Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20220 del 25/09/2020

Cassazione civile sez. trib., 25/09/2020, (ud. 26/02/2020, dep. 25/09/2020), n.20220

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enrico – Presidente –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – rel. Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Mar – Consigliere –

Dott. SAIJA Salvatore – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13085-2014 proposto da:

P.C., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE DELLE

MILIZIE 22, presso lo studio dell’avvocato VIVIANA VETTORELLO,

rappresentato e difeso dall’avvocato FABIO D’ACUNTO;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 292/2013 della COMM.TRIB.REG. di ROMA,

depositata il 15/11/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

26/02/2020 dal Consigliere Dott. ROSARIA MARIA CASTORINA.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza n. 292/28/2015, depositata in data 15.11.2013 la Commissione tributaria regionale del Lazio, rigettato l’appello principale del contribuente, accoglieva l’appello incidentale proposto dall’Agenzia delle entrate nei confronti di P.C. avverso la sentenza n. 520/38/2011 della Commissione tributaria provinciale di Roma che aveva parzialmente accolto il ricorso proposto dal contribuente avverso un avviso di accertamento per gli anni di imposta 2005, 2006 e 2007 con i quali l’Ufficio aveva rettificato il reddito dichiarato per l’anno di imposta 2005 della ditta individuale e recuperato a tassazione maggiori imposte dovute per Irpef, Irap e Iva, riducendo del 40% i valori determinati ai fini Irap e Iva, per adeguarsi alla percentuale di riduzione applicata dallo stesso ufficio con riguardo all’Irap.

La CTR, per quanto di interesse, disattendeva l’eccezione di inestendibilità delle indagini bancarie alla moglie del contribuente, attesi i rapporti familiari che fondano la presunzione legale di riferibilità delle operazioni all’attività e che il contribuente non aveva fornito alcuna prova contraria agli elementi accertativi.

Avverso la sentenza della CTR, il contribuente propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi.

L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.Con il primo motivo P.C. deduce la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2 e dell’art. 53 Cost. lamentando che la CTR, in violazione del principio di capacità contributiva non aveva riconosciuto i costi induttivamente accertati ai fini IRPEF anche ai fini IRAP in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

2.Con il secondo motivo deduce la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2, e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

3. Con il terzo motivo il ricorrente deduce nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 1, n. 4, art. 118 att. c.p.c. e D.P.R. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, n. 4 per essere la motivazione della CTR meramente apparente.

4.Le censure sono suscettibili di valutazione congiunta. Esse sono fondate nei limiti che si vanno a precisare.

4.1. Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, cui il Collegio intende dare continuità, (cfr., da ultimo, Cass. n. 22266 del 2016) “negli accertamenti di tipo induttivo – come per le movimentazioni bancarie di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32 l’amministrazione è tenuta a ricostruire la situazione reddituale complessiva del contribuente tenendo conto anche delle componenti negative del reddito, purchè esse “siano comunque emerse dagli accertamenti compiuti, ovvero siano state indicate e dimostrate dal contribuente” (Cass., sez. V, n. 8811/16; cfr. Cass. un. 6332/16, 1314/15, 25317/11, 20679/11, 5192/11, 3995/09)”. Si è precisato al riguardo che “l’assunto (…) ritrae fondamento dalle regole probatorie che governano la materia, in guisa delle quali se compete all’ufficio provare in base ad un quadro di presunzioni gravi, precisi e concordanti l’esistenza in capo al contribuente di attività non dichiarate ovvero l’inesistenza di passività dichiarate che alterano il risultato reddituale e generano un debito tributario, è per contro onere della parte che voglia confutare fruttuosamente gli esiti di verifica – come assai chiaramente evidenzia la stessa disciplina delle movimentazioni bancarie (cfr. D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2) – fornire prova che essi non trovano un riscontro attendibile in quanto smentiti, se non da prove piene, quantomeno da elementi probatori provvisti della stessa efficacia di quelli di cui si è valso il fisco. E dunque anche nell’ipotesi in cui la parte intende circoscrivere la pretesa esercitata nei suoi confronti, deducendo che l’ammontare dei ricavi determinato induttivamente debba essere ridotto delle spese occorse per la loro realizzazione, si impone l’osservanza delle regole anzidette, di modo che in difetto di prova l’abbattimento dei ricavi in ragione di costi non dimostrati non può essere operato presuntivamente d’ufficio, senza che in ciò sia ravvisabile un lesione del principio della capacità contributiva, in quanto esso non dispensa la parte dall’onere probatorio che le incombe” (Cass.n. 14089/2017; Cass. n. 8811 del 2016).

Nella specie peraltro, l’ufficio, tenendo conto dei costi occulti ha decurtato del 40% il reddito IRPEF risultante dall’applicazione della presunzione di legge.

4.2.Quanto alla mancata deduzione dei costi induttivamente accertati ai fini IRPEF anche ai fini IRAP, la CTR ha correttamente osservato che la stessa deriva dalla diversa composizione e dalla non coincidenza delle componenti negative rilevante ai fini della determinazione del reddito di impresa IRPEF.

4.3. Nessun vizio di motivazione apparente od omessa è ravvisabile.

La giurisprudenza di questa Corte ha chiarito che sussiste il vizio di motivazione apparente quando essa risulta fondata su una mera formula di stile, riferibile a qualunque controversia, disancorata dalla fattispecie concreta e sprovvista di riferimenti specifici, del tutto inadeguata a rivelare la “ratio decidendi” e ad evidenziare gli elementi che giustifichino il convincimento del giudice e ne rendano dunque possibile il controllo di legittimità, ovvero caratterizzata da un “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e da “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass. SS.UU. 7 aprile 2014 n. 8053).

4.4. I motivi sono invece fondati con riferimento ai versamenti e vanno accolti per quanto di ragione.

Giova premettere che in materia di accertamenti bancari, la giurisprudenza della Corte di Cassazione (sentenze n. 4829/2015; 5758/2018) è ferma nel ritenere che, qualora l’accertamento, effettuato dall’Ufficio finanziario si fondi su verifiche di conti correnti bancari, l’onere probatorio dell’Amministrazione è soddisfatto, secondo il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2), attraverso i dati e gli elementi risultanti dai conti predetti, determinandosi un’inversione dell’onere della prova, a carico del contribuente, il quale deve dimostrare, con una prova non generica, ma analitica, per ogni versamento bancario, che gli elementi desumibili, dalla movimentazione bancaria, non sono riferibili ad operazioni imponibili.

A seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 228 del 2014, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2), secondo periodo, D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, limitatamente alle parole “o compensi”, ed ha ridefinito il perimetro applicativo della norma relativa ai prelevamenti, la presunzione si applica ai movimenti bancari di prelevamento, solo se essi riguardano un imprenditore e non un lavoratore autonomo, come nel caso di specie.

Ne consegue che in tema di accertamento, resta invariata la presunzione legale posta dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32 con riferimento ai soli versamenti effettuati su un conto corrente dal professionista o lavoratore autonomo, sicchè questi è onerato di provare in modo analitico l’estraneità di tali movimenti ai fatti imponibili, mentre è venuta meno, all’esito della sentenza della Corte costituzionale n. 228 del 2014, l’equiparazione logica tra attività imprenditoriale e professionale relativamente ai prelevamenti sui conti correnti (Cass. nn. 16697 del 09/08/2016, 19029 del 27/09/2016).

Di conseguenza, la sentenza impugnata va cassata, con riferimento alle operazioni di versamento, con rinvio alla C.T.R. del Lazio, in diversa composizione, che valuterà il diverso regime probatorio tra le operazioni di versamento e di prelievo, provvedendo anche alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

PQM

Accoglie il ricorso, limitatamente alle operazioni di versamento; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla C.T.R. del Lazio, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 26 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 25 settembre 2020

 

 

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