Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20225 del 31/07/2018


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Civile Ord. Sez. 2 Num. 20225 Anno 2018
Presidente: MATERA LINA
Relatore: CRISCUOLO MAURO

ORDINANZA
sul ricorso 10775-2014 proposto da:
BOGATTI SARAH, BOGATTI GIANFRANCO, BOGATTI SAUL,
elettivamente domiciliati in ROMA, V.N.COVIELLO 47, presso lo
studio dell’avvocato ROSA RAUSO, rappresentati e difesi
dall’avvocato BALDASSARE MISTRETTA giusta procura in calce
al ricorso;
– ricorrenti nonchè contro
IPLAVE SPA, CREDITO BERGAMASCO SPA, BANCO POPOLARE
SOC.COOP.;

intimati

avverso la sentenza n. 170/2014 della CORTE D’APPELLO di
BRESCIA, depositata il 05/02/2014;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio
del 21/03/2018 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;

D a- i

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Data pubblicazione: 31/07/2018

p-

..
Lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del
Sostituto Procuratore Generale, dott. LUCIO CAPASSO che ha
richiesto in via prioritaria la rimessione della causa alla
pubblica udienza, ed, in via subordinata, il rigetto del ricorso
RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO

5/2/2014 ha rigettato l’appello proposto da Bogatti Gianfranco,
Bogatti Sarah e Bogatti Saul, anche quali eredi di Pontini Anna
avverso la sentenza del Tribunale di Bergamo del 18 aprile
2006 che aveva accolto la domanda proposta da I.PLA.VE .
S.p.a. nei confronti degli istituti di credito convenuti, volta alla
condanna alla corresponsione della somma corrispondente
all’importo del credito definitivamente accertato nei confronti
delle società di fatto, in precedenza fallite e di cui gli appellanti
erano soci e loro aventi causa.
In punto di fatto, la società attrice aveva dedotto che il
Tribunale di Venezia con decreto del 19/4/1984 aveva
dichiarato la chiusura del fallimento delle società di fatto
Lampart e Mexal delle quali erano soci Gianfranco Bogatti,
Bruno Pontini ed Anna Pontini, per l’integrale avvenuto
pagamento dei creditori ammessi, e contestualmente aveva
disposto che il curatore depositasse i titoli di stato residuati,
del valore nominale di £. 50.000.000 presso il Banco di S.
Marco, poi incorporato dal Credito Bergamasco, su di un
libretto nominativamente intestato ai soci di fatto falliti, ma
vincolato in favore della creditrice I.PLA.VE . essendo in corso il
giudizio di accertamento dei crediti, con espressa previsione
che solo al passaggio in giudicato delle sentenze di
accertamento dei crediti sub iudice, sarebbe avvenuto lo
svincolo in favore della società creditrice e la restituzione del
residuo ai falliti.

Ric. 2014 n. 10775 sez. 52 – ud. 21-03-2018 -2-

1. LA Corte d’Appello di Brescia con la sentenza n. 170 del

Intervenuto il giudicato sulla sentenza favorevole alla società
attrice, ed in conformità degli importi indicati in citazione,
tuttavia era risultata vana ogni richiesta di svincolo da parte
della banca.
Si costituiva il Credito Bergamasco S.p.A. che in via

Bogatti, in proprio e quale erede di Bruno Pontini, e di Sarah
Bogatti e Saul Bogatti, quali eredi di Anna Pontini, adducendo
di essere stata sempre disponibile allo svincolo ma che vi era
stato il dissenso degli intestatari dei libretti di deposito, che
contestavano la legittimazione dell’attrice al pagamento.
Si costituivano in giudizio i terzi chiamati che in via preliminare
eccepivano la prescrizione del credito vantato dall’attrice, che
aveva agito in giudizio ad oltre dieci anni dal passaggio in
giudicato della sentenza che aveva accertato il suo credito,
deducendo in via subordinata che era dovuta una somma
inferiore rispetto a quella richiesta.
Interveniva anche il Banco Popolare di Verona e Novara
S.c.a.r.I., quale successore a titolo particolare del Credito
Bergamasco, essendo divenuta cessionaria dello sportello
bancario ove erano in deposito i titoli di Stato.
A fronte della sentenza di prime cure che aveva accolto la
domanda attorea, ed in risposta ai motivi di appello degli
intestatari del libretto di deposito, la Corte distrettuale
osservava che una volta tornati in bonis i soci falliti avevano
accettato l’esistenza del vincolo sui titoli in deposito, non
contestando né la sua originaria apposizione né agendo in
seguito per la rimozione.
La specifica funzione di garz-n-pa- che il deposito aveva assunto
non era stata contestata dagli appellanti che nel corso degli
anni si erano limitati a compiere dei semplici atti di gestione, a

Ric. 2014 n. 10775 sez. 52 – ud. 21-03-2018 -3-

preliminare chiedeva la chiamata in causa di Gianfranco

conferma

dell’implicito

riconoscimento dell’esistenza

del

vincolo.
La disposizione del giudice delegato che aveva chiarito che
l’incasso dei titoli da parte della società creditrice era
condizionato al passaggio in giudicato della sentenza ad essa

maniera condivisibile che al curatore era stato affidato
l’incarico di concludere un contratto a favore di terzi,
“sospensivamente condizionato ovvero con obbligazione
soggettivamente alternativa”, nel quale deponente e stipulante
è il potenziale debitore, promittente è l’istituto di credito e
terzo beneficiario il possibile creditore I.PLA.VE .
Quest’ultima aveva quindi acquistato un autonomo diritto nei
confronti della banca, sicchè solo la banca, quale unica
debitrice in base al contratto, avrebbe potuto eccepire la
prescrizione del diritto alla restituzione delle somme nei limiti
di quanto accertato.
A favore di tale ricostruzione militavano i precedenti di
legittimità che avevano riconosciuto paternità all’istituto del
deposito in garanzia, che rinviene il suo fondamento normativo
nella previsione codicistica di cui all’art. 1773 c.c.
In presenza di un quadro normativo non del tuto delineato,
apparivano giustificate la non immediata consegna delle
somme alla società attrice, nonché la chiamata in causa degli
intestatari del libretto, i quali avevano manifestato il loro
dissenso, eccependo (in maniera erronea) la prescrizione del
diritto della società attrice.
Ne derivava che sia l’introduzione della causa che la successiva
chiamata dei terzi erano l’effetto di un comportamento
oppositivo ingiustificato degli ex soci falliti che correttamente

Ric. 2014 n. 10775 sez. 52 – ud. 21-03-2018 -4-

favorevole, attribuendo il residuo agli ex soci falliti, denotava in

erano stati quindi condannati al rimborso delle spese di lite in
favore dell’attrice.
Doveva quindi ribadirsi che dal contratto era scaturito un
autonomo diritto di credito in favore dell’attrice che poteva
essere altrettanto autonomamente azionato, senza la necessità

Infine, era del tutto priva di fondamento l’eccezione di difetto
di legittimazione passiva sollevata da Gianfranco Bogatti,
atteso che la società attrice non aveva formulato alcuna
domanda nei suoi confronti, ed essendo carente in ogni caso la
prova dei fatti giustificativi dell’eccezione.
Al rigetto dell’appello, la sentenza impugnata faceva poi
conseguire la condanna degli appellanti al rimborso delle spese
in favore dell’appellata.
Per la cassazione di tale sentenza hanno proposto ricorso
Bogatti Gianfranco, Sarah e Saul sulla base di due motivi.
Gli intimati non hanno svolto attività difensiva in questa fase.

2. Il primo motivo di ricorso lamenta la violazione e falsa
applicazione degli artt. 1321, 1411 e 1773 c.c. laddove ha
ritenuto che la fattispecie andasse ricondotta ad un’ipotesi di
contratto di deposito in garanzia a favore del terzo, con il
riconoscimento di un autonomo diritto di credito alla
restituzione delle somme depositate, in misura corrispondéte
all’importo del credito accertato, diritto da far valere
esclusivamente nei confronti della banca.
Si sostiene che il contratto di deposito era stato concluso dal
curatore del fallimento solo per dare attuazione all’ordine
impartito dal giudice delegato nel decreto di chiusura del
fallimento, con la conseguenza che mancherebbe nel contratto
l’elemento fondamentale dell’accordo dei contraenti, mancando
la volontà di una delle parti.

Ric. 2014 n. 10775 sez. 52 – ud. 21-03-2018 -5-

di evocare in giudizio anche i debitori.

L’attività del curatore esula quindi da quella di amministrazione
del patrimonio fallimentare, essendosi già addivenuti alla
chiusura del fallimento con la produzione degli effetti di cui
all’art. 120 della legge fallimentare.
Ne consegue che non è configurabile la stessa esistenza di un

invocati dalla sentenza gravata attengono ad una diversa
ipotesi in cui un consenso era stato validamente espresso.
A ciò aggiungasi che era carente l’interesse dello stipulante alla
conclusione del contratto, nella specie i debitori ex soci falliti, i
quali nutrivano il solo obiettivo di rientrare nella disponibilità
dei titoli di stato oggetto del deposito.
2.1 Il motivo è infondato.
Alla luce delle argomentazioni spese nel motivo, risulta
evidente che i ricorrenti non contestano gli effetti in punto di
legittimazione alla restituzione delle somme in favore della
società attrice e di insussistenza della prescrizione, laddove si
aderisca alla conclusione dell’esistenza di un contratto di
deposito in garanzia a favore del terzo, dovendo il terzo
individuarsi nella società attrice ed il promittente nella banca,
rilevando a tal fine il compimento di atti interruttivi indirizzati
dalla creditrice esclusivamente nei confronti della seconda.
Trattasi di conclusione che appare confortata dalla stessa
giurisprudenza di questa Corte che in tempi non recenti (Cass.
n. 2041/1968) ha avuto modo di ribadire che nel caso in cui un
debitore, nell’interesse del proprio creditore (terzo rispetto al
deposito) e col consenso di questo, effettui il deposito della
cosa dovuta, per garantirne la conservazione durante la
pendenza di un termine o di una condizione, al cui verificarsi il
depositario deve restituirla o consegnarla al terzo, se a lui
spettante, e— configurabile il cosi detto contratto di –

Ric. 2014 n. 10775 sez. 52 – ud. 21-03-2018 -6-

contratto di deposito in garanZia, in quanto i precedenti

deposito in garanzia-

(altrimenti

definito

-sequestro

convenzionale-, o negozio indiretto o negozio fiduciario, oppure
misto), che trova la sua disciplina nel deposito anche
nell’interesse di un terzo, di cui all’art. 1773 cod.civ.,
derivando poi le conseguenze in punto di titolarità del diritto e

contratto a favore di terzo (per una vicenda analoga si veda
anche Cass. n. 21608/2013, citata anche dai giudici di appello,
che ha appunto previsto che in caso di deposito fiduciario in
garanzia, il diritto alla restituzione del depositante non può
essere riconosciuto in presenza di un diniego motivato del
terzo titolare del credito garantito).
La censura dei ricorrenti mira piuttosto a confutare a monte la
stessa esistenza di un valido contratto di deposito, assumendo
che in realtà mancherebbero gli elementi essenziali del
contratto e precisamente lo stesso consenso, in quanto il
curatore avrebbe concluso il contratto de quo, quale mero
esecutore della volontà del giudice delegato, ed a seguito di un
decreto di chiusura del fallimento, per effetto del quale
avrebbe perso il potere di amministrare il patrimonio
fallimentare.
La doglianza è, però, priva di fondamento.
Effettivamente, questa Corte ha affermato anche di recente
che (cfr. Cass. n. 25135/2015) la chiusura del fallimento
comporta la decadenza degli organi fallimentari e la cessazione
degli effetti della procedura sul patrimonio del debitore, sicché
il provvedimento emesso dagli organi fallimentari dopo la
chiusura del fallimento è giuridicamente inesistente per
assoluta carenza di potere e ogni interessato può farne valere
l’inesistenza senza limiti di tempo, sia in via di eccezione, che
con azione di accertamento, in quest’ultimo caso convenendo

Ric. 2014 n. 10775 sez. 52 – ud. 21-03-2018 -7-

di disciplina della prescrizione dalla stessa configurazione del

in giudizio, non gli autori dell’atto, ma i soggetti nella cui sfera
giuridica esso ha prodotto i suoi effetti.
Sembrerebbe deporre quindi a favore della tesi dei ricorrenti
anche quanto affermato da Cass. n. 5476/1986, la cui
massima recita che “va considerato giuridicamente inesistente

passare in giudicato) il provvedimento del tribunale
fallimentare che, all’atto della chiusura del fallimento, disponga
il deposito di somme a garanzia di futuri crediti di imposta, in
quanto la chiusura del fallimento comporta la decadenza degli
organi fallimentari e la cessazione degli effetti della procedura
sul patrimonio del debitore tornato in bonis”.
Tuttavia la lettura della sentenza per esteso denota che la ratio
della decisione si fonda sul carattere futuro dei crediti a
garanzia dei quali era stato disposto il deposito, laddove invece
non era contestata la legittimità del deposito a garanzia, però,
di crediti tributari già maturati alla data della chiusura del
fallimento, ponendosi quindi come discrimen in punto di
validità la circostanza della esistenza o meno (e non anche
della certezza, che era invece dubbia alla data della chiusura
del fallimento nel caso qui in esame) del credito garantito alla
data di chiusura delAa procedura concorsuale.
Ritiene invece la Corte, ed in disparte evidenti lacune della
formulazione del ricorso che incidono sulla ricorrenza del
requisito di specificità ex art. 366 co. 1 n. 6 c.p.c., non avendo
parte ricorrente riprodotto con precisione il contenuto del
provvedimento con il quale il giudice delegato, disponendo la
chiusura della procedura, aveva autorizzato il curatore alla
conclusione del contratto di deposito, che debba viceversa
ritenersi che la conclusione del contratto sia stata validamente
compiuta da parte del curatore, avendo posto in essere

Ric. 2014 n. 10775 sez. 52 – ud. 21-03-2018 -8-

per assoluta carenza di potere (ed è perciò insuscettibile di

un’attività riconducibile a quella di amministrazione del
patrimonio fallimentare, sia pure in vista della necessità di
concludere la procedura concorsuale.
A tal fine giova richiamare in primo luogo l’art. 113 della legge
fallimentare, nella formulazione all’epoca vigente, che nel

ipotesi dovessero essere trattenute e depositate, nei modi
stabiliti dal giudice delegato, determinate somme, emergendo
quindi come il contratto di deposito de quo abbia un sostegno
di diritto positivo nella stessa legge fallimentare.
Ancora lo stesso art. 117 della legge fallimentare, sempre nella
formulazione applicabile ratione tennporis, all’atto
dell’approvazione del riparto finale, prevede appunto che alla
chiusura del fallimento sia previsto il deposito, sempre nei
modi stabiliti dal giudice delegato, delle somme accantonate ai
sensi del n. 3 dell’art. 113, aggiungendo che analoga facoltà di
deposito operi anche per il caso di cui al terzo comma dello
stesso art. 117.
Orbene, gli stessi ricorrenti riconoscono che il decreto di
chiusura abbia la finalità di impartire al curatore tutte le
disposizioni esecutive volte ad attuare gli effetti della chiusura,
e tra queste appare evidente che debbano farsi rientrare anche
le eventuali previsioni in tema di deposito in favore dei
creditori, risultando quindi la successiva attività negoziale
posta in essere dal curatore per dare attuazione alle
disposizioni in tal modo dettate, legittimata ancora dalle
esigenze della procedura concorsuale, apparendo la chiusura
del fallimento subordinata alla loro previa attuazione.
Potrebbe però obiettarsi che il credito vantato dalla società
attrice non rientrasse tra quelli per i quali era previsto
l’accantonamento, il che non avrebbe impedito comunque la

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disciplinare le ipotesi di riparti parziali, prevedeva che in alcune

chiusura del fallimento anche in assenza del deposito in suo
favore (cfr. in tal senso Cass. n. 4259/1998, secondo cui
la chiusura del fallimento ex art. 118 n. legge fall. dev’essere
disposta senza la previsione di accantonamenti diversi da quelli
previsti dall’art. 117 in relazione all’art. 113 n. 3 legge fall.,

del fallimento che ha proposto opposizione allo stato passivo
pendente al momento della chiusura della procedura non ha
diritto ad accantonamenti in

sede di

ripartizione finale

dell’attivo; conf. Cass. n. 5304/2009; Cass. n. 18550/2014),
tuttavia non può prescindersi dalla collocazione temporale della
vicenda, e precisamente dal fatto che la chiusura del fallimento
risale al 1984 e cioè ad un’epoca in cui la soluzione ora ribadita
in punto di accantonamenti, era ben lungi dall’apparire
consolidata, sussistendo un contrasto in giurisprudenza.
Va altresì evidenziato che, sebbene tale modalità di
accantonamento non possa reputarsi obbligatoria, la stessa
giurisprudenza di questa Corte non ha però escluso che (cfr.
Cass. n. 9901/2004) il creditore non ammesso al passivo (pur
non avendo diritto ad un accantonamento specifico, ne’
essendo consentita, per il carattere tassativo delle sue
previsioni, un’applicazione dell’art. 113 legge fallimentare che,
in analogia, estenda la previsione di accantonamento ai crediti
non ammessi) possa giovarsi dell’accantonamento generico e
di quegli altri che

il

giudice delegato può disporre

prudenzialmente proprio, ed anche, in relazione all’esito
favorevole del giudizio di opposizione allo stato passivo che egli
valuti in tal senso sulla base di elementi di probabilità,
reputando quindi non preclusa le giudice la possibilità di
disporre accantonamenti in vista dell’esito dei giudizi di
accertamenti dei crediti non ammessi al passivo.

Ric. 2014 n. 10775 sez. 52 – ud. 21-03-2018 -10-

con la conseguenza che il creditore non ammesso al passivo

Ne consegue che laddove il giudice delegato abbia deciso di
avvalersi, come nel caso di specie, di tale ulteriore possibilità di
accantonamento, deve parimenti reputarsi consentita la
possibilità di deposito secondo le forme disposte dal giudice
delegato.

subordinare la chiusura del fallimento all’adozione di appositi
accantonamenti, mediante modalità di deposito predisposte dal
giudice delegato, che per legge è tenuto ad attuare il curatore,
evidentemente avvalendosi, ove in tal senso disposto dal
giudice delegato, degli strumenti contrattuali ritenuti più
idonei, come nel caso in esame il deposito in garanzia, e,
considerata la possibilità di disporre discrezionalmente
accantonamenti anche per ipotesi nelle quali la legge non lo
preveda in maniera obbligatoria, resta evidentemente esclusa
la sussistenza del vizio denunciato in ricorso.
In tal senso può altresì osservarsi che, anche laddove si reputi
che le disposizioni del giudice delegato quanto al deposito per
cui è causa, esulino dalle ipotesi di accantonamento
obbligatorio, l’eventuale difformità del provvedimento di
chiusura, di cui all’art. 119 legge fallimentare, dal contenuto
imposto dalla legge avrebbe dovuto esser denunciata dagli
stessi ricorrenti mediante gli strumenti di contestazione del
decreto, con la conseguenza che l’omessa attivazione degli
strumenti di controllo di tale provvedimento, impedisce in
questa sede di poter contestare la validità del contratto
concluso dal curatore in adempimento delle indicazioni, per lui
vincolanti, fornite dal giudice delegato, e destinate ad operare
proprio in vista della chiusura della procedura concorsuale,
precedendo logicamente la decadenza degli organi fallimentari

Ric. 2014 n. 10775 sez. 52 – ud. 21-03-2018 -11-

Deve quindi ritenersi che, riaffermata la possibilità di

e la cessazione degli effetti sul patrimonio dei soggetti falliti
tornati in bonis.
Questi ultimi sono pertanto tenuti a rispettare, ove non
abbiano contestato nelle forme di legge i provvedimenti
adottati dal giudice delegato, l’attività contrattuale posta in

contratto di deposito.
Né rileva la valutazione dell’interesse degli odierni ricorrenti
all’epoca di conclusione dei contratti, dovendosi invece avere
riguardo a quelle che erano le valutazioni di convenienza e di
opportunità della procedura, che in tal senso aveva ritenuto
opportuno cautelare la società attrice con il deposito acceso
presso l’allora Banca S. Marco.
3. Il secondo motivo di ricorso denuncia invece la violazione e
falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. nella parte in cui la
sentenza d’appello ha posto le spese di lite a carico dei
ricorrenti.
Si adduce che una volta ricondotta la vicenda ad un’ipotesi di
contratto a favore di terzo, la domanda attorea non poteva che
individuare la banca come legittimata passiva, la cui resistenza
si palesava come immotivata.
Per l’effetto, in assenza della prova di un diniego opposto dai
ricorrenti al pagamento di quanto spettante alla società attrice,
non appare corretta l’affermazione secondo cui vi sarebbe stata
un’opposizione dei soci ex falliti alla liquidazione del dovuto.
Anche tale motivo deve essere disatteso.
La sentenza impugnata ha ritenuto che la mancata adesione
della banca convenuta alle richieste dell’attrice fosse
pienamente giustificata, alla luce della condotta tenuta dai
ricorrenti, i quali, come confermato anche dal tenore delle
difese spese in giudizio, avevano addotto l’esistenza di

Ric. 2014 n. 10775 sez. 52 – ud. 21-03-2018 -12-

essere dal curatore, restando quindi vincolati all’efficacia del

impedimenti giuridici al soddisfacimento del diritto della società
creditrice.
Ed, invero, anche a voler sorvolare sul difetto di specificità del
motivo nella parte in cui, in violazione della prescrizione di cui
all’art. 366 co. 1 n. 6 c.p.c., omette di riportare con precisione

società attrice prima dell’introduzione della lite, è la stessa
invocazione dell’istituto della prescrizione della pretesa
creditoria a dare contezza di un atteggiamento oppositivo dei
ricorrenti alla domanda attorea, che ha indotto la sentenza
appellata, con motivazione logica e coerente, a reputare che la
chiamata in causa dei ricorrenti fosse stata necessitata
dall’esigenza di evitare di andare incontro ad eventuali
responsabilità in caso di liquidazione dei titoli in deposito,
palesandosi l’opportunità che l’accertamento della fondatezza
della domanda attorea avvenisse con la partecipazione anche
dei depositanti.
Trattasi ad avviso della Corte di una corretta applicazione del
principio di causalità che, proprio in relazione alle ipotesi di
chiamata in causa di terzi, prevede che (cfr. ex nnultis Cass. n.
7431/2012) il rimborso delle spese processuali sostenute dal
terzo chiamato in garanzia dal convenuto deve essere posto a
carico dell’attore, ove la chiamata in causa si sia resa
necessaria in relazione alle tesi sostenute dall’attore stesso e
queste siano risultate infondate, a nulla rilevando che l’attore
non abbia proposto nei confronti del terzo alcuna domanda,
mentre il rimborso rimane a carico della parte che
abbia chiamato o abbia fatto chiamare in causa il terzo qualora
l’iniziativa del chiamante si riveli palesemente arbitraria.
In correlazione a tali affermazioni, ed

in applicazione del

principio di causalità (cfr. Cass. n. 23552/2011) dalle stesse

Ric. 2014 n. 10775 sez. 52 – ud. 21-03-2018 -13-

il contenuto della missiva inoltrata da Bogatti Gianfranco alla

ricavabili, è dato altresì rilevare la correttezza della soluzione
del caso di specie, in quanto, per l’ipotesi di chiamata in causa
imposta dall’atteggiamento del terzo chiamato che ponga
ostacoli infondati all’accoglimento della domanda attorea,
sebbene le richieste dell’attore siano indirizzate solo nei

opposizione del terzo chiamato, è questo a doversi fare carico
non solo delle spese del chiamante, sua diretta controparte
processuale, ma anche dell’attore, che ha dovuto introdurre il
giudizio o prolungare la sua durata proprio in ragione del
comportamento del terzo chiamato.
Né infine deve trascurarsi che, relativamente al giudizio di
appello, essendo stato rigettato il gravame proposto dai soli
ricorrenti, non avendo le altre parti inteso contestare la
correttezza della soluzione del Tribunale, la condanna dei
Bogatti al rimborso delle spese di lite in favore della società
attrice costituisce una evidente e piana applicazione del
principio della soccombenza.
4.

Nulla a disporre quanto alle spese del presente giudizio

atteso che gli intimati non hanno svolto attività difensiva in
questa sede,
5. Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30
gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare
atto – ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre
2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio
annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013),
che ha aggiunto il comma 1-quater dell’art. 13 del testo unico
di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – della sussistenza
dell’obbligo di versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore
importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per
la stessa impugnazione.

Ric. 2014 n. 10775 sez. 52 – ud. 21-03-2018 -14-

confronti del convenuto, in caso di infondatezza delle ragioni di

PQM
Rigetta ricorso;
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002,
inserito dall’art. 1, co. 17, I. n. 228/12, dichiara la sussistenza
dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti del

dell’art. 1 bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Seconda
Sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, in data 21
marzo 2018.

Il Presidente

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Il

onario Giudizio%
I ‘a NERI

DEPOSITATO IN CANCELLERIA
Roma,

3 1 LUG, 2018

contributo unificato dovuto per il ricorso principale a norma

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