Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20223 del 07/10/2016


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Cassazione civile sez. lav., 07/10/2016, (ud. 07/07/2016, dep. 07/10/2016), n.20223

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. VENUTI Pietro – Consigliere –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 26647-2011 proposto da:

S.F., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA FEDERICO CESI 44, presso lo studio dell’avvocato LUCA GIUSTI,

che lo rappresenta e difende giusta delega in atti;

– ricorrente –

e contro

D.C.S.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 3997/2011 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 28/06/2011, R.G.N. 5445/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

07/07/2016 dal Consigliere Dott. MATILDE LORITO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FRESA Mario, che ha concluso per l’inammissibilità, in subordine

rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte d’appello di Roma, in riforma della pronuncia emessa dal Tribunale della stessa sede, accertava l’intercorrenza di un rapporto di lavoro subordinato in relazione al periodo (OMISSIS), fra la ricorrente D.C.S. e S.F., e condannava quest’ultimo al pagamento delle differenze retributive spettanti in relazione al rapporto descritto, nella misura di Euro 5.532,29.

A fondamento del decisum, la Corte argomentava essenzialmente che il quadro istruttorio delineato deponeva nel senso che la D.C. avesse lavorato alle dipendenze del convenuto, esercente attività di parrucchiere, da epoca anteriore a quella della formale assunzione con contratto di apprendistato ((OMISSIS)), e che le mansioni a lei ascritte ne consentivano l’inquadramento iniziale nel 4 livello c.c.n.l. settore Acconciatura ed Estetica, e, successivamente, nel terzo e nel secondo.

Avverso tale decisione interpone ricorso per cassazione lo S. affidato a quattro motivi. L’intimata non ha svolto attività difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo si deduce violazione o falsa applicazione degli artt. 2094 e 2697 c.c. Si lamenta che la Corte territoriale abbia posto a fondamento della decisione dichiarazioni inidonee a fondare il diritto ex adverso azionato, in considerazione della estrema genericità e vaghezza del contenuto delle deposizioni raccolte.

Con il secondo mezzo di impugnazione si denuncia la errata valutazione dei mezzi di prova, nonchè l’omessa, insufficiente, illogica e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio. Si critica la sentenza impugnata per aver fondato il proprio convincimento su deposizioni testimoniali rese de relato, o comunque approssimative, quanto alla definizione della data di inizio del rapporto di lavoro inter partes. Si deduce quindi che, quando, come nel caso di specie, si versi in situazione di obiettiva incertezza probatoria, il giudice è tenuto ad applicare il criterio dell’onere della prova che, tuttavia, è stato disatteso dalla Corte di merito.

Le doglianze, che possono congiuntamente trattarsi siccome connesse, sono prive di pregio.

Con particolare riferimento al primo motivo va considerato che, in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione.

Il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi – violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta – è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediati dalla contestata valutazione delle risultanze di causa.

Nella specie ricorre proprio siffatta ultima ipotesi in quanto la violazione di legge viene dedotta mediante la contestazione della valutazione delle risultanze di causa la cui censura attiene al vizio di motivazione, mirando a pervenire inammissibilmente, ad una rinnovata considerazione, nel merito, della valutazione dei fatti di causa elaborata dai giudici del gravame che è inibita nella presente sede di legittimità (cfr. Cass. 16/7/2010 1.16698, Cass. 18/11/2011 n.24253, Cass. 16/09/2013 n. 21099 cui adde, da ultimo, Cass. 11/1/2016 n. 195).

E, sempre sulla medesima linea interpretativa, va rimarcato come la giurisprudenza di questa Corte sia costante nel ritenere che “la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. è apprezzabile, in sede di ricorso per cassazione, nei limiti del vizio di motivazione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, e, quanto a quest’ultimo, che il controllo di logicità del giudizio di fatto, consentito da tale ultima disposizione, “non equivale alla revisione del “ragionamento decisorio”, ossia dell’opzione che ha condotto il giudice del merito ad una determinata soluzione della questione esaminata, posto che una simile revisione, in realtà, non sarebbe altro che un giudizio di fatto e si risolverebbe sostanzialmente in una sua nuova formulazione, contrariamente alla funzione assegnata dall’ordinamento al giudice di legittimità”, con la conseguenza che “risulta del tutto estranea all’ambito del vizio di motivazione ogni possibilità per la Suprema Corte di procedere ad un nuovo giudizio di merito attraverso la autonoma, propria valutazione delle risultanze degli atti di causa” (v., fra le altre, Cass. 1/9/2011 n.17977, Cass. 16/11/2011 n. 27197).

Anche prima della riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, di cui al D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), conv. con mod. in L. 7 agosto 2012, n. 134, non era, dunque, invocabile in sede di legittimità, un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte.

Per consolidato orientamento di questa Corte la motivazione omessa o insufficiente è configura bile soltanto qualora dal ragionamento del giudice di merito, come risultante dalla sentenza impugnata, emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione, ovvero quando sia evincibile l’obiettiva carenza, nel complesso della medesima sentenza, del procedimento logico che lo ha indotto, sulla base degli elementi acquisiti, al suo convincimento, ma non già quando, invece, vi sia difformità rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte ricorrente sul valore e sul significato dal primo attribuiti agli elementi delibati, risolvendosi, altrimenti, il motivo di ricorso in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento di quest’ultimo tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione (in termini, di recente, Cass. 4/4/2014 n. 8008, Cass. SS.UU. 25/10/2013 n. 24148). Inoltre, per la configurabilità del vizio, è necessario che sussista un rapporto di causalità fra la circostanza che si assume trascurata e la soluzione giuridica della controversia tale da far ritenere che, se fosse stata considerata, avrebbe portato ad una diversa soluzione della vertenza, con giudizio di certezza e non di mera probabilità (vedi Cass. 14/11/2013 n.25068) elementi questi che nella specie, per quanto sinora detto, appaiono del tutto carenti.

I motivi formulati dal ricorrente tendono infatti a risolversi in critiche che mirano ad una rivisitazione delle considerazioni di merito operate dalla Corte territoriale senza che vengano evidenziati – è bene ribadirlo – elementi fattuali e giuridici idonei ad inficiarne la comprovata coerenza e congruità motivazionale.

La Corte distrettuale, all’esito della valutazione non atomistica ma complessiva dei dati testimoniali acquisiti in giudizio, ha infatti accertato che l’inizio del rapporto di lavoro inter partes risaliva ad epoca antecedente ((OMISSIS)) rispetto a quella della formale assunzione ((OMISSIS)); che detto rapporto era connotato dai requisiti della subordinazione; che le mansioni svolte potevano correttamente riferirsi alla qualifica corrispondente al quarto livello c.c.n.l. settore Acconciatura ed Estetica.

Si tratta di impianto motivazionale che, in quanto congruo e completo per quanto sinora detto, resiste alla censura all’esame.

Con il terzo motivo è denunciata violazione o falsa applicazione dell’art. 416 c.p.c., nonchè omessa motivazione su un punto decisivo della controversia.

Si stigmatizza l’impugnata sentenza per aver tralasciato di considerare che la ricorrente aveva omesso di contestare specificamente la deduzione recata dalla memoria difensiva di primo grado, in ordine alla instaurazione del rapporto in data (OMISSIS) mediante contratto di apprendistato. Si lamenta, quindi, che il giudice del gravame, nel pervenire all’accoglimento della domanda, non abbia tenuto in alcun conto il principio di non contestazione sancito dalla richiamata disposizione codicistica.

Il motivo è privo di fondamento.

La Corte distrettuale, con esaustiva motivazione, congrua sotto il profilo logico e corretta sul versante giuridico, ha dato atto della mancata allegazione e prova da parte datoriale, circa l’intercorrenza di un rapporto di apprendistato inter partes, qualificato dalla necessità di forma scritta ad substantiam e dalla ricorrenza di una attività formativa, pur modulabile in relazione alla natura e alle caratteristiche delle mansioni che il lavoratore è chiamato a svolgere, purchè adeguata ed effettivamente idonea a raggiungere lo scopo di attuare una sorta di ingresso guidato del giovane nel mondo del lavoro (cfr. Cass. 10/5/2013 n. 11265).

In tal senso la pronuncia, per le sopraenunciate argomentazioni, si sottrae alla censura all’esame.

Con il quarto motivo si lamenta che la Corte distrettuale non abbia tenuto conto delle critiche già apportate nel corso del giudizio, ai conteggi elaborati dalla ricorrente, che applicavano, fra l’altro, tabelle inerenti a mansioni superiori mai dimostrate in causa.

Il motivo è privo di fondamento.

Invero, analogamente a quanto statuito in relazione alla denuncia di un vizio consistente in acritica adesione alla consulenza di primo grado (vedi Cass. 12/8/94 n.7392, Cass.28/3/2006 n.7078), va rilevato che sede di legittimità, il ricorrente che, come nella fattispecie, contesti i conteggi elaborati dalla parte e recepiti dal giudicante, non può limitarsi alla generica espressione della doglianza di motivazione inadeguata, essendo, invece, onere della parte, in considerazione del principio di autosufficienza del ricorso e del carattere limitato del mezzo di impugnazione, di indicare quali siano le circostanze e gli elementi rispetto ai quali si invoca il controllo di logicità sub specie dell’apprezzamento della “causalità dell’errore”, ossia della decisività di tali circostanze.

Nello specifico il ricorrente non ha fornito elementi idonei ad apprezzare la rilevanza delle critiche formulate nel senso suesposto, essendo dette critiche genericamente indirizzate a confutare elementi quali la durata del rapporto e la qualificazione dello stesso in termini di apprendistato, che risultano, per contro, diversamente definiti alla stregua della espletata attività istruttoria, nei sensi descritti dalla pronuncia impugnata.

In definitiva, alla luce delle superiori argomentazioni, il ricorso è respinto.

Nessuna statuizione va, infine emessa in punto spese, non avendo l’intimata svolto attività difensiva.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese.

Così deciso in Roma, il 7 luglio 2016.

Depositato in Cancelleria il 7 ottobre 2016

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