Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20246 del 25/09/2020

Cassazione civile sez. lav., 25/09/2020, (ud. 25/06/2020, dep. 25/09/2020), n.20246

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

Dott. PICCONE Valeria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 113/2020 proposto da:

F.M., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA

DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato SIMONA ALESSIO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO – COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL

RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI VERONA e PADOVA,

in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso

dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia

in ROMA, ALLA VIA DEI PORTOGHESI 12, ope legis;

– resistente con mandato –

avverso la sentenza n. 4505/2019 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 22/10/2019 r.g.n. 149/2018.

 

Fatto

RILEVATO

che:

– F.M. propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte d’appello di Venezia di reiezione dell’impugnazione dal medesimo proposta avverso il decreto del locale Tribunale che aveva respinto la sua domanda per il riconoscimento della protezione umanitaria;

– dall’esame della sentenza impugnata emerge che, a sostegno della domanda, il richiedente aveva allegato che era originario del Senegal, nato a (OMISSIS) e che si era allontanato dal Paese d’origine in quanto accusato del furto dell’incasso del centro commerciale presso cui lavorava e per il timore di essere ingiustamente arrestato e perseguito;

– il Tribunale ha disatteso l’opposizione avverso la decisione della Commissione Territoriale evidenziando che non sussistevano le condizioni per il riconoscimento della protezione umanitaria richiesta e tale conclusione, con sentenza conforme, è stata condivisa dalla Corte d’appello;

– il ricorso è affidato a un motivo;

– il Ministero dell’Interno non ha spiegato alcuna attività difensiva.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– con l’unico motivo di ricorso, parte ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 e art. 32, comma 3, D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19 e D.Lgs. n. 25 del 2008, per violazione dei criteri legali per la concessione della protezione umanitaria;

– con ampia e argomentata motivazione, la Corte esamina la vicenda che avrebbe indotto il ricorrente ad allontanarsi dal proprio Paese d’origine, consistente nel timore di essere arrestato e sottoposto a sanzioni per il furto di cui era asseritamente accusato in modo ingiusto e, pur reputandole credibili, non le ritiene rilevanti in termini di atti persecutori o di causa di grave danno nei confronti del richiedente;

– d’altro canto, osserva la Corte che il ricorrente si limitava a ribadire la propria richiesta di rilascio di permesso di soggiorno per motivi umanitari, e, a tal fine, riportava la giurisprudenza per il riconoscimento della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. C);

– la Corte ha poi anche argomentato circa l’attuale situazione socio politica del Senegal, da considerarsi, sulla base di fonti accreditate, una delle più stabili democrazie africane dove la tutela dei diritti civili continua ad evolvere in modo positivo;

– nessun elemento la Corte reputa addotto a sostegno di una eventuale vulnerabilità del ricorrente nè di argomenti a sostegno di una frustrazione dei diritti umani la cui tutela e imposta secondo il nostro ordinamento dall’art. 2 Cost.;

– parte ricorrente, ove invochi una cooperazione istruttoria, avanza una istanza che sarebbe comunque inidonea all’accertamento di fatti e situazioni private e personali ma ove voglia far valere il mancato esercizio dei consueti poteri d’ufficio, dimentica che il loro utilizzo è rimesso ad una decisione insindacabile e discrezionale del giudice di merito che, nel caso di specie, non è chiaro in qual modo sarebbe stata sollecitata;

– la Corte ha evidenziato, quindi, conformemente al dettato normativo, come la ratio della protezione umanitaria debba rinvenirsi nel non esporre i cittadini stranieri al rischio di condizioni di vita non rispettose del nucleo minimo di diritti della persona che ne integrano la dignità;

– la mera allegazione di condizioni migliori nel Paese di accoglienza non è quindi sufficiente qualora nel Paese di ritorno si registrino condizioni di vita che consentano l’esercizio dei diritti minimi;

– nel caso di specie, secondo la Corte, l’esistenza del paese del Senegal di strumenti istituzionali o privati di protezione, l’ambiente socio culturale e la condizione personale, comunque consentirebbero al ricorrente l’esercizio dei suoi diritti minimi;

– tali valutazioni, in quanto di merito, sono sottratte al sindacato di legittimità;

– il ricorso, pertanto, non può essere accolto;

– nulla va disposto in ordine al governo delle spese del giudizio, in assenza di attività difensiva della parte vittoriosa;

– sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, dà atto che sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 25 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 25 settembre 2020

 

 

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