Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20221 del 25/09/2020

Cassazione civile sez. trib., 25/09/2020, (ud. 27/02/2020, dep. 25/09/2020), n.20221

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore, legale

rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, ex lege,

dall’Avvocatura Generale dello Stato, ed elettivamente domiciliata

presso i suoi uffici, alla via dei Portoghesi n. 12 in Roma;

– ricorrente –

contro

N.A. Srl, in persona del legale rappresentante pro

tempore;

– intimata –

Avverso la sentenza n. 107, pronunciata dalla Commissione tributaria

regionale di Firenze il 3.10.2012 e pubblicata il 26.11.2012;

ascoltata, in camera di consiglio, la relazione svolta dal

Consigliere Paolo Di Marzio.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. A seguito di verifica fiscale eseguita dalla Guardia di finanza, erano rinvenute presso la Srl N.A., commerciante in tessuti, n. 33 fatture emesse nell’anno 2003 nei confronti di diversi clienti esteri, per un importo complessivo di Euro 1.710.939,00, tutti documenti non registrati in contabilità, ma in relazione ai quali la società aveva conseguito lo sconto bancario, ricevendo un’anticipazione degli importi, peraltro regolarmente registrati nella contabilità d’impresa. La società giustificava la propria condotta spiegando che i documenti in questione si risolvevano in meri documenti pro forma ad uso interno, mentre erano state successivamente registrate in contabilità le fatture relative all’effettiva conclusione delle transazioni commerciali, perchè diverse non erano andate a buon fine. Le difficoltà commerciali in cui versava la società all’epoca di questi fatti avevano poi condotto alla sua messa in liquidazione. L’Agenzia delle entrate accoglieva parzialmente le giustificazioni addotte dalla contribuente e riduceva la pretesa, sottraendo dal maggior reddito accertato gli importi di quelle fatture, qualificate come pro forma dalla società, che avevano poi trovato riscontro in operazioni commerciali concluse e regolarmente registrate in contabilità, ma insisteva nella pretesa in relazione agli importi residui, notificando l’avviso di accertamento n. 86130101252/2008, attinente al maggior reddito societario ai fini Iva, Irpeg ed Irap, percepito nell’anno 2003 nella misura di Euro 877.725,28.

La società ricorreva avverso l’avviso di accertamento innanzi alla Commissione tributaria provinciale di Prato, che annullava interamente l’atto impositivo argomentando che risultava insussistente il presupposto impositivo, in quanto le fatture pro forma in relazione alle quali residuava contestazione dovevano ritenersi relative ad operazioni commerciali mai concluse, e pertanto ad un reddito mai conseguito.

2. Avverso la decisione adottata dalla CTP proponeva ricorso innanzi alla Commissione tributaria regionale della Toscana l’Agenzia delle entrate, riproponendo i propri argomenti e ribadendo che alle fatture in questione non poteva attribuirsi la natura di documenti pro forma. La società non si costituiva. La CTR confermava che, sulla base di una pluralità di elementi, alle fatture in contestazione doveva attribuirsi la natura di documenti pro forma, non rappresentativi di transazioni commerciali concluse e pertanto neppure di un reddito effettivamente percepito e maggiore rispetto a quello percepito dalla società in conseguenza delle operazioni commerciali effettivamente portate a termine, documentate nelle sole fatture regolarmente contabilizzate. In conseguenza rigettava l’appello proposto dall’Ente impositore e confermava l’annullamento dell’atto impositivo.

3. Avverso la decisione adottata dalla CTR ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate, affidandosi a due motivi di impugnazione. La società N.A. Srl in liquidazione non si è costituita.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il suo primo motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella precedente come nell’attuale formulazione, l’Ente impositore censura la decisione impugnata per non avere la CTR adeguatamente motivato circa la natura di fatture pro forma, acriticamente attribuita ai documenti sequestrati per cui è causa.

2. Mediante il secondo motivo di impugnazione, introdotto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, l’Amministrazione finanziaria censura la violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21, comma 7, e art. 23, per avere la CTR ritenuto che non dovessero essere assoggettati a tributo gli importi riportati nelle fatture sequestrate presso la società perchè non relative ad operazioni commerciali effettivamente concluse, mentre, con particolare riferimento al regime dell’Iva, risultano soggette ad imposizione anche le somme riportate in fattura e relative ad operazioni inesistenti.

3. Mediante il suo primo motivo di ricorso l’Agenzia delle Entrate contesta il vizio di motivazione della decisione adottata dalla CTR, che non ha spiegato per quale ragione alle fatture per cui è causa dovesse attribuirsi la natura di documenti pro forma.

Occorre preliminarmente osservare che la ricorrente Agenzia afferma l’applicabilità in questo giudizio dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella formulazione previgente, che consentiva la contestazione della motivazione quando la stessa risultasse omessa, insufficiente o contraddittoria. Questa tesi non appare fondata, avendo questa Corte di legittimità chiarito, pronunciando a Sezioni Unite, che “le disposizioni sul ricorso per cassazione, di cui al D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, circa il vizio denunciabile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5… si applicano anche al ricorso avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale, atteso che il giudizio di legittimità in materia tributaria, alla luce del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 62, non ha connotazioni di specialità. Ne consegue che il D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 3-bis, quando stabilisce che “le disposizioni di cui al presente articolo non si applicano al processo tributario di cui al D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546″, si riferisce esclusivamente alle disposizioni sull’appello, limitandosi a preservare la specialità del giudizio tributario di merito”, Cass. S.U., 7.4.2014, n. 8053.

Il motivo di gravame relativo al vizio di motivazione proposto dall’Agenzia delle entrate in questo giudizio, pertanto, ricordato che la sentenza impugnata è stata depositata il 26.11.2012, deve essere esaminato in considerazione alla nuova formula dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la quale consente la contestazione del vizio di motivazione quando ricorra “l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”. La questione della natura dei documenti controversi, vere fatture o mere fatture pro forma, è stata oggetto di discussione tra le parti, anche in sede di giudizio d’appello. La questione, però, è stata specificamente esaminata pure dalla CTR, che ha indicato le ragioni le quali la inducevano a valutare che a tali documenti dovesse attribuirsi la natura di fatture pro forma, osservando, tra l’altro, doversi ritenere che “l’emissione di tali fatture non corrispondesse alla realtà negoziale che vi era rappresentata ma servisse a documentare un credito per ottenere anticipazioni bancarie seppure in forma anomala” (sent. CTR, p. III).

Il primo motivo di ricorso risulta pertanto infondato e deve perciò essere respinto.

4. Con il secondo motivo di impugnazione, l’Ente impositore critica la violazione di legge in cui sostiene essere incorsa la impugnata CTR per aver ritenuto che non dovessero essere assoggettate ad imposizione le operazioni commerciali attestate nella documentazione contestata, perchè non effettivamente concluse, mentre, in particolare ai fini Iva, tutte le operazioni documentate da fatture devono essere sottoposte ad imposizione, anche se relative ad operazioni inesistenti. L’Agenzia delle entrate, nel suo argomentare, incorre in una petizione di principio. Espone una pluralità di argomenti volti a dimostrare la propria tesi, fondata sulla imponibilità delle operazioni commerciali documentate da fatture, allegando anche copia dei documenti in questione, ma trascura di tener conto che, nell’interpretazione della vicenda per cui è causa fornita dai giudici dell’appello, i documenti in contestazione non erano fatture, ma meri documenti pro forma.

Scrive la CTR che “nel caso di specie, la Guardia di finanza ha accertato che le fatture pro forma indicavano cessionari esteri ai quali però i beni non sono stati mai spediti, come è stato riscontrato mediante controllo incrociato nei confronti dell’abituale vettore della società cedente. Peraltro è tuttavia pacifico che l’emittente consegnasse le fatture alla banca verso denaro, registrando sul libro giornale la somma ricevuta come acconto all’esportazione. In base a questi elementi è ragionevole ritenere che l’emissione di tali fatture non corrispondesse alla realtà negoziale che vi era rappresentata ma servisse a documentare un credito per ottenere anticipazioni bancarie seppure in forma anomala. Tuttavia, ai fini che qui interessano, ciò esclude l’esistenza di ricavi maggiori rispetto a quelli derivanti dalle fatture regolarmente contabilizzate” (sent. CTR, p. III). La ricorrente non si confronta con la decisione adottata dalla CTR, non dimostra perchè la stessa sia senz’altro infondata, non ne critica specificamente gli argomenti proposti: l’attinenza dei documenti ad operazioni commerciali mai concluse ed a beni mai spediti, la finalizzazione non alla documentazione di un’operazione commerciale conclusa bensì al conseguimento di anticipazioni bancarie, il difetto dell’intento di occultare redditi dimostrato dall’annotazione nei registri contabili delle anticipazioni bancarie conseguite. La ricorrente insiste piuttosto nel proporre i propri argomenti, ma non chiarisce per quale ragione, alla luce della legislazione applicabile, siano certamente errati i diversi argomenti proposti dal giudice impugnato.

Anche il secondo motivo di ricorso deve pertanto essere respinto.

5. In conclusione il ricorso deve essere rigettato.

Non vi è luogo a provvedere in materia di spese di lite, stante la soccombenza della ricorrente e la mancata costituzione della società intimata.

Rilevato che risulta soccombente, quale ricorrente principale, parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica nei suoi confronti il disposto di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso proposto dall’Agenzia delle entrate. Così deciso in Roma, il 27 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 25 settembre 2020

 

 

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