Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2023 del 24/01/2022

Cassazione civile sez. trib., 24/01/2022, (ud. 01/12/2021, dep. 24/01/2022), n.2023

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. PAOLITTO Liberato – Consigliere –

Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –

Dott. PEPE Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 4988/2014 proposto da:

R.V.I., rappresentata e difesa dall’Avv. Gaeta

Giulio ed elettivamente domiciliata presso il suo studio in Roma,

Via G. Palumbo n. 26;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE (C.F.: (OMISSIS)), in persona del Direttore pro

tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato

(C.F.: (OMISSIS)), presso i cui uffici in Roma, Via dei Portoghesi

12, è domiciliata;

– resistente –

avverso la sentenza n. 217/17/13 della Commissione tributaria

Regionale della Campania, depositata il 5/7/2013;

sul ricorso iscritto al n. 21979/2014 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE (C.F.: (OMISSIS)), in persona del Direttore pro

tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato

(C.F.: (OMISSIS)), presso i cui uffici in Roma, Via dei Portoghesi

12, è domiciliata;

– ricorrente –

contro

G.I., rappresentata e difesa dall’Avv. Cigliano Francesco

ed elettivamente domiciliata presso il suo studio in Roma, Via degli

Scipioni n. 132;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1350/51/14 della Commissione tributaria

Regionale della Campania, depositata il 7/2/2014;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 17/11/2021

dal Consigliere Dott. Pepe Stefano.

 

Fatto

RITENUTO

Che:

1. Con cartella di pagamento n. (OMISSIS) relativa all’anno d’imposta 1982, notificata il 20.4.2011 a R.V.I. e G.I., rispettivamente moglie e figlia del de cuius G.F., Equitalia Polis S.p.a. richiedeva il pagamento dell’imposta di successione, ipotecaria e INVIM afferenti alla dichiarazione di successione di quest’ultimo.

2. Avverso tale cartella le contribuenti proponevano distinti ricorsi chiedendone l’annullamento in ragione dell’illegittima iscrizione a ruolo fondata sul difetto di motivazione – in quanto alla cartella non era allegata la sentenza della CTR n. 480/52/02 sulla quale si fondava – e sulla mancata notifica dell’avviso di liquidazione che l’Amministrazione aveva omesso di emettere a seguito della sopra indicata sentenza. La Commissione tributaria Regionale della Campania (CTR) con una prima sentenza n. 217/17/13, depositata il 5/7/2013, in accoglimento dell’appello proposto dall’Agenzia delle entrate e in riforma della sentenza della CTP, rigettava l’originario ricorso proposto della R. sul rilievo che la cartella di pagamento era adeguatamente motivata, assumendo all’uopo rilievo la circostanza che essa si fondava sull’intervenuto giudicato afferente al prodromico avviso di liquidazione, essendo, dunque, infondata la doglianza afferente la necessaria nuova notifica di tale avviso. Con una seconda pronuncia, n. 1350/51/14, depositata il 7/2/2014, la CTR Campania dichiarava l’inammissibilità dell’appello proposto dall’Agenzia delle entrate nei confronti di G.I. per violazione del termine di cui all’art. 327 c.p.c., non essendo idoneo a provarne la tempestività il deposito da parte dell’Amministrazione finanziaria di un prospetto con indicazione, tra le altre, della presunta raccomandata relativa all’atto di appello diretta alla contribuente recante un timbro delle Poste, in quanto atto esclusivamente finalizzato a regolare i rapporti tra l’Ufficio e le Poste.

3. Con ricorso iscritto al n. 4988/2014 la R. impugna la sentenza n. 217/17/13 formulando quattro motivi.

4. L’Agenzia delle entrate si è costituita ai soli fini dell’eventuale partecipazione all’udienza.

5. Con ricorso iscritto al n. 21979/2014 l’Agenzia delle entrate impugna con un unico motivo la sentenza n. 1350/51/14.

6. I.G. ha depositato controricorso.

7. In prossimità della camera di consiglio il difensore della Rendita formulava istanza di riunione dei due procedimenti rappresentando l’avvenuta domanda di definizione agevolata D.L. n. 119 del 2018, ex art. 6, comma 10, presentata dalla coobbligata I.G., domanda rispetto alla quale, con provvedimento del 20.5.2020, l’Agenzia delle entrate opponeva il proprio diniego; diniego oggetto di impugnazione da parte della contribuente.

8. Con ordinanza emessa il 21.1.2021 il Collegio disponeva la riunione dei due procedimenti e il rinvio a nuovo ruolo al fine di acquisire i fascicoli di merito.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. In via preliminare, va osservato che in tema di definizione agevolata delle controversie tributarie D.L. n. 119 del 2018, ex art. 6, conv., con modif., in L. n. 136 del 2018, l’impugnazione del provvedimento di diniego della relativa domanda di adesione ha natura meramente incidentale, innestandosi in un processo già iniziato quale causa potenzialmente idonea a determinare la cessazione della materia del contendere e, dunque, deve essere proposta innanzi all’organo giurisdizionale presso il quale pende la lite fiscale e deve essere oggetto di inziale scrutinio rispetto alle ulteriore questioni proposte dalle parti. Nel caso di specie deve essere affermata la legittimità del diniego opposto dall’Agenzia delle entrate.

L’art. 6 cit. nel disciplinare l’ambito di applicazione della definizione agevolata, al comma 1, sancisce che esso va individuato nelle “controversie attribuite alla giurisdizione tributaria in cui è parte l’Agenzia delle entrate, aventi ad oggetto atti impositivi (…)”.

Premesso che la nozione di atto impositivo non ha natura formale ma si qualifica per il contenuto sostanziale del provvedimento interessato, nel presente giudizio l’atto impugnato è una cartella di pagamento, la quale si configura quale mero liquidatori di un prodromico atto impositivo e, dunque, si colloca fuori dall’ambito applicativo della norma sopra indicata. Ai fini di meglio comprendere la vicenda processuale oggetto del presente scrutinio va rilevato che nella fattispecie l’Amministrazione finanziaria ha emesso l’atto impositivo a seguito del passaggio in giudicato della sentenza della CTR n. 112/02/1994, sentenza con la quale era stata ridotta l’originaria pretesa erariale. L’indicato atto veniva fatto oggetto di ulteriore impugnazione da parte delle ricorrenti; impugnazione che veniva respinta dalla CTR con la sentenza n. 480/52/02, depositata il 3.6.2003 e non impugnata. Sulla base di tale ultima sentenza l’Agenzia provvedeva all’iscrizione a ruolo e alla notifica della cartella di pagamento oggetto del presente giudizio, trovando il diritto alla riscossione dell’imposta – conseguente ad avviso di liquidazione divenuto definitivo perché confermato con sentenza passata in giudicato – il proprio titolo non più sull’atto amministrativo, ma nella sentenza.

2. Con l’unico motivo di ricorso l’Agenzia delle entrate censura, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la sentenza della CTR Campania n. 1350/51/14, per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 16 e 22, dell’art. 149 c.p.c..

Con tale motivo l’Agenzia delle entrare rileva che la sentenza impugnata è affetta da due errori di diritto: il primo, laddove si afferma che il prospetto prodotto in giudizio dalla parte indicante una serie di raccomandate – tra le quali quella afferente l’atto di appello in esame corredato dal timbro delle Poste (del 2.7.2012) non è idoneo a provare l’avvenuta spedizione dell’atto di appello nei termini di legge (scadenza il 3.7.2012), in quanto non può surrogare l’avviso di ricevimento; il secondo, attiene all’affermazione dell’inammissibilità dell’appello per il mancato deposito dell’avviso di ricevimento essendo, al contrario, l’appellante tenuto al deposito ricevuta di spedizione.

2.1 Il motivo non è fondato.

La questione sottoposta al Collegio attiene alla tempestività dell’atto di appello proposto dall’Agenzia delle entrata rilevandosi che, seppure la ricorrente deduce la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la censura proposta deve essere riqualificata quale violazione di legge ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 Ed invero, l’erronea intitolazione del motivo di ricorso per cassazione non osta alla sua sussunzione in altre fattispecie di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, né determina l’inammissibilità del ricorso, se dall’articolazione del motivo sia chiaramente individuabile il tipo di vizio denunciato (ex plurimis Cass. n. 26310 del 2017 Rv. 646419 – 01). Ciò risulta rispettoso del principio di salvaguardia dell’esigenza di effettività della tutela del diritto azionato in giudizio, laddove l’erronea intitolazione del motivo di ricorso per cassazione non osta più, di norma, alla riqualificazione della sua sussunzione entro diversa fattispecie dell’art. 360 c.p.c., comma 1, alla sola condizione che, nello sviluppo stesso del motivo, il ricorrente articoli con coerenza argomenti a sostegno di una tesi giuridica manifestamente riconducibile alla fattispecie malamente indicata.

Fatta tale necessaria premessa va rilevato che – a prescindere della questione relativa alla prova della intervenuta notifica mediante produzione dell’elenco delle raccomandate depositato in giudizio dall’Amministrazione finanziaria appellante – dall’esame degli atti compiuto a seguito di ordinanza interlocutoria con la quale si è disposto l’acquisizione del fascicolo di merito, emerge che nell’elenco sopra indicato la raccomandata inviata al difensore della contribuente relativa all’atto di appello oggetto di scrutinio reca un numero diverso (14183609863-3) rispetto a quello riportato sull’avviso della raccomandata afferente tale atto (14183609866-3).

Consegue da quanto sopra che l’Amministrazione non ha fornito prova contraria idonea a superare l’eccepita tardività dell’appello formulata dalla contribuente fondata sul timbro riportante la data del 5.7.2021 apposto dalle Poste sull’avviso di ricevimento dell’atto di appello.

3. Con il primo motivo, R.V.I. impugna la sentenza della CTR n. 217/17/13, per violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; nullità del giudizio concluso con la sentenza della CTR n. 480/52/02, depositata il 3.6.2003, posta a fondamento della cartella impugnata; omessa motivazione su fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

La ricorrente eccepisce che la CTR ha omesso di pronunciarsi sulla sollevata eccezione relativa alla mancata conoscenza del procedimento di appello e della conseguente sentenza n. 480/52/02; eccezione fondata sul fatto che l’atto di appello non era stato notificato alla contribuente ma al suo difensore nel primo grado di giudizio al quale non era stata conferita procura per la difesa nel grado di appello.

3.1 Il motivo non è fondato.

La censura risulta posta in modo generico e contraddittorio laddove la ricorrente afferma che qualora “gli atti relativi al giudizio di secondo grado che hanno dato luogo alla sentenza divenuta definitiva da cui ne è scaturita l’iscrizione a ruolo in esame fossero stati notificati al difensore del primo grado del giudizio Dott. R.A. e non alla contribuente, in assenza di costituzione della stessa nel giudizio di secondo grado, quest’ultimo non si sarebbe tenuto regolarmente perché il ricorso in appello dell’Agenzia non sarebbe stato notificato all’effettivo destinatario (la stessa ricorrente quale parte) ma al difensore del solo giudizio di primo grado attesa la validità della procura solo per detto grado ma non anche per il secondo grado”.

E’ evidente il difetto di specificità ed autosufficienza del motivo in esame che si fonda su una ipotetica avvenuta notifica dell’atto di appello al difensore della parte in primo grado ritenuta, peraltro, erronea da parte della ricorrente; affermazione, quest’ultima, che non tiene conto del fatto che il processo tributario ha un proprio regime di notificazione degli atti, disciplinato dal D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 16 e 17. Per effetto di tali disposizioni, le notificazioni sono eseguite, salva la consegna a mani proprie, nel domicilio eletto o, in mancanza, nella residenza o nella sede dichiarata dalla parte all’atto della sua costituzione in giudizio, e l’indicazione della residenza e del domicilio hanno effetto anche per i successivi gradi di giudizio con la conseguenza che è nulla (e non inesistente) ove eseguita presso il procuratore costituito in primo grado ma non domiciliatario; circostanza, quest’ultima, neanche dedotta dalla ricorrente.

4. Con il secondo motivo, R.V.I. impugna la sentenza della CTR n. 217/17/13, per violazione dell’art. 2909 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

A parere della ricorrente la sentenza impugnata avrebbe omesso ogni pronuncia sull’eccepito intervenuto giudicato (sentenza n. 254/33/02 pronunciata il 7.5.2002 e depositata il 19.12.2002 della CTR di Napoli) con il quale era stato accolto il ricorso proposto da G.T., figlia della ricorrente; giudicato di cui risultava parte interveniente la R..

4.1 Il motivo non è fondato.

La censura proposta non tiene conto che il giudicato evocato ha ad oggetto l’originario avviso di liquidazione (n. 109993) notificato alla contribuente e alle sue figlie, quali obbligate in solido al pagamento delle imposte dovute a seguito della successione di G.F.. La pretesa erariale indicata in tale avviso, a seguito di altro giudizio proposto dalle odierne contribuenti, veniva rideterminata dalla CTR con sentenza 3693/13/93 (con riduzione del valore accertato dall’Ufficio del 25%) e, conseguentemente, l’Amministrazione finanziaria provvedeva ad emettere altro avviso di liquidazione confermato dalla sentenza della CTR n. 480/52/02.

Risulta, dunque, evidente l’errore interpretativo sul quale si fonda il richiamo del giudicato esterno evocato dalla ricorrente tenuto conto del fatto che la cartella di pagamento oggetto del presente giudizio si fonda su di una sentenza emessa in relazione ad un avviso di liquidazione diverso rispetto a quello indicato dalla ricorrente.

5. Con il terzo motivo la R. deduce, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione della L. n. 212 del 2000, art. 7, e della L. n. 241 del 1990, art. 3, e del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 20.

Lamenta la ricorrente che in assenza del prescritto avviso di liquidazione, la cartella di pagamento era carente di motivazione circa le ragioni e le modalità di calcolo delle imposte richieste, delle sanzioni e degli interessi, con conseguente lesione del diritto di difesa.

5.1 Il motivo è inammissibile

Questa Corte (Cass. n. 28570 del 06/11/2019 Rv. 655730 – 01) ha affermato il principio, condiviso dal Collegio, secondo cui “In tema di processo tributario, ove si censuri la sentenza della Commissione tributaria sotto il profilo del giudizio espresso in ordine alla motivazione di una cartella di pagamento – la quale è atto amministrativo e non processuale – il ricorrente, a pena di inammissibilità, deve trascrivere testualmente il contenuto dell’atto impugnato che assume erroneamente interpretato o pretermesso dal giudice di merito al fine di consentire alla Corte di cassazione la verifica della doglianza esclusivamente mediante l’esame del ricorso”. Nella specie, la ricorrente ha omesso sia di riprodurre nel ricorso il contenuto della cartella impugnata ma ha, altresì, omesso di allegare la stessa così precludendo ogni esame da parte del Collegio circa la denunciata nullità.

6. Con il quarto motivo la ricorrente lamenta, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, comma 1, avendo l’Agenzia provveduto alla notifica della cartella mediante le Poste e non dei soggetti tassativamente previsti ed abilitati dalla norma sopra indicati.

6.1 Il motivo non è fondato.

La censura è frutto di una parziale lettura della norma sopra indicata la quale dispone che “La cartella è notificata dagli ufficiali della riscossione o da altri soggetti abilitati dal concessionario nelle forme previste dalla legge ovvero, previa eventuale convenzione tra comune e concessionario, dai messi comunali o dagli agenti della polizia municipale; (…). La notifica può essere eseguita anche mediante invio di raccomandata con avviso di ricevimento; in tal caso, la cartella è notificata in plico chiuso e la notifica si considera avvenuta nella data indicata nell’avviso di ricevimento sottoscritto da una delle persone previste dal comma 2 o dal portiere dello stabile dove è l’abitazione, l’ufficio o l’azienda”.

Risulta, dunque, evidente come la notifica della cartella, diversamente da quanto affermato dalla contribuente, possa avvenire anche tramite le Poste, assumendo ulteriormente rilievo il fatto che la natura sostanziale e non processuale della cartella di pagamento non osta all’applicazione di istituti appartenenti al diritto processuale, soprattutto quando vi sia un espresso richiamo di questi nella disciplina tributaria, sicché il rinvio operato dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, comma 5, del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60 (in materia di notificazione dell’avviso di accertamento), il quale, a sua volta, rinvia alle norme sulle notificazioni nel processo civile, comporta, in caso di irritualità della notificazione della cartella di pagamento, l’applicazione dell’istituto della sanatoria del vizio dell’atto per raggiungimento dello scopo ai sensi dell’art. 156 c.p.c. (Cass. n. 6417 del 05/03/2019 Rv. 653074 – 01). Nel caso di specie risulta l’avvenuta notifica della cartella alla contribuente e la conseguente sua impugnazione dinnanzi alla commissione tributaria, pertanto, in applicazione del principio sopra indicato non sussiste la lamentata violazione di legge.

7. In conclusione, entrambe i ricorsi devono essere rigettati.

8. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo dovendosi tenere conto, quanto al ricorso proposto dalla R., dell’assenza di attività difensiva della parte vittoriosa.

Sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte di R.V.I., dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

La Corte:

Rigetta il ricorso proposto da Agenzia delle entrate.

Rigetta il ricorso proposto da R.V.I..

Condanna l’Agenzia delle entrate alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità in favore di G.I. che liquida in Euro 2.200,00 per compensi professionali e Euro 200,00 per esborsi oltre rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15% e altri accessori di legge se dovuti.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte di R.V.I., dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, mediante collegamento da remoto, ai sensi del D.L. 28 ottobre 2020 n. 137, art. 23, comma 9, conv. con modif. dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176, il 1 dicembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 24 gennaio 2022

 

 

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