Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2024 del 24/01/2022

Cassazione civile sez. VI, 24/01/2022, (ud. 18/11/2021, dep. 24/01/2022), n.2024

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 11218/2021 proposto da:

O.I., rappresentato e difeso dall’Avv. Cavicchioli

Marco, per procura speciale spillata in calce alla copia analogica

del ricorso per cassazione;

– ricorrente –

e

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro in carica,

domiciliato ex lege in Roma, Via dei Portoghesi, 12, presso gli

uffici dell’Avvocatura Generale dello Stato;

– resistente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di TORINO, n. 995/2020,

pubblicata in data 8 ottobre 2020;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 18 novembre 2021 dal consigliere Caradonna Lunella.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. O.I., nato in Nigeria (Edo State), ricorre, con atto affidato a quattro motivi, nei confronti del Ministero dell’interno, contro la sentenza dell’8 ottobre 2020, con cui la Corte d’appello di Torino ha respinto il suo appello avverso l’ordinanza del Tribunale di rigetto della domanda di protezione internazionale ed umanitaria.

2. Il ricorrente ha lasciato il suo paese di origine a causa (delle persecuzioni che potrebbe subire in Nigeria in ragione della sua omosessualità e del fatto di essere cristiano pentacostale.

3. L’Amministrazione intimata si è costituita ai soli fini dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa ai sensi dell’art. 370 c.p.c..

4. Il ricorso è stato assegnato all’adunanza in camera di consiglio non partecipata del giorno 18 novembre 2021 ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Il primo mezzo denuncia la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, avendo la Corte territoriale omesso di valutare le dichiarazioni del ricorrente in ordine al suo orientamento sessuale.

2. Il secondo mezzo denuncia la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, in relazione al vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, non avendo la Corte territoriale svolto attività istruttoria in relazione alla domanda di riconoscimento dello status di rifugiato in ragione della fede religiosa cristiana professata.

2.1 I motivi, che vanno trattati insieme, perché riguardanti entrambi il riconoscimento dello status di rifugiato, sono inammissibili, perché le esposte censure, non tenendo conto del fatto che la condizione di omosessualità e l’appartenenza al credo religioso sono state giudicate inverosimili dalla Corte d’appello non coglie la ratio decidendi posta a fondamento del rigetto della domanda di protezione internazionale.

Ed infatti, la mancanza di credibilità delle vicende narrate dal ricorrente, non consente la concessione della richiesta protezione mancando alla base ogni prova di appartenenza ad un “particolare gruppo sociale”, nella specie quello di omosessuale o di appartenenza ad un determinato credo religioso, sottoposto agli atti di persecuzione di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 7 od oggetto di minaccia grave D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14.

Si tratta di ragioni del decidere che non sono state affatto censurate dal ricorrente, che peraltro non ha dedotto il vizio di omesso esame nel rispetto delle modalità previste dalle Sezioni Unite da questa Corte (cfr. Cass., Sez. U., 7 aprile 2014, n. 8053).

2.2 La Corte territoriale, inoltre, ha affermato, a pag. 4 del provvedimento impugnato, che il richiedente non era credibile e che, infatti, egli aveva dichiarato dapprima di essere sposato e di avere due figli minori, fornendo nomi, cognomi e date di nascita e che, successivamente, aveva incentrato il suo racconto sulla propria omosessualità e, in via marginale, sulla circostanza di essere di religione cristiana.

Il richiamo, poi, a precedenti giudiziari favorevoli a persone provenienti dalla Nigeria non può assumere decisivo rilievo in quanto frutto della valutazione delle circostanze specificamente accertate in detti giudizi.

3. Il terzo mezzo denuncia la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, in relazione al vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per errata interpretazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, e art. 14, comma 1, lett. c), e per il mancato esperimento di attività istruttoria con riferimento alla domanda di protezione sussidiaria.

3.1 Il motivo, riguardante specificamente la fattispecie di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, lett. c), è inammissibile, perché volto a sollecitare questa Corte ad una rivalutazione delle fonti informative per accreditare, in questo giudizio di legittimità, un diverso apprezzamento della situazione di pericolosità interna della Nigeria, giudizio quest’ultimo inibito alla corte di legittimità ed invece rimesso alla cognizione esclusiva dei giudici del merito, la cui motivazione è stata articolata – sul punto qui in discussione – in modo adeguato e scevro da criticità argomentative, avendo specificato, mediante il richiamo a specifiche fonti internazionali, che nel paese di provenienza del richiedente non si assiste ad un conflitto armato generalizzato, tale da integrare il pericolo di danno protetto dalla norma sopra ricordata (cfr. pagine 5 e 6 del provvedimento impugnato).

3.2 Ciò nel rispetto della disposizione di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, che impone al giudice di verificare se la situazione di esposizione a pericolo per l’incolumità fisica indicata dal ricorrente e astrattamente sussumibile in una situazione tipizzata di rischio, sia effettivamente sussistente nel Paese nel quale dovrebbe essere disposto il rimpatrio (Cass., 11 dicembre 2020, n. 28349;Cass., 22 maggio 2019, n. 13897; Cass. 12 novembre 2018, n. 28990) e dell’onere del giudice di merito procedere, nel corso del procedimento finalizzato al riconoscimento della protezione internazionale, a tutti gli accertamenti officiosi finalizzati ad acclarare l’effettiva condizione del Paese di origine del richiedente, avendo poi cura di indicare esattamente, nel provvedimento conclusivo, le parti utilizzate ed il loro aggiornamento (Cass., 20 maggio 2020, n. 9230).

3.3 Il ricorrente, d’altra parte, non ha assolto all’onere di allegazione delle specifiche circostanze ritenute decisive ai fini del riconoscimento dell’invocata misura di protezione, né ha dedotto che le informazioni sulla cui base la Corte territoriale ha deciso (che ha richiamato sul punto più fonti aggiornate al 2016), siano state oggettivamente travisate, ovvero superate da altre più aggiornate e decisive fonti (cfr. Cass., 18 febbraio 2020, n. 4037).

4. Il quarto motivo denuncia la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 8, nonché del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; l’omessa valutazione di fatti oggetto del contraddittorio tra le parti ai fini della decisione della controversia, in relazione al vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 e l’assenza di istruttoria in ordine alla domanda di protezione umanitaria.

4.1 Anche il quarto motivo è inammissibile, non essendo stata censurata specificamente la ratio decidendi posta a fondamento del mancato riconoscimento della protezione umanitaria.

4.2 Il ricorrente fonda, infatti, la propria domanda di permesso umanitario su circostanze che sono state ritenute non credibili dal giudice di merito con argomentazioni adeguate e non sindacabili in sede di legittimità (Cass., 24 dicembre 2020, n. 29624); né ha censurato in modo specifico la ritenuta insussistenza di situazioni di particolare vulnerabilità e l’assenza di prova di integrazione sociale, avendo la Corte implicitamente ritenuto che la lettera di assunzione a tempo parziale prodotta in data 25 febbraio 2020, con la qualifica di operaio addetto al volantinaggio, non fosse idonea a dimostrare l’effettiva integrazione del ricorrente in Italia.

4.3 In proposito, questa Corte ha chiarito che il vizio dedotto non può consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte, spettando soltanto al giudice di merito di individuare le fonti del proprio convincimento, controllare l’attendibilità e la concludenza delle prove, scegliere tra le risultanze probatorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione dando liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova (Cass., 3 ottobre 2018, n. 24035; Cass., 8 ottobre 2014, n. 21152; Cass., 23 maggio 2014, n. 11511); né la Corte di cassazione può procedere ad un’autonoma valutazione delle risultanze degli atti di causa (Cass., 7 gennaio 2014, n. 91; Cass., Sez. U., 25 ottobre 2013, n. 24148).

5. In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile.

Nulla sulle spese, poiché l’Amministrazione intimata non ha svolto difese.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, il 18 novembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 24 gennaio 2022

 

 

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