Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20239 del 03/10/2011

Cassazione civile sez. trib., 03/10/2011, (ud. 06/07/2011, dep. 03/10/2011), n.20239

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUPI Fernando – Presidente –

Dott. PERSICO Mariaida – Consigliere –

Dott. IACOBELLIS Marcello – Consigliere –

Dott. DI BLASI Antonino – Consigliere –

Dott. CIRILLO Ettore – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 21250-2009 proposto da:

SOCIETA’ AMICI MIEI SRL (OMISSIS) (esercente attività di

ristorazione) in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA G. PALUMBO 26, presso la

società EP SPA, rappresentata e difesa dagli avvocati GAETA UGO,

PIETRO GAETA, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE (OMISSIS) in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende, ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 130/2008 della Commissione Tributaria

Regionale di NAPOLI del 7.5.08, depositata il 02/07/2008;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

06/07/2011 dal Consigliere Relatore Dott. ETTORE CIRILLO.

E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. RAFFAELE

CENICCOLA.

Fatto

FATTO E DIRITTO

La Corte, ritenuto in fatto:

Il 2 luglio 2008 la commissione tributaria regionale di Napoli ha rigettato l’appello della soc. Amici Miei nei confronti dell’Agenzia delle entrate, confermando la decisione di prime cure che aveva rigettato l’impugnazione dell’avviso di accertamento per IVA, IRPEG, IRAP 1999.

Ha motivato la decisione ritenendo che l’Ufficio avesse considerato giustamente inattendibile la contabilità aziendale. A tal proposito ha evidenziato che: a) era irregolare la compilazione del libro degli inventari con incongruenze tra giacenze ed acquisti eseguiti; b) nulla i soci avrebbero ritratto dal reddito d’impresa; c) il compenso dell’amministratore sarebbe inferiore a quello di alcuni dipendenti;

d) la presenza in cassa di ingenti saldi positivi lasciava intendere acquisti in evasione d’imposta; e) frequenti saldi creditori dell’IVA non avevano alcuna giustificazione economica, il che era indizio di corrispettivi non versati.

Con atto del 2 4-25 settembre 2009 la soc. contribuente ha proposto ricorso per cassazione affidato a unico motivo; l’amministrazione si è costituita con controricorso.

Indi, apposita relazione ex art. 380 bis c.p.c. è stata comunicata al Pubblico Ministero e notificata alla parti, per la decisione in camera di consiglio ai sensi dell’art. 375 c.p.c., comma 1.

Ritenuto in diritto:

Con l’unico motivo, lamentando l’omesso esame in dettaglio di quattro capi di doglianza già formulati sin dal ricorso introduttivo, la contribuente denuncia la nullità della sentenza ai sensi degli artt. 112 e 132, c.p.c., D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, e rassegna, infine, la seguente richiesta:

“La eccellentissima Corte suprema di cassazione statuirà se nel caso specifico, la CTR napoletana, limitandosi a considerare, senza alcuna motivazione e senza alcun accenno ai motivi di censura dell’appellante, sia o meno incorsa in mancato o comunque insufficiente esame dei punti decisivi della controversia”.

Tale proposizione finale, a pena d’inammissibilità, non solo manca di vero e proprio quesito, ma è comunque del tutto inidonea a integrare il requisito di cui all’art. 366 bis c.p.c. per astrattezza e difetto di conclusività, giacchè non contiene alcun riferimento specifico alla decisione impugnata, esplicativo del come la questione prospettata rileverebbe in relazione ad essa. Al riguardo, Cass. n. 1310 del 2010 “… rileva che l’art. 366 bis c.p.c., infatti, quando esige (…) che il quesito di diritto debba concludere il motivo impone che la sua formulazione non si presenti come la prospettazione di un interrogativo giuridico del tutto sganciato dalla vicenda oggetto del procedimento e dal modo in cui è stata decisa, bensì evidenzi la sua pertinenza all’uno ed all’altra. Invero, se il quesito deve concludere l’illustrazione del motivo ed il motivo si risolve in una critica alla decisione impugnata e, quindi, al modo in cui la vicenda dedotta in giudizio è stata decisa sul punto oggetto dell’impugnazione, appare evidente che il quesito, per concludere l’illustrazione del motivo, deve necessariamente contenere un riferimento riassuntivo ad esso e, quindi, al suo oggetto, cioè al punto della decisione impugnata da cui il motivo dissente. Un quesito che non presenti questa contenuto è un non-quesito e non vale ad integrare il requisito di ammissibilità previsto dalla norma in discorso (si veda, in termini, Cass. sez. un. n. 26020 del 2008; da ultimo, Cass. n. 4044 e 8463 del 2009, fra le tante)”.

E’ da rilevare, inoltre, che la necessità dell’osservanza dell’art. 366 bis c.p.c. sussiste in ogni caso in relazione al vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 4; si veda, all’uopo Cass. n. 4329 del 2009, secondo cui: “Il motivo di ricorso per Cassazione con cui si denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c., da parte del giudice di merito, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), deve essere concluso in ogni caso con la formulazione di un quesito di diritto ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., anche quando l’inosservanza del principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato sia riferibile ad un’erronea sussunzione o ricostruzione di un fatto processuale implicanti la violazione di tale regola, essendo necessario prospettare, pure in tale ipotesi, le corrette premesse giuridiche in punto di qualificazione del fatto. (Nella specie, la S.C. ha dichiarato inammissibile il motivo di ricorso con il cui generico quesito di diritto si chiedeva se il giudice di appello avesse violato l’art. 112 c.p.c. adottando la sua decisione senza procedere all’esame dei motivi su cui si fondava l’impugnazione, ed individuare, neppure sinteticamente, il motivo o i motivi di appello di cui si assumeva omesso l’esame)”.

In conclusione, il Collegio, a seguito della discussione in camera di consiglio, condividendo i motivi in fatto e in diritto della relazione, ritiene che ricorra l’ipotesi della manifesta inammissibilità del ricorso. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

La Cortei inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente alle spese del giudizio di legittimità liquidate in Euro 1.100 per onorario, oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 6 luglio 2011.

Depositato in Cancelleria il 3 ottobre 2011

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