corte d’appello di Lecce, con sentenza n. 624 del
2007, riformava la decisione impugnata rilevando, in primo

-2-

la condanna delle attrici al pagamento, in suo favore,

luogo, che le attrici in primo grado avevano rinunziato
alla domanda proposta in via principale, su cui poi si era
fondata la decisione di primo grado, e rigettando la domanda diretta ad accertare l’avvenuta usucapione degli

delle attrici al pagamento in suo favore della somma di
euro 250.000,00 a ristoro dell’indennità per l’abusiva occupazione degli immobili in questione. La Corte, infine,
compensava interamente tra le parti le spese relative ad
entrambi i gradi di giudizio.
Avverso tale sentenza, le originarie attrici propongono ricorso per cassazione, affidato ad un unico articolato
motivo.
Al ricorso ha resistito Raffaela Fanuzzi, quale erede
di Margherita Rubino, proponendo altresì ricorso incidentale affidato a due motivi.
Anche la curatela del Fallimento C.I.S.E.T. s.d.f. di
Fanuzzi Cosimo e Fanuzzi Raffaela e singoli soci ha resistito con controricorso e ha proposto ricorso incidentale,
sulla base di un motivo.
Le ricorrenti principali hanno resistito, con unico
controricorso, il ricorsi incidentali.
In prossimità dell’udienza di discussione tutte le
parti hanno depositato memoria illustrativa.
MOTIVI DELLA DECISIONE

immobili, nonché la richiesta della Rubino di condanna

1.

Deve essere preliminarmente disposta la riunione

dei ricorsi, in quanto proposti avverso la medesima sentenza (art. 335 cod. proc. civ.).
2. Il ricorso principale è affidato ad un unico arti-

applicazione di legge, ex art. 360 n.3 cod. proc. civ., in
riferimento agli artt. 1362, primo e secondo comma, 1363,
1368, secondo comma, cod. civ., 183, nn. 4 e 5, cod. proc.
civ., 1140 e 1141, secondo comma, cod. civ., e 112 cod.
proc. civ., nonché vizio di motivazione contraddittoria.
2.1. In sintesi si rimprovera al giudice d’appello di
aver erroneamente applicato le norme di ermeneutica contrattuale contenute nel codice civile.
Le ricorrenti rilevano, in primo luogo, che la lettera
del contratto non era equivocabile, contenendo una serie
di indicazioni che avrebbero dovuto indurre a qualificare
il contratto del maggio 1966 come contratto definitivo di
vendita e non come preliminare di vendita. In particolare,
nel testo si parlava di “contratto di compravendita”, le
parti erano definite “venditore” e “acquirente”;
quest’ultimo veniva immediatamente immesso nel possesso
dei beni oggetto del contratto e si accollava le residue
rate del mutuo fondiario sottoscritto dal Fanuzzi. Si
trattava, in sostanza, di elementi univoci, non contrastati dalla previsione che la stipula del contratto definiti-

colato motivo, con il quale si deduce violazione e falsa

vo sarebbe avvenuta a richiesta del Fanuzzi, atteso che
tale clausola, all’evidenza, doveva intendersi come volta
a prevedere che l’atto definitivo sarebbe stato necessario
ai soli fini della trascrizione del già avvenuto passaggio

2.2. In presenza di un dato letterale univoco, sostengono le ricorrenti, la Corte d’appello non avrebbe quindi
potuto fare ricorso a criteri ulteriori di interpretazione
del contratto, e segnatamente a quello consistente nel
comportamento successivo delle parti; e ciò tanto più che
la Corte d’appello ha preso in considerazione il comportamento di una sola delle parti e non anche dell’altra.
In ogni caso, rilevano le ricorrenti, i comportamenti
apprezzati dalla Corte d’appello e ritenuti significativi
della natura preliminare del contratto, non erano poi così
univoci. A prescindere dalla considerazione che la mancata
regolarizzazione degli immobili a fini fiscali era circostanza introdotta tardivamente dalla convenuta in giudizio, le ricorrenti sostengono che la stessa non avesse rilievo se non a fini tributari, e che non potesse valere ad
orientare ai fini dell’inquadramento di una situazione di
fatto nel possesso o nella detenzione. Ed ancora, il mancato contrasto delle azioni esecutive intraprese dai creditori del Fanuzzi era irrilevante, atteso che gli atti di
costituzione di ipoteca non comportano il trasferimento

di proprietà.

dello ius possessionis, nella specie sempre rimasto in capo al Favia e alle sue aventi causa, e che la giurisprudenza di legittimità esclude l’efficacia interruttiva al
processo esecutivo promosso dai creditori nei confronti

rilevante il mancato inserimento dei due immobili
nell’inventario redatto a seguito del decesso del loro
dante causa ovvero nella denuncia di successione, in considerazione delle specifiche finalità di tali atti.
2.3. In via subordinata, le ricorrenti rilevano che,
quand’anche si fosse voluto interpretare il contratto come
preliminare, ciò non di meno la Corte d’appello sarebbe
incorsa nella violazione degli artt. 1362 e 1140 cod.
civ., atteso che per effetto di quel contratto il loro
dante causa era comunque entrato nel possesso dei beni.
2.4. In via ulteriormente subordinata, le ricorrenti
si dolgono del fatto che la Corte d’appello abbia ritenuto
necessaria l’interversione nel possesso anche con riferimento al 50% dei beni immobili, che era di proprietà del
coniuge del Fanuzzi, il quale aveva agito come falsus procurator,

senza tuttavia che la titolare del diritto ne a-

vesse mai ratificato l’operato. In sostanza, questo
l’assunto delle ricorrenti, anche ad ammettere che il contratto del 1966 fosse un preliminare, lo stesso poteva dare luogo ad una situazione di detenzione con riguardo alla

del proprietario del bene. Né, infine, poteva ritenersi

sola quota di proprietà del Fanuzzi mentre, con riguardo
alla quota della moglie di quest’ultimo, la situazione di
fatto, in assenza di alcuna manifestazione di volontà alla
stessa riferibile, era senz’altro qualificabile come pos-

messo ogni pronuncia.
2.5. A conclusione del motivo, le ricorrenti formulano
a questa Corte i seguenti quesiti di diritto: 1) «Dica se
la Corte salentina ha violato le norme di ermeneutica contrattuale, previste dall’art. 1362, l ° comma, c. c., come
prospettate dalle ricorrenti in via principale, quando non
ha riconosciuto come contratto di vendita la nota scrittura privata, e le norme di cui al combinato disposto degli
artt. 1362, l ° comma, e 1140 c.c., in via subordinata,
quando ha affermato che la nota scrittura privata doveva
intendersi come mero contratto preliminare con effetti solo obbligatori – sebbene le parti avessero espressamente
previsto il subitaneo trasferimento del possesso con la
semplice sottoscrizione – facendo ricorso ai criteri sussidiari previsti dalla legge in tema di interpretazione
del contratto sebbene le espressioni letterali usate dalle
parti esprimessero in maniera chiara ed univoca la volontà
delle stesse»; 2) »In via subordinata, nel caso in cui la
Ecc.ma Suprema Corte adita dovesse ritenere che la Corte
di merito ha legittimamente interpretato come equivoche le

sesso. E, su tale aspetto, la Corte d’appello avrebbe o-

espressioni letterali usate dalle parti e dovesse ritenere, quindi, che la Corte salentina sia ricorsa legittimamente ai criteri sussidiari interpretativi, dica se il
Giudice di appello ha violato il disposto del secondo com-

il comportamento successivo alla stipula dell’atto, tenuto
dalle deducenti, senza minimamente considerare, invece, il
comportamento complessivo tenuto dalle parti». 3) «Dica,
inoltre, se la Corte di merito ha violato l’art. 1363
c.c., allorché ha affermato che dalla clausola, contenuta
nella scrittura oggetto del giudizio, che prevedeva che la
stipula del contratto definitivo dovesse avvenire a richiesta del geom. Fanuzzi, si deduceva che le parti avevano inteso stipulare solo un preliminare di vendita, mentre, sulla base dell’indicato disposto legislativo, la
suddetta clausola andava interpretata alla luce del senso
complessivo dell’atto dal quale si evinceva chiaramente
che le parti avevano inteso, invece, sottoscrivere un contratto di compravendita, con la conseguenza che la detta
clausola doveva intendersi prevista solo ed esclusivamente
al fine di rendere trascrivibile il passaggio di proprietà». 4) «Dica altresì se la Corte salentina ha pure violato la disposizione di cui all’art. 1368, 2 ° comma, c.c., che deve applicarsi solo nel caso in cui ci si trovi di
fronte alla interpretazione di clausole ambigue – tenendo

ma dell’art. 1362 c.c. quando ha valutato esclusivamente

conto che nel caso di specie, invece, la volontà delle
parti emergeva chiaramente dal contenuto complessivo
dell’atto sottoscritto». 5) «Dica anche se la Corte salentina ha violato l’art. 183, 4 ° e 5 ° comma, c.p.c., allor-

presunto mancato pagamento dell’I.C.I. e dell’I.R.P.E.F.
da parte delle deducenti, fondando il suo convincimento
anche su di tali eccezioni, pur essendo state le stesse
sollevate dalla difesa di Rubino Margherita per la prima
volta con la replica alla conclusionale in primo grado, e,
quindi, tardivamente». 6) «Dica se la Corte salentina ha
violato, pure, il disposto dell’art. 1140 c.c. quando ha
ritenuto che le deducenti non avevano esercitato il possesso sui beni di che trattasi, oltre che per il preteso
mancato pagamento dell’I.C.I. e dell’I.R.P.E.F., anche per
il mancato contrasto delle azioni esecutive promosse sui
beni di che trattasi e per il mancato inserimento degli
stessi nella denuncia di successione del loro dante causa
dal momento che tali comportamenti omissivi sono irrilevanti ai fini della configurazione del possesso in considerazione anche del fatto che le deducenti non avevano un
titolo di proprietà, trascritto, opponibile ai terzi». 7)
«Dica se la Corte salentina ha anche violato il disposto
dell’art. 1141, 2 ° comma, c.c. allorché lo ha ritenuto applicabile al caso di specie affermando che non vi era sta-

ché ha ritenuto di accogliere le eccezioni relative al

to mai, da parte delle deducenti e del loro dante causa,
alcun atto di interversione della detenzione in possesso
dal momento che le deducenti, unitamente al loro dante
causa, hanno sempre, sin dal 4/5/1966 posseduto e non de-

salentina ha violato il combinato disposto degli artt. 112
c.p.c. e 1141 c.c., allorché, quando ha fatto riferimento
alla “interversio possessionis”, ha tenuto solo in considerazione la posizione di Fanuzzi Franco (che era proprietario solo del 50% dell’intero) e non ha emesso alcuna
pronuncia in merito alla distinta posizione di Rubino Margherita (proprietaria del restante 50%), che non aveva
sottoscritto alcun atto con il dante causa delle deducenti».
2.6. Quanto al vizio motivazionale, le ricorrenti denunciano una evidente contraddittorietà della motivazione,
per avere la Corte d’appello, dapprima, fatto riferimento
r^.■

alla usuale prassi tra imprenditori (art. 1368, secondo
comma, cod. civ.), in tal modo lasciando intendere che il
contratto fosse stato sottoscritto da parti del tutto consapevoli del significato delle espressioni utilizzate; e
poi affermato che le espressioni utilizzate nel contratto
erano, all’evidenza, “non tecniche”. Sotto altro profilo,
le ricorrenti evidenziano l’ulteriore vizio, consistente
in ciò che la Corte d’appello avrebbe valutato il compor-

tenuto i beni in questione». 8) «Dica, infine, se la Corte

tamento delle parti, ai sensi dell’art. 1362, secondo comma, cod. civ., facendo riferimento esclusivamente al comportamento del promissario acquirente e delle sue aventi
causa.

oltre a resistere al ricorso principale, eccependone la
inammissibilità, ha proposto ricorso incidentale affidato
a due motivi.
3.1. Con il primo motivo del proprio ricorso incidentale la Fanuzzi denuncia la violazione o falsa applicazione, ex art. 360 n. 3, cod. proc. civ., degli artt. 1164,
1165 e 2944 cod. civ., e l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, ex art 360, n. 5, cod. proc.
civ. Con tale motivo, proposto anche quale argomentazione
volta a resistere al ricorso principale, la ricorrente si
duole del mancato esame, da parte della Corte d’appello,
dei molteplici comportamenti tenuti dalle appellate nel
corso del giudizio di secondo grado, a suo dire chiaramente incompatibili con la residua domanda di usucapione.
A conclusione del motivo la ricorrente formula un articolato quesito di diritto.
3.2. Con il secondo motivo la ricorrente incidentale
lamenta la violazione e la falsa applicazione, ex art. 360
n. 3, cod. proc. civ., degli artt. 832, 981 e 2043 cod.
civ., unitamente alla omessa insufficiente e contradditto-

3. Fanuzzi Raffaela, quale erede di Rubino Margherita,

ria motivazione ex art. 360, n. 5, cod. proc. civ. La ricorrente sostiene che l’occupazione dell’immobile, indebita in quanto la propria dante causa Margherita Rubino,
comproprietaria, non aveva in realtà mai ratificato il

stessa il diritto a un ristoro per l’usufrutto e il risarcimento del danno per la mancata locazione a terzi.
A conclusione del motivo la ricorrente formula il seguente quesito di diritto: «Dica la Corte se, in relazione
agli artt. 832, 981 e 2043 cod. civ., sia legittima, nei
confronti della comproprietaria/usufruttuaria pro-indiviso
che non ha mai ratificato il preliminare di vendita sottoscritto non autorizzatamente per l’intero dall’altro comproprietario, l’occupazione, da parte del promittente acquirente e dei suoi eredi, di beni immobili mai più acquistabili nella loro interezza, e se conseguentemente spetti
a quella comproprietaria/usufruttuaria il ristoro per
l’usufrutto e il risarcimento del danno per tale occupazione e mancata locazione a terzi, e infine se tali ultimi
diritti possano ritenersi soddisfatti dal versamento di un
acconto prezzo d’acquisto versato invece a chi figura come
promittente alienante nel preliminare di vendita».
4. Il Fallimento C.I.S.E.T. s.d.f. di Fanuzzi Cosimo e
Fanuzzi Raffaela e singoli soci ha proposto ricorso incidentale affidato ad un motivo, con il quale lamenta la

contratto preliminare qui in discussione, conferiva alla

violazione e la falsa applicazione di legge, ex art. 360
n. 3, cod. proc. civ., degli artt. 91 e 92 cod. proc.
civ., nonché vizio di omessa motivazione, ex art. 360, n.
5, stesso codice. A conclusione del motivo la Curatela

zione delle spese processuali pronunciata anche nei confronti della Curatela fallimentare viola il disposto
dell’art. 91 c.p.c. considerate le ragioni che hanno comportato la omessa pronuncia e non il rigetto dell’appello
incidentale da questa spiegato con la comparsa del
3.6.2004».
5. Il ricorso principale è ammissibile, trovando applicazione, nella specie, il principio di diritto per cui
«la formulazione di distinti e plurimi quesiti di diritto,
in esito all’illustrazione di un unico motivo di ricorso
per cassazione, non può ritenersi contrastante, di per sè,
con la disposizione dell’art. 366 bis cod. proc. civ. per
il solo fatto che questa esige che il motivo si concluda,
a pena di inammissibilità , con “un quesito”. Potendo, infatti, il motivo di ricorso essere articolato con riferimento a diverse e concorrenti violazioni di legge, il quesito deve rispecchiare ciascuna di tali articolazioni,
sicché può ben assumere una forma, anche dal punto di vista grafico, separata» (Cass. n. 13868 del 2010; Cass. n.
15242 del 2012).

formula il seguente quesito di diritto: «se la compensa-

6. Il medesimo ricorso è, tuttavia, infondato e va rigettato.
6.1. Occorre premettere che la giurisprudenza di questa Corte è saldamente orientata nel senso che

privata costituisce un’attività riservata al giudice di
merito, ed è censurabile in sede di legittimità soltanto
per violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale ovvero per vizi di motivazione, qualora la stessa
risulti contraria a logica o incongrua, cioè tale da non
consentire il controllo del procedimento logico seguito
per giungere alla decisione. Ai fini della censura di violazione dei canoni ermeneutici, non è peraltro sufficiente
l’astratto riferimento alle regole legali di interpretazione, ma è necessaria la specificazione dei canoni in
concreto

violati,

con la precisazione del modo e delle

considerazioni attraverso i quali il giudice se ne è discostato, nonché, in ossequio al principio di specificità
ed autosufficienza del ricorso, con la trascrizione del
testo integrale della regolamentazione pattizia del rapporto o della parte in contestazione, ancorché la sentenza
abbia fatto ad essa riferimento, riproducendone solo in
parte il contenuto, qualora ciò non consenta una sicura
ricostruzione del diverso significato che ad essa il ricorrente pretenda di attribuire. La denuncia del vizio di

«l’interpretazione del contratto e degli atti di autonomia

motivazione dev’essere invece effettuata mediante la precisa indicazione delle lacune argomentative, ovvero delle
illogicità consistenti nell’attribuzione agli elementi di
giudizio di un significato estraneo al senso comune, oppu-

coerenza logica, e cioè connotati da un’assoluta incompatibilità razionale degli argomenti, sempre che questi vizi
emergano appunto dal ragionamento logico svolto dal giudice di merito, quale risulta dalla sentenza. In ogni caso,
per sottrarsi al sindacato di legittimità, non è necessario che quella data dal giudice sia l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, sicché, quando di
una clausola siano possibili due o più interpretazioni,
non è consentito alla parte, che aveva proposto
l’interpretazione disattesa dal giudice, dolersi in sede
di legittimità del fatto che ne sia stata privilegiata
un’altra» (Cass. n. 4178 del 2007; Cass. n. 19044 del
2010).
E’ altresì principio consolidato quello per cui «lo
stabilire se le parti abbiano inteso stipulare un contratto definitivo ovvero un contratto preliminare di compravendita, rimettendo l’effetto traslativo ad una successiva
manifestazione di consenso, si risolve in un accertamento
di fatto riservato al giudice di merito; tale accertamento
è incensurabile in Cassazione se è sorretto da una motiva-

re con l’indicazione dei punti inficiati da mancanza di

zione sufficiente ed esente da vizi logici o da errori
giuridici e sia il risultato di un’interpretazione condotta nel rispetto delle regole di ermeneutica contrattuale
dettate dagli art. 1362 e ss. cod. civ.» (Cass. n. 24150

6.2. Nel quadro di questi principi, appare evidente la
infondatezza dei motivi con i quali le ricorrenti censurano la sentenza impugnata per avere qualificato il contratto del 1966 come preliminare e non anche definitivo.
Quanto al dato letterale (quesito n. 2), la Corte
d’appello ha considerato che la indicazione contenuta nel
contratto, per cui il contratto definitivo sarebbe stato
stipulato ad iniziativa del Fanuzzi fosse significativa
della volontà delle parti di connotare il contratto in
questione come preliminare. E proprio tale clausola, introducendo nel testo del contratto un elemento equivoco,
giustificava il ricorso, da parte del giudice del merito,
al canone interpretativo previsto dallo stesso art. 1362
cod. civ. In proposito, è appena il caso di rilevare che
«costituisce questione di merito, rimessa al giudice competente, valutare il grado di chiarezza della clausola
contrattuale, ai fini dell’impiego articolato dei vari
criteri ermeneutici; deve escludersi, quindi, che nel giudizio di cassazione possa procedersi a una diretta valutazione della clausola contrattuale, al fine di escludere la

del 2007; Cass. n. 21381 del 2006).

legittimità del ricorso da parte del giudice di merito al
canone ermeneutico del comportamento successivo delle parti» (Cass. n. 5624 del 2005).
Quanto alla denunciata violazione dell’art. 1363 cod.

d’appello è pervenuta alla censurata interpretazione della
clausola, ritenuta significativa della volontà delle parti
di stipulare un preliminare, attribuendo un particolare
significato alla richiamata previsione della “stipula del
definitivo” (che sarebbe dovuta avvenire a iniziativa del
venditore) che, introducendo, come detto, un dubbio interpretativo in ordine alla volontà delle parti, legittimava
il ricorso alla valutazione degli altri criteri interpretativi; tra questi, la Corte d’appello ha valorizzato
quello del comportamento complessivo delle parti, dal quale ha desunto elementi univoci nel senso della valutazione
del contratto, da parte del dante causa delle ricorrenti e
poi da parte di queste ultime, come preliminare e non definitivo.
6.2.1. Le ricorrenti obiettano che la Corte d’appello
avrebbe dovuto procedere alla interpretazione complessiva
delle clausole (quesito n. 3) e, sotto altro profilo, che
le circostanze valorizzate ai fini della valutazione del
comportamento delle parti erano, in realtà, inidonee sia
perché riferite al comportamento di una sola parte con-

civ. (quesito n. 3), è opportuno rilevare che la Corte

trattuale (quesito n. 2), sia perché la loro utilizzazione
sarebbe stata preclusa dal contenuto non ambiguo del contratto oggetto di interpretazione (quesito n. 4).
Tale censure non possono essere condivise. Quelle ri-

missibili, perché postulano un accertamento di fatto (non
ambiguità del contenuto contrattuale) differente da quello
effettuato ed affermato dal giudice del merito che, proprio per la ambiguità del tenore letterale del contratto,
per la presenza di clausole contrastanti, ha ritenuto di
fare ricorso al criterio di cui all’art. 1362, secondo
comma, cod. civ.
Del resto, non può sottacersi che le stesse ricorrenti
hanno proposto in primo grado, sia pure in via subordinata
e successivamente rinunciata, una domanda ai sensi
dell’art. 2932 cod. civ., con ciò riconoscendo quanto meno
la non implausibilità della qualificazione del contratto
del 1966 in termini di contratto preliminare.
Quanto alle censure compendiate dal quesito n. 2, articolate come si è detto anche sotto il profilo del vizio
di motivazione, le stesse appaiono infondate alla luce del
rilievo che la Corte d’appello ha formulato una valutazione complessiva del comportamento delle parti, focalizzando
poi la propria attenzione sul comportamento
dell’acquirente

(recte: del promissario acquirente e delle

feribili ai quesiti n. 3 e n. 4 appaiono, in realtà inam-

sue aventi causa), implicitamente ritenendo che la (pacifica) mancata assunzione di ogni iniziativa, da parte del
venditore

(recte:

del promittente venditore) – e cioè da

parte del soggetto nel cui interesse era prevista la sti-

vo, non evidenziasse elementi contrastanti con il comportamento della controparte contrattuale.
Trattasi di accertamento di fatto, sorretto da una adeguata motivazione, e quindi incensurabile, in questa sede, sotto il profilo di cui all’art. 360, n. 5, cod. proc.
civ.
6.3. Le considerazioni sin qui svolte inducono poi a
ritenere infondate anche le censure svolte dalle ricorrenti, sotto altro profilo, quanto alla valorizzazione, da
parte della Corte d’appello delle circostanze indicate nei
quesiti 5 e 6. Quanto alla prima (mancato pagamento, per i
beni immobili oggetto di causa, delle imposte), occorre
rilevare che le stesse ricorrenti non deducono di avere
eccepito la tardività della relativa deduzione svolta
nell’atto di appello, sicché, pur volendo aderire alla tesi per cui la deduzione integrava una eccezione in senso
stretto e non una mera argomentazione difensiva, è preclusa la possibilità di rilevare la tardività della stessa in
questa sede.

pula del definitivo – ai fini della stipula del definiti-

Quanto alla seconda, deve rilevarsi che la stessa si
risolve in una censura all’apprezzamento di fatto compiuto
dal giudice del merito in ordine alla significatività di
alcuni comportamenti, ritenuti accertati e acquisiti sul

6.4. Il ricorso è infondato anche nella parte in cui
si censura la ricostruzione della situazione di fatto instauratasi nel 1966 come detenzione.
In proposito è sufficiente rilevare che le Sezioni Unite di questa Corte hanno avuto modo di affermare il
principio per cui «nella promessa di vendita, quando viene
convenuta la consegna del bene prima della stipula del
contratto definitivo, non si verifica un’anticipazione degli effetti traslativi, in quanto la disponibilità conseguita dal promissario acquirente si fonda sull’esistenza
di un contratto di comodato funzionalmente collegato al
contratto preliminare, produttivo di effetti meramente obbligatori. Pertanto la relazione con la cosa, da parte del
promissario acquirente, è qualificabile esclusivamente come detenzione qualificata e non come possesso utile ad usucapionem,

salvo la dimostrazione di un’intervenuta /n-

terversio possessionis

nei modi previsti dall’art. 1141

cod. civ.» (Cass., S.U., n. 7930 del 2008; in senso conforme, Cass. n. 1296 del 2010; Cass. n. 9896 del 2010).

piano probatorio alla causa.

Nella specie, atteso che la Corte d’appello ha accertato la natura obbligatoria del contratto stipulato nel
1966, incombeva alle ricorrenti, e prima al loro dante
causa, dare la prova della avvenuta interversione: ma una

stata fornita e le censure delle ricorrenti si sostanziano
essenzialmente nella pretesa che la situazione di fatto
scaturita dalla immissione del loro dante causa nel possesso degli immobili oggetto di quel contratto desse luogo
ad un possesso utile ai fini della usucapione.
Risulta, allora, evidente come la pronuncia impugnata
sia del tutto in linea con l’orientamento di questa Corte
e come siano infondate le censure compendiate nei quesiti
sviluppati dalle ricorrenti ai punti l e 7.
6.5. Il ricorso è infondato anche nella parte in cui
denuncia il vizio di omessa pronuncia sulla domanda che le
ricorrenti assumono di avere proposto sul presupposto che
i beni oggetto di causa erano del Fanuzzi solo nella misura del 50%, essendo la restante metà di proprietà della
moglie del medesimo (quesito n. 8).
Se è vero, infatti, che nella decisione impugnata non
si rinviene una specifica reiezione di una simile domanda,
è altresì vero che opera il principio per cui «l’omessa
pronuncia, qualora cada su una domanda inammissibile, non
costituisce vizio della sentenza e non rileva nemmeno come

simile prova la Corte d’appello ha ritenuto che non sia

motivo di ricorso per cassazione, in quanto alla proposizione di una tale domanda n on consegue l’obbligo del giudice di pronunciarsi nel merito» (Cass. n. 24445 del 2010;
Cass. n. 12412 del 2006). Nella specie, posto che dalle

di primo grado non è stata formulata alcuna domanda che
presupponesse la non integrale proprietà degli immobili in
capo al Fanuzzi, appare del tutto evidente la inammissibilità, per novità, della domanda che le ricorrenti assumono
di avere proposto in appello e sulla quale la Corte
d’appello non si è pronunciata.
6.6. In conclusione, il ricorso principale è infondato
e va rigettato.
7. Passando all’esame del ricorso incidentale proposto
da Fanuzzi Raffaela, lo stesso è in parte inammissibile e
in parte infondato.
7.1. E’ innanzitutto inammissibile il primo motivo di
ricorso per carenza di interesse, atteso che lo stesso si
sostanzia in argomentazioni volte a contrastare il ricorso
principale in punto domanda di usucapione; argomentazioni
che si sarebbero potute prendere in considerazione solo in
caso di accoglimento del ricorso principale sul punto.
7.2. E’ invece infondato il secondo motivo. La Corte
d’appello ha escluso la fondatezza della pretesa della
dante causa della odierna ricorrente di vedersi corrispon-

stesse deduzioni delle ricorrenti emerge che nel giudizio

dere somme a titolo di illecita occupazione dell’immobile,
sul rilievo che il titolo in base al quale il dante causa
delle odierne ricorrenti era stato immesso nel possesso
dei beni giustificava la detenzione.

la decisione di rigetto della domanda, atteso che il dante
causa delle ricorrenti, per effetto del contratto concluso
dal Fanuzzi, era stato legittimamente immesso nella detenzione dei beni, sicché deve escludersi che la detta detenzione possa essere ricondotta alla fattispecie della occupazione illecita, con il conseguente obbligo risarcitorio
a carico dei detentori; obbligo che non può essere confuso
con un indennizzo ex art. 2041 cod. civ., trattandosi di
domanda non espressamente proposta.
Né, dal punto di vista del dante causa delle ricorrenti, può rilevare la circostanza che il Fanuzzi aveva, in
realtà, agito quale falsus procurator

della Rubino, atteso

che la conseguenza che da tale circostanza la ricorrente
incidentale intende desumere non è in alcun modo condivisibile. Non è infatti predicabile che in relazione ad un
bene, di proprietà indivisa di due coniugi, la legittima
immissione nel possesso disposta da uno dei coniugi in relazione all’intero immobile, possa essere qualificata come
detenzione per la quota ideale del 50% e come possesso per
la restante quota ideale del 50%.

Tale motivazione appare del tutto idonea a sorreggere

A fronte della richiamata argomentazione, la indicazione, nella sentenza impugnata, della ulteriore ragione
di infondatezza, rappresentata dall’avvenuta corresponsione di parte del prezzo, appare priva di decisività, e

8. Il ricorso incidentale del Fallimento C.I.S.E.T.
s.d.f. di Fanuzzi Cosimo e Fanuzzi Raffaela e singoli soci
è manifestamente infondato, atteso che la Corte d’appello
ha dato conto della decisione di compensare le spese individuando un complesso di ragioni, quali la peculiarità
della controversia, la rinuncia intervenuta ad alcune domande e, in sintesi, alla complessità della vicenda sostanziale e processuale.
La censura, inoltre, è stata dalla ricorrente Curatela
proposta ai sensi dell’art. 360, nn. 3 e 5, cod. proc.
civ. Il motivo, peraltro, si conclude esclusivamente con
un quesito di diritto (censura svolta ai sensi dell’art.
360, n. 3), mentre è del tutto carente il momento di sin.

tesi e la evidenziazione del fatto controverso per quanto
concerne il denunciato vizio di motivazione.
Il quesito di diritto, tuttavia, risulta del tutto inidoneo e non rispondente ai requisiti individuati dalla
giurisprudenza di questa Corte. Esso, infatti, si risolve
in un mero interpello sull’avvenuta violazione dell’art.
91 cod. proc. civ., che, peraltro, deve ritenersi del tut-

quindi irrilevante ai fini della presente decisione.

to inesistente, atteso che le spese non sono state poste a
carico della parte risultata vincitrice, ma solo interamente compensate tra tutte le parti del giudizio.
9. In conclusione, sia il ricorso principale che quel-

La reciproca soccombenza comporta la compensazione integrale anche delle spese del giudizio di cassazione.
PER QUESTI MOTIVI
La Corte riunisce i ricorsi e li rigetta;

compensa tra

le parti le spese del giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della
Seconda Sezione civile della Corte suprema di Cassazione,

li incidentali devono essere rigettati.

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