Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2024 del 26/01/2018


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 2024 Anno 2018
Presidente: SCALDAFERRI ANDREA
Relatore: FALABELLA MASSIMO

ORDINANZA
sul ricorso 64-2017 proposto da:
TOTEDA GIUSEPPE, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA
FEDERICO CESI 21, presso lo studio dell’avvocato TATIANA
CARNEVALE, rappresentato e difeso dagli avvocati LUCIANO
TOCCI e CONCETTA PIACENTE;
– ricorrente contro
SERRA SILVIO, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA
FRANCESCO DENZA 15, presso lo studio dell’avvocato NICOLA

Data pubblicazione: 26/01/2018

PAGNOTTA, rappresentato e difeso dall ‘ avvocato NICOLA
CARRATELLI;

– controricorrente –

FALBO FRANCESCO, LA NEVE EUGENIO;

– intimati avverso la sentenza n. 1188/2016 della CORTE D ‘APPELLO di
CATANZARO, depositata il 05/07/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non
partecipata del 28/11/2017 dal Consigliere Dott. MASSIMO
FALABELLA;
dato atto che il Collegio ha autorizzato la redazione del provvedimento
in forma semplificata, giusta decreto 14 settembre 2016, n.136/2016 del
Primo Presidente.

FATTI DI CAUSA
1. — Serra Silvio agiva in giudizio deducendo di essere stato
socio della società cooperativa Butterfly e che l’adesione alla stessa era
preordinata all ‘ assegnazione di un alloggio nel fabbricato che la
cooperativa medesima stava edificando; nell ‘ atto di assegnazione

rilevava — veniva indicato chaimporto da lui versatórisultava essere
inferiore a quello effettivo; l ‘ attore precisava di aver denunciato in sede
penale questa ed altre irregolarità riscontrate nel corso della gestione e
deduceva che a carico di Toteda Giuseppe, Falbo Francesco e La Neve
Eugenio era stata celebrato un processo conclusosi in appello con la
declaratoria di estinzione del reato per prescrizione, dopo una pronuncia
di condanna in primo grado. Avvalendosi degli accertamenti compiuti in
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nonché contro

sede penale l’attore citava dunque in giudizio il predetto Toteda per
sentirlo condannare al risarcimento del danno.
Il convenuto spiegava le proprie difese e deduceva, tra l’altro, che
la sentenza penale di condanna era stata emessa anche nei confronti dei

di risarcimento.
Disposta la chiamata in causa, questi ultimi opponevano che la
loro responsabilità concorreva con quella degli altri amministratori e
degli altri sindaci della cooperativa: soggetti dei quali chiedevano ed
ottenevano, a loro volta, l’autorizzazione alla chiamata in causa.
Il giudizio di prime cure si concludeva con sentenza che
condannava Toteda, Falbo e La Neve al risarcimento dei danni in favore
dell’attore per la somma complessiva di C 25.011,07 (C 22.011,07 per il
risarcimento del danno patrimoniale e C 3.000,00 per il risarcimento di
quello non patrimoniale), oltre rivalutazione ed interessi
2. — Avverso detta sentenza proponevano appello i predetti
Toteda, Falbo e La Neve.
La Corte di appello di Catanzaro assegnava termine perentorio
per l’integrazione del contraddittorio nei confronti di alcuni soggetti che,
chiamati in causa nel giudizio in primo grado, non erano stati evocati in
giudizio in fase di gravame: si trattava di De Napoli Rosanna, Caridi
Giuliana, Perrone Antonio e Santin Giuliano. Poiché l’integrazione del
contraddittorio non aveva luogo la Corte calabra, con sentenza del 5
luglio 2016, dichiarava inammissibili gli appelli proposti.
3. — Detta sentenza è stata impugnata per cassazione da
Giuseppe Toteda; il ricorso si basa su di un unico motivo. Resiste con
controricorso Silvio Serra. Il ricorrente ha depositato memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE
1.

Con l’unico mezzo il ricorrente denuncia violazione o falsa
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predetti l’albo e La Neve e che a questi ultimi andava estesa la domanda

applicazione dell’art. 331 c.p.c.. k fronte della pronuncia del giudice del
gravame, il quale aveva dichiarato l’inammissibilità degli appelli proposti
in considerazione della mancata osservanza dell’ordine di integrazione
del contraddittorio in precedenza impartito, l’istante assume, in sintesi,

in particolare, che in prime cure erano stati Francesco Falbo e Eugenio
La Neve a domandare la chiamata in causa di quei soggetti,
amministratori o sindaci della cooperativa, assumendo una pretesa loro
corresponsabilità che era stata negata dal giudice.
2. — Il motivo non ha fondamento.
Si legge nella sentenza impugnata che in primo grado Falbo e La
Neve avevano richiesto di estendere il contraddittorio agli altri
amministratori e sindaci della cooperativa, e ciò sul presupposto che agli
stessi fosse imputabile una responsabilità concorrente quanto al danno
lamentato. Si legge, altresì, che il Tribunale ebbe a individuare come
unici soggetti responsabili l’odierno ricorrente, oltre che Falbo e La
Neve e a dichiarare, inoltre, che nei rapporti interni tra gli obbligati
solidali la responsabilità per il fatto dannoso doveva attribuirsi per 1’80%
al primo e per il restante 20% ai secondi, con ciò di fatto disattendendo
l’assunto di una concorrente responsabilità di tutti gli amministratori e
sindaci. Nel proporre appello Falbo e La Neve reiterarono, poi, la
richiesta di accertamento della predetta responsabilità, domandando
accertarsi che il loro concorso nella causazione dell’illecito dovesse
essere riconosciuto in ragione del 5% o del 10% e che «tale ultima
percentuale» andasse « suddivisa in parti uguali» tra di loro e tra «tutti gli
amministratori e sindaci a loro volta chiamati in causa» da essi
appellanti, anche ai fini del regresso.
Le cause aventi ad oggetto, rispettivamente, la condanna di
Toteda, Falbo e La Neve nei confronti di Serra (che è stata pronunciata
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che nella fattispecie non venivano in questione cause inscindibili. Rileva,

in prime cure) e l’accertamento della sussistenza, (nonché della misura)
della corresponsabilità delle altre parti non possono ritenersi scindibili.
Anzitutto, l’unicità dell’illecito osta a che — una volta introdotto
in causa, in primo grado, il tema del concorso, nella causazione del

successiva, nei confronti di solo alcuni degli ipotetici responsabili. Nella
fattispecie, infatti, la causa, per effetto delle domande introdotte da
Falbo e La Neve, aveva specificamente ad oggetto anche l’accertamento
della responsabilità concorrente di coloro che sono stati evocati in
causa, quali terzi chiamati, nella veste di amministratori e sindaci della
cooperativa: sicché, per effetto delle domande svolte — reiterate in
appello dai predetti contendenti — la pronuncia di condanna era legata
alla precisa individuazione dei soggetti che potessero rispondere del
danno prodottosi.
In secondo luogo, gli appellanti Falbo e La Neve avevano
richiesto, ai fini del regresso, la determinazione della misura percentuale
della responsabilità dei soggetti da loro chiamati in causa nella
produzione del danno occorso. Ma proprio valorizzando il regresso, cui
l’indicato accertamento era finalizzato, si giunge a riconoscere
l’applicabilità, nel caso in esame, della disciplina propria delle cause
inscindibili. Infatti, tra la domanda avanzata in via principale e quella
proposta in via di regresso vi è un nesso di pregiudizialità che rientra
negli schemi della garanzia propria ed è sufficiente a giustificare, in linea
di principio, l’assoggettamento delle due cause al regime della
conservazione necessaria del litisconsorzio instaurato nella precedente
fase di giudizio, in virtù di quanto stabilito dall’art. 331 c.p.c.., il cui
ambito di applicazione non è circoscritto alle cause «inscindibili», ma si
estende anche a quelle «tra loro dipendenti» (Cass. Sez. U. 29 maggio
2003, n. 8699; cfr. la più recente Cass.12 marzo 2015, n. 4938; in tema
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danno di più soggetti — il giudizio potesse svolgersi, nella fase

pure Cass. 27 agosto 2013, n. 19584, secondo cui l’esistenza di un
vincolo di solidarietà passiva tra più convenuti in distinti e riuniti giudizi
di risarcimento dei danni genera un litisconsorzio processuale, per
dipendenza della causa da quella intrapresa dall’attore quando almeno

loro, ovvero rideterminarsi, nell’ambito di un’azione di regresso
anticipato, la percentuale di responsabilità ad essi ascrivibile pro quota).
3. — Il ricorso è dunque respinto.
4. — Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

P.Q.M.
La Corte
rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento, in
favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità,
che liquida in C 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella
misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in C 100,00, ed agli
accessori di legge; ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115
del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della I. n. 228 del 2012, dà atto
della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del
ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a
quello dovuto per il ricorso.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 6 Sezione
Civile, in data 28 novembre 2017.

Il P sidente

uno dei primi chieda accertarsi la responsabilità esclusiva di altro tra

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