Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20228 del 21/08/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 21/08/2017, (ud. 28/04/2017, dep.21/08/2017),  n. 20228

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMOROSO Giovanni – Presidente –

Dott. CURCIO Laura – Consigliere –

Dott. MANNA Antonio – rel. Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28648-2011 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA VIALE

MAZZINI 134, presso lo studio dell’avvocato LUIGI FIORILLO, che la

rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

L.D.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 5715/2010 della CORTE D’APPELLO di BARI

depositata il 23/11/2010 R.G.N. 2340/2006.

Fatto

RILEVATO

Che con sentenza pubblicata il 23.11.10 la Corte d’appello di Bari rigettava il gravame di Poste Italiane S.p.A. contro la sentenza con cui il Tribunale di Trani, dichiarato nullo il termine apposto al contratto di lavoro subordinato stipulato (per “esigenze tecniche, organizzative e produttive anche di carattere straordinario, conseguenti a processi di riorganizzazione, ivi ricomprendendo un più funzionale riposizionamento di risorse sul territorio, anche derivanti da innovazioni tecnologiche, ovvero conseguenti all’introduzione e/o sperimentazione di nuove tecnologie, prodotti o servizi, nonchè all’attuazione delle previsioni di cui agli accordi del 17, 18 e 23 ottobre, 11 dicembre 2001, 11 gennaio 2002, 13 febbraio e 17 aprile 2002”) tra Poste Italiane S.p.A. e L.D., per il periodo 7.5.02-30.6.02, accertava la sussistenza d’un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato fra le parti, con conseguente condanna della società a riammettere in servizio il lavoratore e a pagargli gli arretrati retributivi;

che per la cassazione della sentenza ricorre Poste Italiane S.p.A. affidandosi a cinque motivi;

che l’intimato non ha svolto attività difensiva.

Diritto

CONSIDERATO

Che il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 4 c.c., comma 2, art. 2697 c.c., D.Lgs. n. 368 del 2001, artt. 115, 116,244,253, e art. 421 c.p.c., comma 2, per avere la sentenza invertito (a carico della ricorrente) l’onere della prova delle ragioni che legittimano l’eventuale proroga del contratto e rigettato l’istanza di prova testimoniale formulata dalla società per dimostrare la fondatezza della causale apposta al contratto a termine;

che analoga doglianza viene fatta valere con il secondo e il terzo motivo sotto forma di denuncia di vizio di motivazione anche in ordine alla specificità della causale;

che il quarto motivo deduce vizio di motivazione e violazione e falsa applicazione D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, art. 12 preleggi, art. 115 c.p.c., e art. 1419 c.c., perchè, pur risultando la natura essenziale della clausola relativa al termine, la Corte territoriale ha ritenuto comunque costituito un valido rapporto a tempo indeterminato, senza rilevare la nullità dell’intero contratto;

che con il quinto motivo si lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 1206,1207,1217,1218,1219,1223,2094,2099 e 2697 c.c., nella parte in cui la gravata pronuncia non ha affermato che al lavoratore spettano le retribuzioni solo a decorrere dal momento dell’effettiva ripresa del servizio e che comunque in tal caso andrebbe applicato lo ius superveniens di cui alla L. n. 183 del 2010, art. 32;

che i primi tra motivi – da esaminarsi congiuntamente perchè connessi – sono infondati, atteso che, con riferimento a fattispecie nelle quali erano state adoperate clausole giustificatrici di contenuto analogo a quello utilizzato nel caso in esame, questa Corte di legittimità (cfr., ex aliis, Cass. 1.2.2010 n. 2279) ha affermato che il legislatore, richiedendo l’indicazione da parte del datore di lavoro di specifiche ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, ha inteso stabilire, in consonanza con la direttiva 1999/70/CE, come interpretata dalla Corte di Giustizia (cfr. sentenza 23.4.2000, in causa C-378/07 ed altre; cfr. altresì sentenza 22.11.2005, in causa C-144/04), un onere di specificazione delle ragioni oggettive del termine finale, vale a dire di indicazione sufficientemente dettagliata della causale nelle sue componenti identificative essenziali, riguardo sia al contenuto che alla sua portata spazio-temporale e – più in generale – circostanziale, perseguendo in tal modo la finalità di assicurare la trasparenza e la veridicità di tali ragioni, nonchè la loro immodificabilità nel corso del rapporto;

che l’onere di specificazione nell’atto scritto costituisce una perimetrazione della facoltà riconosciuta all’imprenditore di fare ricorso al contratto di lavoro a tempo determinato per soddisfare una vasta gamma di esigenze aziendali (di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o aziendale), a prescindere da fattispecie predeterminate e che tale onere ha lo scopo di evitare l’uso indiscriminato dell’istituto per fini solo nominalmente riconducibili alle esigenze ammesse dalla legge, imponendo la riconoscibilità della motivazione addotta già nel momento della stipula del contratto;

che il venir meno del sistema delle fattispecie legittimanti impone che il concetto di specificità sia collegato a situazioni aziendali non più standardizzate, ma obiettive, con riferimento alle realtà in cui il contratto viene ad essere calato;

che la sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione dei suddetti principi, con conclusione adeguatamente motivata e che resiste, pertanto, alle censure formulate dalla società ricorrente;

che inoltre, quanto al diniego della prova testimoniale chiesta dalla società per dimostrare la particolare incidenza dei processi di mobilità del personale anche sull’articolazione produttiva della società, nonchè sulla idoneità della compresenza, nel contratto, di più ragioni di apposizione del termine, deve evidenziarsi che si tratta di doglianza da disattendersi, giacchè la ritenuta invalidità dell’enunciazione, nel contratto, della causale dell’apposizione del termine assorbe ogni altra rilevanza di prova testimoniale a riguardo;

che, in sintesi, è inconferente ogni censura relativa alle attività processuali che si sarebbero dovute svolgere;

che il quarto motivo è infondato: invero, quanto alla contestata conseguenza della conversione a tempo indeterminato del contratto a termine nullo concluso in violazione della D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, questa Corte ha già avuto occasione di chiarire (v., per tutte, Cass. n. 7244/14) che tale norma ha confermato il principio generale secondo cui il rapporto di lavoro subordinato è normalmente a tempo indeterminato, costituendo l’apposizione del termine un’ipotesi derogatoria anche nel sistema, del tutto nuovo, della previsione di una clausola generale legittimante l’apposizione del termine per ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo; ne deriva che, in caso di insussistenza delle ragioni giustificative e pur in difetto di una norma che ne sanzioni espressamente la mancanza, in base ai principi generali in materia di nullità parziale del contratto e di eterointegrazione della disciplina contrattuale, all’illegittimità del termine e alla nullità della clausola di apposizione dello stesso consegue l’invalidità parziale relativa alla sola clausola (pur se eventualmente dichiarata essenziale) e l’instaurarsi di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato (in tal senso v., altresì, Cass. n. 4760/15 e Cass. n. 12985/08);

che il quinto motivo è fondato nella parte in cui invoca l’applicazione dello ius superveniens di cui alla L. n. 183 del 2010, art. 32, (il che assorbe ogni ulteriore censura in esso contenuta), dovendosi a riguardo seguire la sentenza n. 21691/16 delle S.U. di questa S.C., che ha statuito che una censura ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, può riguardare anche la violazione di disposizioni emanate dopo la pubblicazione della sentenza impugnata, ove retroattivamente applicabili anche ai giudizi in corso (come l’art. 32 cit.: cfr., per tutte, Cass. n. 6735/14), atteso che il ricorso per cassazione ha ad oggetto non l’operato del giudice, ma la conformità della decisione adottata all’ordinamento giuridico;

che, dunque, ben può chiedersi l’applicazione anche in sede di legittimità dello ius superveniens intervenuto, come nel caso di specie, dopo la sentenza impugnata e prima della proposizione del ricorso per cassazione, con l’unico limite, non verificatosi nel caso di specie, di intervenuto passaggio in giudicato della statuizione relativa alle conseguenze economiche dell’accertata nullità della clausola di apposizione del termine (passaggio in giudicato da escludersi al momento del ricorso per cassazione, essendo ancora sub iudice la questione relativa alla validità del termine);

che, in conclusione, accolto nei sensi di cui sopra il motivo concernente la mancata applicazione del cit. art. 32 e disattesi tutti gli altri, la sentenza va cassata in relazione al motivo accolto con rinvio, anche per le spese, alla Corte d’appello di Bari in diversa composizione, che dovrà limitarsi a quantificare l’indennità spettante all’odierno intimato ex art. 32 cit. per il periodo compreso fra la scadenza del termine e la pronuncia del provvedimento con il quale il giudice ha ordinato la ricostituzione del rapporto di lavoro (cfr., per tutte, Cass. n. 14461/15), con interessi e rivalutazione su detta indennità da calcolarsi a decorrere dalla data della pronuncia giudiziaria dichiarativa dell’illegittimità della clausola appositiva del termine al contratto di lavoro subordinato (cfr., per tutte, Cass. n. 3062/16).

PQM

 

Accoglie l’ultimo motivo nei sensi di cui in motivazione, rigetta gli altri, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d’appello di Bari in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità. Così deciso in Roma, il 28 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 21 agosto 2017

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