Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2022 del 28/01/2021

Cassazione civile sez. I, 28/01/2021, (ud. 03/12/2020, dep. 28/01/2021), n.2022

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – rel. Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

Dott. MACRI’ Ubalda – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4860/2019 proposto da:

D.B., elettivamente domiciliato in Roma, Via della Giuliana

n. 32, presso lo studio dell’avvocato Gregorace Antonio, che lo

rappresenta e difende, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di TORINO, depositata il 20/12/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

03/12/2020 da CAPRIOLI MAURA.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

Ritenuto che:

Con Decreto n. 6780/2018 il Tribunale di Torino ha respinto il ricorso presentato da D.B., cittadino del Mali, contro il provvedimento della Commissione territoriale di diniego della protezione internazionale, sussidiaria e della protezione umanitaria.

Il Giudice di primo grado ha rilevato l’insussistenza dei presupposti della protezione internazionale ritenendo che le ragioni che avevano spinto il richiedente ad immigrare fossero di natura economica e familiare.

Con riguardo alla protezione sussidiaria ha escluso alla luce dei Report consultati (EASO-COI 2015 e Acled 2016 Minusma), che il Paese di provenienza fosse interessato da violenza indiscriminata.

Relativamente alla protezione umanitaria ha rilevato l’assenza di serio motivo umanitario.

D.B. ricorre per la cassazione del decreto con atto affidato a cinque motivi.

L’Amministrazione intimata non si è costituita.

Con il primo motivo si denuncia violazione delle norme di diritto in tema di protezione internazionale in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si lamenta che il Tribunale non avrebbe enunciato i motivi per i quali ha ritenuto.

Con il secondo motivo si denuncia l’omesso esame delle dichiarazioni rese dal ricorrente alla Commissione Territoriale e delle allegazioni portate in giudizio per la valutazione delle condizioni del paese di origine.

Si lamenta che il giudice di merito non avrebbe esaminato le situazioni di conflitto esistenti all’interno della regione di provenienza del ricorrente.

Con il terzo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14.

Si duole il ricorrente che il Tribunale avrebbe omesso ogni valutazione in merito alla condizione oggettiva del Mali.

Con il quarto motivo si denuncia l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio in relazione alla mancata valutazione della richiesta di permesso di soggiorno con riferimento al Paese di transito ossia la Libia.

Con l’ultimo motivo si lamenta la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5.

Si censura la motivazione adottata dal Tribunale il quale non avrebbe considerato, da un lato, il grado di integrazione sociale raggiunto dal richiedente e, dall’altra, le precarie condizioni socio economiche del paese di provenienza.

Il primo motivo è inammissibile.

Il ricorrente, nel denunciare vizi di violazione di legge, si duole del diniego della protezione internazionale svolgendo argomentazioni del tutto generiche e senza confrontarsi con l’iter motivazionale della sentenza impugnata (cfr. Cass. n. 20910/2017).

Il Tribunale, diversamente da quanto sostenuto dallo stesso ricorrente, ha spiegato le ragioni per le quali non è possibile concedere la misura invocata precisando che dal racconto offerto dal richiedente non erano emersi episodi di violenza riconducibili personalmente a quest’ultimo il quale aveva lasciato il Paese per ragioni economiche e familiari nate da un difficile rapporto con la zia. Le suddette valutazioni costituiscono apprezzamenti di fatto rimessi al giudice del merito e la motivazione della sentenza impugnata è sorretta da un contenuto non inferiore al minimo costituzionale, come delineato dalla giurisprudenza di questa Corte (Cass. S.U. n. 8053/2014 e Cass. S.U. 22232/2016).

Il secondo motivo, terzo motivo e quarto che vanno trattati congiuntamente per l’intima connessione sono parimenti inammissibili.

Il Tribunale ha esaminato, richiamando le fonti di conoscenza, la situazione generale del Mali ed in particolare del Sud del Paese ed ha concluso affermando che esso non è interessato da violenza indiscriminata in situazione di conflitto armato interno o internazionale tale da rappresentare una minaccia grave alla vita individuale o alla persona di un civile.

Ha poi sottolineato che i disordini menzionati nel ricorso non integrano gli estremi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), e non hanno alcuna attinenza con il richiedente nè costituiscono una minaccia diretta e personale nei suoi confronti.

Ha infine chiarito che non sono rilevanti nella valutazione dei rischi connessi al rimpatrio le vicende accadute in Niger ed in Libia in considerazione del fatto che si tratta di Paesi nei quali il ricorrente non avrebbe titolo per farvi rientro.

Le riportate motivazioni segnalano l’inosservanza da parte del ricorrente, dell’onere di allegazione in ordine dei fatti costitutivi della pretesa, che pur a fronte di un’attenuazione dell’onere probatorio, nella materia di che trattasi comunque compete al richiedente asilo assolvere, inosservanza parimenti ostativa, ancora secondo la giurisprudenza di questa Corte, all’attivazione dei compiti di cooperazione istruttoria, qualunque sia la forma di protezione invocata (Cass., Sez. I, 12/06/2019, n. 15794).

Ne discende che, non esponendosi a nessuna delle declinate censure di diritto, l’impugnato assunto decisorio si sottrae al preteso scrutinio e ciò di cui il ricorrente si duole è nulla di più che l’espressione di un mero dissenso sul merito della decisione, a cui però non è compito di questa Corte dare seguito.

Anche con riguardo all’ultimo profilo di censura si deve rilevare l’inammissibilità. Il Tribunale ha escluso, sulla base delle risultanze di causa, che ricorressero quei seri motivi che giustificano ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari sia per la mancanza di credibilità del richiedente e quindi della mancanza di rischio di persecuzione o di danno nel caso di rientro sia per la situazione politica del Mali ritenuta non così grave da porre i propri cittadini in condizioni di vulnerabilità sia per le buone condizioni psicofisiche del richiedente.

Le suddette valutazioni costituiscono apprezzamenti di fatto rimessi al giudice del merito e la motivazione della sentenza impugnata è sorretta da un contenuto non inferiore al minimo costituzionale, come delineato dalla giurisprudenza di questa Corte (Cass. S.U. n. 8053/2014 e Cass. S.U. 22232/2016).

Alla stregua delle considerazioni sopra esposte il ricorso va dichiarato inammissibile.

Nessuna determinazione in punto spese per il mancato svolgimento di attività difensiva da parte dell’intimata.

P.Q.M.

La Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso; nulla per le spese; Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 3 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 28 gennaio 2021

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