Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20247 del 25/09/2020

Cassazione civile sez. lav., 25/09/2020, (ud. 25/06/2020, dep. 25/09/2020), n.20247

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

Dott. PICCONE Valeria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 159/2020 proposto da:

A.K., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato NICOLETTA PELINGA;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO – COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL

RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI ANCONA, in persona

del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia in ROMA, ALLA VIA

DEI PORTOGHESI 12, ope legis;

– resistente con mandato –

avverso l’ordinanza n. 13157/2019 del TRIBUNALE ORDINARIO di ANCONA,

depositata il 31/10/2019 R.G.N. 690/2019.

 

Fatto

RILEVATO

che:

– A.K. propone ricorso per cassazione avverso il decreto del Tribunale di Ancona depositato il 2 febbraio 2019, di reiezione dell’opposizione dal medesimo proposta avverso il provvedimento della Commissione Territoriale che aveva respinto la sua domanda per il riconoscimento della protezione internazionale e della protezione umanitaria;

– dall’esame del decreto impugnato emerge che a sostegno della domanda il richiedente aveva allegato che era originario del Ghana, di essere di religione cristiana e che aveva lasciato il proprio Paese per fuggire alla volta della Libia a seguito non solo delle pressioni subite per diventare sacerdote della divinità adorata dalla sua famiglia, ma anche per sfuggire alle persecuzioni del proprietario di un terreno adiacente il proprio che aveva minacciato di denunziarlo all’Autorità per via di un incendio erroneamente causato;

– il Tribunale ha disatteso l’opposizione evidenziando che non sussistevano le condizioni per il riconoscimento delle protezioni internazionale e umanitarie richieste;

– il ricorso è affidato a tre motivi;

– il Ministero dell’Interno non ha spiegato alcuna attività difensiva.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– con il primo motivo la parte deduce la violazione e falsa applicazione della normativa D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, per il mancato riconoscimento dello status di rifugiato;

– con il secondo motivo, si deduce la violazione e falsa applicazione della normativa sulla protezione sussidiaria, mentre, con il terzo motivo, si allega la violazione del diritto alla protezione umanitaria;

– il primo motivo è infondato;

– il Tribunale ha approfonditamente argomentato circa la propria condivisione delle conclusioni della Commissione, escludendo la sussistenza, in fatto, di elementi, addotti dal richiedente, da cui potesse evincersi la ricorrenza dei presupposti della Convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951 in ordine al fondato timore di essere perseguitato per l’appartenenza a un’etnia, associazione, credo politico o religioso o per le proprie tendenze e stile di vita nonchè dei presupposti per la protezione sussidiaria e umanitaria;

– occorre poi rilevare che il Tribunale ha condiviso espressamente la argomentata valutazione operata dalla Commissione territoriale in ordine alla non credibilità del racconto del richiedente, evidenziando, in particolare, la genericità delle dichiarazioni rese, prive di elementi di riscontro, e l’incoerenza del nucleo essenziale del racconto medesimo, non essendo stato in grado il richiedente di circostanziare la vicenda con l’indicazione di elementi (nomi, tempo, luogo) su fatti essenziali e determinanti l’espatrio nè emergendo un “sincero sforzo” volto a specificare la domanda;

– in particolare, il ricorrente ha sostenuto di aver rifiutato di servire la divinità della propria famiglia, non essendo in grado, tuttavia, di spiegare quali ne fossero le conseguenze e spiegando, inoltre, si aver sfuggito a tale pericolo trasferendosi dal paese d’origine a (OMISSIS);

– il secondo ed il terzo motivo, da esaminarsi congiuntamente per l’intima connessione, sono infondati;

– in tema di protezione internazionale, il richiedente è tenuto ad allegare i fatti costitutivi del diritto alla protezione richiesta, e, ove non impossibilitato, a fornirne la prova, trovando deroga il principio dispositivo, soltanto a fronte di un’esaustiva allegazione, attraverso l’esercizio del dovere di cooperazione istruttoria e di quello di tenere per veri i fatti che lo stesso richiedente non è in grado di provare, soltanto qualora egli, oltre ad essersi attivato tempestivamente alla proposizione della domanda e ad aver compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziarla, superi positivamente il vaglio di credibilità soggettiva condotto alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 (cfr. Cass., ord., 12 giugno 2019, n. 15794);

– tale impostazione, riferita alla protezione internazionale nel suo complesso, si attaglia come tale tanto alla domanda volta al conseguimento dello status di rifugiato, quanto a quella diretta ad ottenere la protezione sussidiaria in ciascuna delle tre ipotesi contemplate dall’art. 14 dello stesso D.Lgs.;

– ne consegue che, anche in relazione alla protezione sussidiaria, ritenuti non credibili i fatti allegati a sostegno della domanda, non è necessario far luogo a un approfondimento istruttorio ulteriore, attivando il dovere di cooperazione istruttoria officiosa incombente sul giudice, dal momento che tale dovere non scatta laddove sia stato proprio il richiedente a declinare, con una versione dei fatti inaffidabile o inattendibile, la volontà di cooperare, quantomeno in relazione all’allegazione affidabile degli stessi (così, Cass., ord., 20 dicembre 2018, n. 33096);

– il Tribunale, inoltre, si sofferma in modo approfondito sulla situazione del Paese d’origine escludendo che dall’EASO, dall’UNHCR e dal sito del Ministero degli Affari Esteri venisse segnalata qualsivoglia situazione di allarme diversa rispetto ad un aumento della criminalità comune a causa della povertà o collegata all’estrazione dell’oro e riporta dettagliatamente anche il report di Freedom in the World pubblicato nel 2018 da cui risulta, fra l’altro, l’elezione pacifica e del candidato del New Patriotic Party nominato Presidente del Paese;

– il Tribunale ha, quindi, ritenuto altresì l’insussistenza di circostanze fondate tali da ritenere che il ricorrente potesse essere sottoposto a trattamenti inumani o degradanti nel Paese d’origine nè che le temute ripercussioni in caso di rientro potessero integrare i presupposti del c.d. danno grave in relazione alle possibili conseguenze, tenuto anche conto che nello stato di provenienza sono presenti istituzioni che, in caso di effettivo e concreto pericolo, sarebbero in grado comunque di proteggerlo;

– così argomentando, ha fatto corretta applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), che richiede, ai fini della sussistenza del gravo danno rilevante per il riconoscimento della protezione sussidiaria, che la minaccia grave e individuale alla vita o alla persona di un civile derivi dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale;

– relativamente alla richiesta di permesso di soggiorno per motivi umanitari, dopo aver argomentato sulla irretroattività sezioni di cui al D.L. n. 113 del 2018, ha, tuttavia, ribadito come la protezione umanitaria debba rinvenirsi nel non esporre i cittadini stranieri al rischio di condizioni di vita non rispettose del nucleo minimo di diritti della persona che ne integrano la dignità;

– la mera allegazione di condizioni migliori nel paese di accoglienza non è quindi sufficiente qualora nel paese di ritorno si registrino condizioni di vita che consentano l’esercizio dei diritti minimi;

– nel caso di specie secondo il Tribunale l’esistenza del paese del Ghana di strumenti istituzionali o privati di protezione, l’ambiente socio culturale e la condizione personale comunque consentirebbero al ricorrente l’esercizio dei suoi diritti minimi mentre la Corte ha escluso che la produzione di un singolo cedolino potesse configurare un livello di integrazione in Italia tale da escludere il reimpatrio;

– tali valutazioni, in quanto di merito, sono sottratte al sindacato di legittimità;

– il ricorso, pertanto, non può essere accolto;

– nulla va disposto in ordine al governo delle spese del giudizio, in assenza di attività difensiva della parte vittoriosa;

– sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-bis, se dovuto

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, dà atto che sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 25 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 25 settembre 2020

 

 

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