Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20244 del 25/09/2020

Cassazione civile sez. lav., 25/09/2020, (ud. 25/06/2020, dep. 25/09/2020), n.20244

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

Dott. PICCONE Valeria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 64/2020 proposto da:

O.J., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato DAVIDE VERLATO;

– ricorrente –

contro

COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE

INTERNAZIONALE di VERONA SEZIONE DI PADOVA;

– intimata –

e contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i

cui Uffici domicilia in ROMA, ALLA VIA DEI PORTOGHESI 12, ope legis;

– resistente con mandato –

avverso la sentenza n. 3284/2019 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 07/08/2019 r.g.n. 475/2018.

 

Fatto

RILEVATO

che:

– O.J. propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte d’Appello di Venezia, depositata il 7 agosto 2019, di reiezione dell’impugnazione dal medesimo proposta avverso la decisione del locale Tribunale che, conformemente a quanto statuito dalla Commissione Territoriale, aveva respinto la sua domanda per il riconoscimento della protezione sussidiaria e della protezione umanitaria;

– dall’esame della sentenza impugnata, conforme alla decisione del Tribunale, emerge che a sostegno della domanda il richiedente aveva allegato che era originario della Nigeria e che aveva lasciato il suo Paese alla volta dell’Italia il 1 ottobre 2015, giungendo il Italia nel 2016 a seguito di aggressioni da parte della sua matrigna e dei figli di lei, nonchè di sei persone che lo avevano aggredito per strada;

– il Tribunale ha disatteso l’opposizione evidenziando che non sussistevano le condizioni per il riconoscimento delle protezioni sussidiaria e umanitaria richieste;

– il ricorso è affidato a due motivi;

– il Ministero dell’Interno non ha spiegato alcuna attività difensiva.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– con il primo motivo la parte deduce la violazione e falsa applicazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 e D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, lett. A), in ordine al mancato esercizio dei poteri istruttori officiosi da parte del giudice;

– con il secondo motivo si deduce l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nonchè la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., con riguardo alla ritenuta violazione delle disposizioni relative alla valutazione della credibilità del ricorrente e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3;

– va premesso che, in seguito alla riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposto dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito con modificazioni nella L. 7 agosto 2012, n. 134, che ha limitato la impugnazione delle sentenze in grado di appello o in unico grado per vizio di motivazione alla sola ipotesi di “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”, con la conseguenza che, al di fuori dell’indicata omissione, il controllo del vizio di legittimità rimane circoscritto alla sola verifica della esistenza del requisito motivazionale nel suo contenuto “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, ed individuato “in negativo” dalla consolidata giurisprudenza della Corte -formatasi in materia di ricorso straordinario- in relazione alle note ipotesi (mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale; motivazione apparente; manifesta ed irriducibile contraddittorietà; motivazione perplessa od incomprensibile) che si convertono nella violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4), e che determinano la nullità della sentenza per carenza assoluta del prescritto requisito di validità (fra le più recenti, Cass. n. 23940 del 2017);

– per quanto concerne la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., va sottolineato che, in tema di ricorso per cassazione, una questione di violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma, rispettivamente, solo allorchè si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte di ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti, invece, a valutazione (cfr. Cass. 27.12.2016 n. 27000; Cass. 19.6.2014 n. 13960);

– relativamente alle ulteriori censure, tutte afferenti la ritenuta non credibilità del teste nonchè il mancato esercizio dei poteri istruttori officiosi, censure da esaminarsi congiuntamente per l’intima connessione, va rilevato che la motivazione del Tribunale, immune da vizi logici, è sottratta al sindacato di legittimità (sul punto, fra le altre, Cass. 11 settembre 2017, n. 21035);

– in particolare, il Collegio ha sottolineato, oltre alla confusione e scarsa attendibilità del racconto, la futilità dei motivi addotti, peraltro riconducibili a una lite privata (quella relativa all’eredità paterna) che ben sarebbe stata evitabile e che non assume rilievo per consolidata giurisprudenza di legittimità proprio in quanto privata;

– anche con riguardo alla protezione sussidiaria, il Collegio ha ritenuto la non ricorrenza dei presupposti legali alla luce ancora della non credibilità dell’intera narrazione e della natura strettamente privata della lite, non ricorrendo i presupposti per l’applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. A e B;

– orbene, in tema di protezione internazionale, il richiedente è tenuto ad allegare i fatti costitutivi del diritto alla protezione richiesta, e, ove non impossibilitato, a fornirne la prova, trovando deroga il principio dispositivo, soltanto a fronte di un’esaustiva allegazione, attraverso l’esercizio del dovere di cooperazione istruttoria e di quello di tenere per veri i fatti che lo stesso richiedente non è in grado di provare, soltanto qualora egli, oltre ad essersi attivato tempestivamente alla proposizione della domanda e ad aver compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziarla, superi positivamente il vaglio di credibilità soggettiva condotto alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 (cfr. Cass., ord., 12 giugno 2019, n. 15794);

– tale impostazione, riferita alla protezione internazionale nel suo complesso, si attaglia come tale tanto alla domanda volta al conseguimento dello status di rifugiato, quanto a quella diretta ad ottenere la protezione sussidiaria in ciascuna delle tre ipotesi contemplate dall’art. 14 dello stesso D.Lgs.;

– ne consegue che, anche in relazione alla protezione sussidiaria, ritenuti non credibili i fatti allegati a sostegno della domanda, non è necessario far luogo a un approfondimento istruttorio ulteriore, attivando il dovere di cooperazione istruttoria officiosa incombente sul giudice, dal momento che tale dovere non scatta laddove sia stato proprio il richiedente a declinare, con una versione dei fatti inaffidabile o inattendibile, la volontà di cooperare, quantomeno in relazione all’allegazione affidabile degli stessi (così, Cass., ord., 20 dicembre 2018, n. 33096);

– con riguardo, poi, all’applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. C), la Corte ne ha esclusa l’applicabilità alla specie – peraltro non invocata dallo stesso ricorrente – in quanto nella Nigeria e, in particolare, nella zona di provenienza del ricorrente, ha ritenuto non sussistere alcuna situazione di violenza indiscriminata, in ogni caso non posta dal ricorrente in relazione con la propria fuga: in merito, la Corte procede ad una approfondita disamina della situazione politica e sociale nigeriana concludendo per l’esistenza di una violenza limitata a zone circoscritte del Paese;

– così argomentando, ha fatto corretta applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), che richiede, ai fini della sussistenza del gravo danno rilevante per il riconoscimento della protezione sussidiaria, che la minaccia grave e individuale alla vita o alla persona di un civile derivi dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale;

– infine, il Collegio ha escluso l’esistenza degli estremi per la protezione umanitaria non reputando sufficiente la mera allegazione di aver raggiunto un certo grado di integrazione nel Paese ma ritenendo occorrere all’uopo una valutazione comparativa effettiva tra i due piani e dovendo escludersi la compromissione del nucleo fondamentale dei diritti personali in caso di rimpatrio;

– tale valutazione, in quanto di merito, è sottratta al sindacato di legittimità;

– il ricorso, pertanto, non può essere accolto;

– nulla va disposto in ordine al governo delle spese del giudizio, in assenza di attività difensiva della parte vittoriosa;

– sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-bis, se dovuto

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, dà atto che sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 25 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 25 settembre 2020

 

 

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