Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20222 del 21/08/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 21/08/2017, (ud. 21/04/2017, dep.21/08/2017),  n. 20222

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – rel. Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24546-2011 proposto da:

R.M., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

VALPOLICELLA 12, presso lo studio dell’avvocato ANDREA PROVINI, che

la rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

POSTE ITALIANE S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

LUIGI GIUSEPPE FARAVELLI 22, presso lo studio dell’avvocato ARTURO

MARESCA, che la rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso il provvedimento n. 2114/2011 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 09/04/2011 R.G.N. 10524/08.

Fatto

RILEVATO

CHE:

la Corte d’appello di Roma confermava la sentenza di prime cure che aveva rigettato la domanda, proposta da R.M. nei confronti di Poste Italiane s.p.a., avente ad oggetto la declaratoria dell’illegittimità del termine apposto al contratto di lavoro stipulato fra le parti in relazione al periodo 1 giugno-30 ottobre 1999, in ragione della avvenuta risoluzione del rapporto per mutuo consenso;

per la cassazione di tale sentenza la lavoratrice ha proposto ricorso affidato a tre motivi resistiti dalla società Poste Italiane con controricorso illustrato da memoria.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. la ricorrente è stata assunta con un contratto a termine protrattosi dal 1 giugno al 30 ottobre 1999; il suddetto contratto è stato stipulato a norma dell’art. 8 del c.c.n.l. 26 novembre 1994 ed in particolare in base alla previsione dell’accordo integrativo del 25 settembre 1997 per “esigenze eccezionali, conseguenti alla fase di ristrutturazione e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso, in ragione della graduale introduzione di nuovi processi produttivi, di sperimentazione di nuovi servizi e in attesa dell’attuazione del progressivo e completo equilibrio sul territorio delle risorse umane”;

2. secondo la sentenza impugnata, alla stregua di una complessiva valutazione dei fatti, doveva ritenersi dimostrata la sussistenza degli estremi della risoluzione del rapporto per mutuo consenso, avendo la lavoratrice posto in essere, per un considerevole arco di tempo (oltre sette anni), una condotta incompatibile con la ripresa della funzionalità del rapporto di lavoro, e ravvisabile, fra l’altro, nello svolgimento di “attività lavorativa per altri datori”, anche se a tempo determinato; in particolare, ad avviso della Corte territoriale, la lavoratrice aveva mostrato un disinteresse per la prosecuzione del rapporto di lavoro in esame desumibile da un insieme di comportamenti atti a dimostrare la volontà di porre fine al rapporto “pur in assenza di una comunicazione in tal senso da parte delle Poste”;

3. la ricorrente ha censurato la decisione impugnata con tre motivi, con i primi due dei quali ha denunciato violazione dell’art. 1372 c.c., artt. 112,113 e 115 c.p.c.(primo motivo), omessa insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, nonchè violazione degli artt. 112 e 115 c.p.c.(secondo motivo); la Corte territoriale non avrebbe correttamente applicato i principi giurisprudenziali affermati con riferimento alla fattispecie in esame e non avrebbe adeguatamente considerato che, oltre al trascorrere del tempo, è necessario, perchè sussista un’ipotesi di risoluzione del rapporto per mutuo consenso, che venga valutato il comportamento complessivo delle parti. In tale contesto, ad avviso della ricorrente, sarebbe stato attribuito, da parte della Corte territoriale, un eccessivo rilievo alla circostanza dell’avvenuto reperimento di altro lavoro da parte del ricorrente stesso;

4. le prime due censure, che devono essere esaminate contestualmente in quanto logicamente connesse, sono infondate;

deve ricordarsi che, secondo il costante insegnamento di questa Corte di legittimità (cfr., in particolare, ex plurimis, Cass. 24/6/2008 n. 17150), nel giudizio instaurato ai fini del riconoscimento della sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato sul presupposto dell’illegittima apposizione al contratto di un termine finale ormai scaduto, per la configurabilità di una risoluzione del rapporto per mutuo consenso, è necessario che sia accertata – sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto a termine, nonchè del comportamento tenuto dalla parti e di eventuali circostanze significative – una chiara e certa comune volontà delle parti medesime di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo; la valutazione del significato e della portata del complesso di tali elementi di fatto compete al giudice di merito, le cui conclusioni non sono censurabili in sede di legittimità se non sussistono vizi logici o errori di diritto (vedi in motivazione Cass.11/9/2014 n. 19217);

5. in particolare, poi, con riferimento alla prova presuntiva, questa Corte ha più volte affermato che “è incensurabile in sede di legittimità l’apprezzamento del giudice di merito circa la valutazione della ricorrenza dei requisiti di precisione, gravità e concordanza richiesti dalla legge per valorizzare elementi di fatto come fonti di presunzione, sempre che la motivazione adottata appaia congrua dal punto di vista logico, immune da errori di diritto e rispettosa dei principi che regolano la prova per presunzioni” (v. fra le altre Cass. 20/7/2006 n. 16728, Cass. 23/1/2006 n. 1216 ed in motivazione, Cass. 15/1/2015 n. n. 10958);

6. nello specifico la Corte di merito, non solo ha evidenziato, sul piano oggettivo, la rilevante lunghezza del periodo di non attuazione del rapporto (oltre sette anni), ritenendola particolarmente significativa, ed ha considerato la accettazione delle competenze di fine rapporto, risultata pacificamente, bensì ha anche rilevato la valenza significativa, sul piano della volontà, della stipula di una attività lavorativa in favore di datori di lavoro diversi, sia pure a tempo determinato;

tale accertamento di fatto, fondato oltre che sul mero dato oggettivo del decorso del tempo, anche sull’insieme degli elementi emersi, valutati specificamente anche sotto il profilo soggettivo della volontà, risulta congruamente motivato e resiste alle censure del ricorrente, le quali, in sostanza si basano sulla proposizione di una lettura diversa delle risultanze istruttorie non censurabile in questa sede di legittimità;

7. in definitiva, assorbito logicamente il terzo motivo (riferito alla illegittimità del termine), il ricorso è respinto e la ricorrente, in ragione della soccombenza, va condannata al pagamento delle spese in favore della società nella misura in dispositivo liquidata.

PQM

 

la Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 21 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 21 agosto 2017

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