Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20228 del 03/10/2011

Cassazione civile sez. VI, 03/10/2011, (ud. 30/06/2011, dep. 03/10/2011), n.20228

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1 27532/2009

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –

Dott. RORDORF Renato – Consigliere –

Dott. FORTE Fabrizio – rel. Consigliere –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. MACIOCE Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sui ricorsi riuniti iscritti ai n.ri 27526, 27258, 27530, 27532 del

Ruolo Generale degli affari civili dell’anno 2009 proposti da:

1) Ric. 27526: I.A., n. (OMISSIS) e V.

I.A. n. (OMISSIS); 2) Ric. 27528:

I.L. n. (OMISSIS) e l’avv. I.

G., nata a (OMISSIS), in proprio e nella

qualità di eredi con beneficio di inventario dell’avv. I.

E., deceduto a (OMISSIS); 3) ric. n. 27230:

I.A., (cfr. ric. n. 1) e V.I.

F., A.I. ved. V.I., in proprio e

quale esercente la potestà genitoriale sul minore V.

I.L., tutti nella qualità di eredi dell’avv. V.

I.G., deceduto a (OMISSIS); 4)

ric. 27532: V.I.A. (ric. 1) e I.

L. e avv. I.G. (di cui al ric. n. 2),

I.A., e V.I.F., A.I.

ved. V.I., in proprio e quale esercente la potestà

genitoriale sul minore V.I.L., tutti nella

qualità di eredi dell’avv. V.I.G., deceduto

a (OMISSIS) di cui al ricorso n. 3;

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro in carica ex lege

domiciliato in Roma alla Via dei Portoghesi n. 12, presso

l’Avvocatura generale dello Stato e da questa rappresentato e difeso;

– resistente –

avverso il decreto della Corte d’appello di Potenza 21 luglio – 11

settembre 2009, n. 1736 cron. del 2009. Nessuno è comparso

all’adunanza del 30 giugno 2011.

Fatto

PREMESSO IN FATTO

1. E’ stata depositata in cancelleria la seguente relazione ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c.: “FATTO: Con decreto dell’11 settembre 2009 la Corte d’appello di Potenza, riuniti i procedimenti sorti sulle domande con identico contenuto proposte nei procedimenti camerali n.ri 354, 356, 359 e 267 del 2008 dai soggetti indicati nella intestazione di questa relazione, i quali avevano agito, in proprio e nelle qualità di cui sopra, per ottenere dal Ministero della Giustizia il pagamento dell’equo indennizzo per i danni non patrimoniali subiti, ai sensi della L. n. 89 del 2001 e dell’art. 6 della Convenzione dei diritti dell’uomo, dal loro defunto dante causa avv. V.I.G., a causa della durata irragionevole di un processo contro quest’ultimo, iniziato con atto di citazione notificato il 9 aprile 1996 dinanzi al Tribunale di Lecce, proseguito dinanzi alla locale Corte di appello e concluso in Cassazione con sentenza del 26 maggio 2008 che aveva rigettato l’impugnativa della decisione di merito, confermando il rigetto della domanda di restituzione e rendiconto della gestione di beni dotali proposta contro il de cuius.

Su tali richieste di equa riparazione, la Corte d’appello adita ha ritenuto che i tempi di durata del processo presupposto, mediamente ritenuti logici anche dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo (tre anni per il primo grado, due per il secondo e uno per il giudizio di legittimità) potessero essere protratti di due anni in ragione degli ostacoli posti dalle parti alla conclusione della causa, con la necessità di precisazione della domanda introduttiva e a causa d’una istanza di ricusazione del giudice per il primo grado, e per essersi fatto decorrere l’intero anno dalla pubblicazione della pronuncia d’appello per il grado di legittimità; sui dodici anni circa di durata del giudizio civile, pertanto, a causa dell’indicato allungamento dei tempi del giusto processo era da ritenere eccedente la soglia di ragionevolezza quella di anni quattro, dovendosi il danno non patrimoniale da ansia per l’esito del giudizio liquidare in Euro 1000,00 annui non essendosi provato un nocumento maggiore per i ricorrenti. I.A., V.I.A. ricorrenti nel procedimento n. 354/08, I.E., I.G. e I.L., parti nel giudizio n. 367/08, avevano partecipato in proprio al processo presupposto e avevano diritto quindi al pagamento di Euro 4.000,00 (Euro 1000,00 annui) per il danno non patrimoniale subito in tale qualità, avendo la prima dimostrato documentalmente anche di essere erede testamentaria del de cuius di cui era la madre e quindi, anche in tale qualità, doveva avere riconosciuto l’equo indennizzo per un terzo della somma di Euro 2.500,00 che sarebbe spettata a tale titolo al defunto che, essendo deceduto il (OMISSIS), aveva sofferto lo stato d’ansia per l’esito del processo fino a tale data e solo quindi per due anni e mezzo dei quattro ritenuti irragionevoli.

Nel procedimento n. 356/08 V.I.A. ed I.E. agiscono quali eredi di V.G., deceduta il (OMISSIS), ma solo I.E. aveva provato tale qualità come figlio della defunta che, all’atto della morte nel (OMISSIS), ancora non aveva subito i danni da ansia per l’esito del processo iniziati solo dal 9 aprile 2003, per cui la domanda proposta nelle dette qualità doveva per entrambi essere respinta. Per le altre ricorrenti V.I.F. e A.I. ved. I., per sè e per il figlio minore I. V.L., la Corte di merito ha ritenuto non dimostrata la loro legittimazione ad agire, quali eredi di V.I. G. e di V.G., ed ha rigettato la loro domanda, condannandole alle spese del grado, confermando che in ogni caso a loro quali eredi della V., per le ragioni già indicate, nulla sarebbe spettato per i danni non patrimoniali. Nel ricorso iscritto al n. 27530/09 del R.G. della Corte di cassazione di cinque motivi I.A., V.I.F., A.I. ved. I.V., in proprio e nella qualità di esercente la potestà genitoriale sul minore V.I. L., tutti quali eredi di V.I.G., parzialmente o totalmente soccombenti nel giudizio di merito, hanno denunciato: a) violazione della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2 e dell’art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, anche per omessa o insufficiente motivazione per avere prolungato la durata necessaria e logica di risoluzione dei tre gradi del processo presupposto da sei ad otto anni, senza avere motivato in ordine all’applicazione della durata media di tre anni per il primo grado, che nel caso avrebbe potuto essere anche minore; b) violazione degli artt. 81 e 112 c.p.c., anche per insufficiente motivazione, per avere rilevato il difetto di legittimazione di alcuni dei ricorrenti senza eccezione di controparte e in violazione dell’art. 112 c.p.c., pronunciandosi di ufficio su questione sulla quale non aveva sollecitato il contraddittorio delle parti, che comunque agivano congiuntamente per la comunione ereditaria e si erano riconosciute reciprocamente le loro qualità di eredi, dovendosi riconoscere per intero la quota spettante all’erede testamentaria I.A., succeduta nella quota disponibile dell’eredità del de cuius, corrispondente comunque ad un quarto dei beni del defunto e non ad un terzo di essi come affermato in decreto; c) violazione delle norme di cui ai primi due motivi e insufficienze motivazionali, avendo limitato la Corte l’equo indennizzo al solo periodo in cui il dante causa era in vita, anche se la morte di lui non era stata dichiarata in giudizio e non aveva dato luogo a interruzione del processo; d) violazione dell’art. 93 c.p.c., perchè è stata omessa la distrazione delle spese richiesta dai difensori antistatari nel giudizio di merito; e) omessa valutazione dalla Corte di merito del fatto che i ricorsi riuniti decisi erano quattro, essendosi liquidate le spese per un solo processo, come dimostra la determinazione di spese per Euro 8,00, cioè relativa ad una sola marca da bollo per un unico ricorso e non a quattro marche, una per ciascuno degli atti introduttivi delle cause riunite.

Con il ricorso n. 27526 del 2009, la stessa I.A. e V.I.A., censuravano il medesimo decreto della Corte d’appello di Potenza per i motivi di cui ai capi a), d) ed e) sopra richiamati, così come L. e I.G., in proprio e quali accettanti con beneficio di inventario la eredità dell’avv. I.E., che prospettavano detti motivi di impugnazione nella causa iscritta a ruolo in Cassazione al n. 27528 del 2009. Tutti i cinque motivi del ricorso sopra indicati sono stati richiamati in una sorta di impugnazione riassuntiva di tutte le parti in epigrafe individuate, iscritta con il numero di ricorso 27532 del R.G. del 2009, e in tutte le impugnazioni è difensore l’avv. Gabriele Valentini del Foro di Roma. Unica difesa del Ministero è proposta con atto c.d. di costituzione del Ministero del 23 febbraio 2010, irritualmente depositato con il richiamo alle difese già svolte nei pregressi gradi di giudizio.

DIRITTO – Il relatore ritiene che il primo motivo di ricorso (lettera a) è inammissibile, per la parte in cui chiede una nuova valutazione della durata ragionevole del primo grado del processo presupposto, in sostituzione di quella individuata dalla Corte di merito, in sede di legittimità ed è infondato per la parte in cui censura il decreto per essersi adeguato ai parametri in uso presso la Corte europea su tale punto decisivo, per i quali ha fissato in tre anni il tempo ragionevole di svolgimento del primo grado sopra richiamato, elevato poi di un anno con motivazione congrua giuridicamente e logicamente per i tempi aggiuntivi da ascrivere alla esclusiva responsabilità delle parti, come quelli conseguenti alla esigenza di precisazione della domanda e gli altri del subprocedimento di ricusazione del giudice.

In ordine al secondo motivo di ricorso relativo alla legittimazione ad agire dei ricorrenti (lettera b), esso è in parte infondato e in parte inammissibile: il difetto di legittimazione, attenendo alla regolare instaurazione del contraddittorio, può in ogni stato e grado del processo rilevarsi di ufficio, anche senza sottoporre la questione su cui il giudice si pronuncia alla valutazione e all’esame dei destinatari della decisione che, se non legittimati, neppure possono qualificarsi parti sostanziali del processo, in quanto la carenza di legittimazione emerga da atti e documenti acquisiti al processo sui quali le parti hanno potuto interloquire, risultando dalla stessa documentazione citata nell’impugnazione il dubbio sulla titolarità delle situazioni soggettive, che si affermano di voler far valere ai sensi dell’art. 81 c.p.c. (così S.U. n. 4468/2009);

nel caso, l’allegazione del testamento del defunto che attribuisce alla madre I.A. la quota disponibile del patrimonio, chiarisce la esistenza di eredi testamentari, per cui correttamente occorreva che le altre parti ricorrenti in questa sede allegassero e provassero la loro qualità di eredi legittimi, legittimari o testamentari, in mancanza della quale deve escludersi potessero far valere tale qualità nel caso concreto. Il secondo motivo di ricorso non è autosufficiente per la parte in cui ancora non chiarisce nè allega, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 6 e art. 369, n. 4, i documenti comprovanti la qualità di eredi di V.I. F. e A.I. ved. V.I., per sè e per il figlio minore, mancando quindi la prova di una loro qualifica di eredi testamentari e di un rapporto di parentela o di coniugio che renda tali parti successori legittimi o legittimari del de cuius, con conseguente assenza di prove che evidenzino che esse agiscono facendo valere situazioni soggettive di cui possono dichiararsi titolari e difetto di interesse al ricorso e assente violazione dell’art. 112 c.p.c., non essendovi domanda o eccezione di parte, su cui si sia disposto dal giudice a quo, con la rilevazione da parte di tale giudice del difetto di legittimazione.

Esattamente si è negato poi, dalla Corte di merito, la solidarietà del credito per l’equo indennizzo preteso da tutti i coeredi, ciascuno dei quali subentra pro quota nella posizione del suo dante causa (Cass. n. 23939 del 2006), come accade in parte anche per I.A., la cui richiesta di elevare ad un quarto la quota disponibile di cui è stata ritenuta erede testamentaria, non è dedotta in modo autosufficiente, non chiarendosi con quali eredi legittimi o legittimari essa concorra e di conseguenza non risultando agli atti la misura della quota ereditaria che le compete e in cui ella subentra.

Il terzo motivo di ricorso (lett. c) è infondato in quanto i ricorrenti si dichiarano eredi di una parte del processo presupposto, nel cui credito per l’azione indennitaria per i danni non patrimoniali da ansia sull’esito del processo, non possono subentrare, una volta che tale stato soggettivo di sofferenza è cessato a causa della morte stessa della parte, essendo irrilevante la interruzione o meno del processo presupposto, potendo l’erede proseguire in proprio il giudizio riassumendolo e chiedendo per tale nuovo titolo in proprio l’indennizzo per il periodo nel quali egli ha partecipato al processo presupposto (Cass. n. 23416 del 2009).

Deve sul quarto motivo (lett. d) relativo alla mancata distrazione in favore del difensore delle spese nel grado di merito, anche a non considerare la recente giurisprudenza che ritiene potersi integrare la pronuncia sul punto con la procedura di correzione dell’errore materiale (così Cass. n. 16037 del 2010), deve rilevarsi comunque il difetto di legittimazione dei ricorrenti, potendo agire per censurare tale omissione il solo difensore in proprio (Cass. n. 24106 del 2009).

In ordine alle spese, il motivo resta assorbito per le parti le cui domande sono state correttamente rigettate, mentre per la sola I.A. la riduzione alla metà delle spese, giustifica da sola la considerazione di esborsi per le marche pari ad 8,00 Euro, come fissata nel decreto, relativa quindi a due ricorsi che sono quelli nei quali essa ha vinto parzialmente con la sua azione.

Il relatore opina quindi che tutti i ricorsi di cui sopra proposti dalle parti in epigrafe indicate con l’assistenza di un unico difensore, devono essere riuniti in quanto impugnano lo stesso provvedimento ai sensi dell’art. 335 c.p.c., e sono manifestamente infondati. Si chiede quindi al Presidente della sesta sezione di fissare l’adunanza in camera di consiglio perchè i detti ricorsi siano tutti rigettati con ordinanza, ai sensi degli art. 375 c.p.c., n. 5, nella versione vigente ratione temporis”.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Preliminarmente devono riunirsi i più ricorsi proposti ai sensi dell’art. 335 c.p.c., contro lo stesso provvedimento di merito e il collegio, esaminati la relazione e gli scritti difensivi in atti, ha condiviso gli argomenti svolti nella relazione e la soluzione da essa proposta.

2. I ricorsi riuniti quindi devono essere rigettati nei sensi di cui alla relazione, nulla disponendosi per le spese, non avendo il Ministero resistito con controricorso ma solo con irrituale memoria di costituzione, utilizzata per consentire gli avvisi e le comunicazioni del presente procedimento di legittimità.

P.Q.M.

La Corte, riuniti i ricorsi, li rigetta.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta civile della Corte Suprema di Cassazione, il 30 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 3 ottobre 2011

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