Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20220 del 31/07/2018


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Civile Ord. Sez. 2 Num. 20220 Anno 2018
Presidente: D’ASCOLA PASQUALE
Relatore: TEDESCO GIUSEPPE

ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 6655/2013 R.G. proposto da
JERACE BIO Francesco, rappresentato difeso, in forza di procura in
calce al controricorso, dall’avv. Matteo Maria Riscossa e dall’avv.
Anselmo Carvelaro, con domicilio eletto in Roma, via Gian Giacomo
Porro 8, presso lo studio dell’avv. Carlevaro;
-ricorrente contro
MINISTERO DELL’INTERNO;
PREFETTURA – UFFICIO TERRITORIALE DEL GOVERNO DI TORINO;
-intimatiavverso la sentenza Tribunale di Torino n. 6161/2014 depositata il
29 settembre 2014, non notificata.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
15 marzo 2018 dal Consigliere Giuseppe Tedesco.
Ritenuto in fatto:
Francesco Jerace Bio proponeva opposizione contro più ordinanze
ingiunzione emesse in relazione a verbali per infrazioni al codice della
strada, deducendo la nullità della notificazione delle stesse ordinanze.

Data pubblicazione: 31/07/2018

La ragione di nullità era identificata in ciò: nella relazione di
notificazione, eseguita mediante consegna al portiere, mancava
l’attestazione della mancanza delle altre persone abilitate a ricevere
l’atto ai sensi dell’art. 139 c.p.c.
Il giudice di pace rigettava l’opposizione.

sanati per raggiungimento dello scopo: il ricorrente aveva ammesso di
avere ricevuto i verbali e aveva proposto ricorso al prefetto nei termini
di legge.
Il Tribunale di Torino dichiarava inammissibile l’appello, per la
genericità del motivo, e condannava l’appellante al risarcimento del
danno ai sensi dell’art. 96, ultimo comma c.p.c., ravvisando nella
proposizione dell’impugnazione gli estremi della colpa grave.
Per la cassazione della sentenza Francesco Jerace Bio ha proposto
ricorso, affidato a due motivi.
Il Ministero dell’Interno ha depositato atto di costituzione di
costituzione al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di
discussione orale.
Considerato in diritto:
Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art.
342 c.p.c. (art. 360, comma primo, n. 3, c.p.c.), per avere il tribunale
affermato che l’appello non aveva i prescritti requisiti di specificità.
Al contrario egli aveva «sufficientemente individuato la parte della
sentenza di primo grado oggetto di gravame (quella relativa alla
notifica in argomento […], l’errore del primo giudice (che aveva
ritenuto sanata per raggiungimento dello scopo la notifica nulla per
mancata indicazione nella relazione dell’ufficiale giudiziario del
mancato rinvenimento delle persone indicate nell’art. 139 c.p.c.,
mentre secondo la Suprema Corte tale notifica è nulla) ed il fatto che
la sentenza avrebbe dovuto concludere per la nullità della notifica»
(così testualmente il motivo di ricorso).
-2-

Egli rilevava che i vizi della notificazione erano da considerarsi

Il motivo è infondato.
In materia di specificità dell’appello le Sezioni Unite di questa
Suprema corte hanno stabilito il seguente principio: «Gli artt. 342 e
434 c.p.c., nel testo formulato dal d.l. n. 83 del 2012, conv. con modif.
dalla I. n. 134 del 2012, vanno interpretati nel senso che
l’impugnazione deve contenere, a pena di inammissibilità, una chiara

individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza
impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte
volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni
addotte dal primo giudice, senza che occorra l’utilizzo di particolari
forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di
decisione da contrapporre a quella di primo grado, tenuto conto della
permanente natura di revisio prioris instantiae del giudizio di appello,
il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica
vincolata» (Cass., S.U., n. 27199/2017).
La censura proposta in appello dall’attuale ricorrente, così come
richiamata nel motivo di ricorso, non rispettava tali requisiti, non
essendoci alcuna reale confutazione delle ragioni addotte dal primo
giudice, se non un generico richiamo di una non identificata
giurisprudenza della Suprema Corte cha avrebbe dovuto indurre il
giudice di pace a riconoscere nulla e non sanabile la notificazione delle
ordinanze ingiunzione, pur in presenza di tempestiva opposizione
proposta dal destinatario dinanzi al prefetto.
Il rilievo trascura che la giurisprudenza di legittimità è
perfettamente in linea con la soluzione fatta propria dal primo giudice.
«In caso di notifica nelle mani del portiere o, come nella specie, del
vicino di casa, l’ufficiale giudiziario deve dare atto, oltre che
dell’assenza del destinatario, delle vane ricerche delle altre persone
preferenzialmente abilitate a ricevere l’atto, ai sensi dell’art. 139,
secondo comma, c.p.c., onde il relativo accertamento, sebbene non
debba necessariamente tradursi in forme sacramentali, deve,
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o

nondimeno, attestare chiaramente l’assenza del destinatario e dei
soggetti rientranti nelle categorie contemplate dalla norma, secondo la
successione preferenziale ivi tassativamente stabilita; tale omissione
determina la nullità e non l’inesistenza della notificazione, «quando la
relazione dell’ufficiale giudiziario ne sia priva» (Cass. n. 22151/2013).

questa Suprema Corte, l’inesistenza della notificazione costituisce
ipotesi residuale «configurabile oltre che in caso di totale mancanza
materiale dell’atto, nelle sole ipotesi in cui venga posta in essere
un’attività priva degli elementi costitutivi essenziali idonei a rendere
riconoscibile un atto quale notificazione, ricadendo ogni altra ipotesi di
difformità dal modello legale […] nella categoria della nullità, sanabile
con efficacia ex tunc per raggiungimento dello scopo» (Cass., S.U., n.
14916/2016).
Il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art.
96, comma terzo, c.p.c. (art. 360, comma primo, n. 3, c.p.c.).
Non sussistevano i presupposti per la condanna ai sensi della
norma citata in assenza di dolo o colpa in capo all’appellante, che aveva
avanzato in appello tesi giuridiche corrette.
Il motivo è inammissibile.
Il ricorrente non censura alcuna violazione della norma, ma
l’apprezzamento in fatto compiuto dal giudice di merito in ordine ai
presupposti soggettivi richiesti per giustificarne l’applicabilità.
Tale apprezzamento non è invece censurabile in sede di legittimità
(Cass. n. 19298/2016).
Si ritiene di aggiungere che «la condanna ex art. 96, comma 3,
c.p.c. configura una sanzione di carattere pubblicistico, autonoma ed
indipendente rispetto alle ipotesi di responsabilità aggravata ex art. 96,
commi 1 e 2, c.p.c. e con queste cumulabile, volta – con finalità
deflattive del contenzioso – alla repressione dell’abuso dello strumento
processuale; la sua applicazione, pertanto, non richiede, quale

4

_

In argomento è utile ricordare che, secondo le Sezioni Unite di

elemento costitutivo della fattispecie, il riscontro dell’elemento
soggettivo del dolo o della colpa grave, bensì di una condotta
oggettivamente valutabile alla stregua di “abuso del processo”, quale
l’aver agito o resistito pretestuosamente» (Cass. n. 27623/2017).
In conclusione il ricorso va rigettato.

Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio
2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi
dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228
(Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello
Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater
all’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 della sussistenza dell’obbligo del versamento, da parte del ricorrente,
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto
per la stessa impugnazione.
P.Q.M.
rigetta il ricorso;
dichiara ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del
2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012 la
sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente,
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto
per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda

Nulla sulle spese.

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