Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20218 del 31/07/2018


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Civile Ord. Sez. 2 Num. 20218 Anno 2018
Presidente: ORICCHIO ANTONIO
Relatore: FEDERICO GUIDO

ORDINANZA

sul ricorso 1495-2014 proposto da:
GALLORO FRANCO, IURICH LAURA, rappresentati e difesi
dall’avvocato ALESSANDRO BELTRAME;
– ricorrenti contro

ROSIN CRISTINA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA
ANTONIO MUSA 12/A, presso lo studio dell’avvocato
FABRIZIO PERTICA, che la rappresenta e difende
unitamente all’avvocato PIERLUIGI FABBRO;
– controricorrente nonchè contro

MAURO FRANCA, C.M. di MAURO FRANCA & C. s.n.c., in
persona del legale rappresentante pro tempore;
– intimati –

Data pubblicazione: 31/07/2018

avverso la sentenza n. 633/2012 della CORTE D’APPELLO
di TRIESTE, depositata il 29/10/2012;
udita la relazione della causa svolta nella camera di
consiglio del 16/02/2018 dal Consigliere GUIDO

FEDERICO.

In fatto
Galloro Franco e Iurich Laura propongono ricorso in cassazione, affidato
a tre motivi, avverso la sentenza della Corte d’appello di Trieste n. 635

del 2012 che, confermando la pronuncia di primo grado, ha rigettato la
domanda di risarcimento del danno derivanti da immissioni sonore
eccedenti la normale tollerabilità proposta dagli odierni ricorrenti nei

ir
confronti della C.M. di Mauro Franca & c. snc nonchè Mauro Franca in
proprio e Rosin Cristina.
Rosin Cristina resiste con controricorso.
La C.M. di Mauro Franca & c. snc nonchè Mauro Franca in proprio non
hanno svolto nel presente giudizio attività difensiva.
I ricorrenti in prossimità dell’odierna adunanza hanno depositato
memorie ex art. 380 bis cpc.
In diritto
Con il primo motivo i ricorrenti censurano l’impugnata sentenza per
violazione dell’art. 360 n. 4 c.p.c., deducendo l’omessa pronuncia della
Corte d’appello in relazione a due motivi di gravame: in primo luogo,
l’impugnazione relativa alla violazione dell’art. 844 c.c., domanda che
doveva ritenersi ritualmente proposta, ed inoltre, relativamente
all’ulteriore profilo ( motivo sub 2 dell’atto di appello) in relazione alla
valutazione delle prove testimoniali.
Il motivo è infondato.
Entrambe le censure sollevate da parte ricorrente sono destituite di
fondamento, atteso che la sentenza impugnata si pronuncia su entrambi i
profili indicati in ricorso.

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Da un lato, infatti, il giudice d’appello ha espressamente ritenuto che non
fosse stata provata “l’intollerabilità delle emissioni rumorose”, valutando
dunque la fattispecie in relazione alla specifica previsione dell’ art. 844

c.c. e non solo in forza del generale principio del neminem laedere di cui
all’ art. 2043 c.c.; dall’altro, anche avuto riguardo alla valutazione delle
acquisizioni istruttorie, il giudice di appello indica chiaramente gli

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elementi posti a fondamento del proprio convincimento, affermando di
condividere le statuizioni del giudice di prime cure.
Con il secondo motivo i ricorrenti censurano l’insufficienza, illogicità
della motivazione e la violazione di legge, in relazione ad alcune
statuizioni poste dal giudice d’appello a fondamento della sentenza.
Il motivo è inammissibile sotto diversi profili.
In primo luogo, va rilevata la commistione all’interno di un unico motivo
di ricorso di censure diverse ed eterogenee , relative a vizi di motivazione
e violazione di legge.
In tema di ricorso per cassazione, è inammissible la mescolanza e la
sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei, facenti riferimento
alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5,
cod. proc. civ., non essendo consentita la prospettazione di una medesima
questione sotto profili incompatibili, quali quello della violazione di
norme di diritto, che suppone accertati gli elementi del fatto in relazione
al quale si deve decidere della violazione o falsa applicazione della
norma, e del vizio di motivazione, che quegli elementi di fatto intende
precisamente rimettere in discussione(Cass.19443/2011).
Inoltre il vizio di motivazione non è più censurabile in base alla nuova
formulazione dell’art. 360 n.5) cpc applicabile ratione temporis al caso di

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specie, mentre la censura di violazione di legge è inammissibile per
genericità.
Detto vizio, alla luce del disposto dell’art. 366 n.4) cpc, dev’essere, a

pena di inammissibilità, dedotto non solo con l’indicazione delle norme
di diritto asseritamente violate, ma anche delle affermazioni in diritto
contenute nella sentenza impugnata che si assumano in contrasto con le
norme regolatrici della fattispecie e con l’interpretazione delle stesse
fornita dalla giurisprudenza di legittimità, non risultando altrimenti
consentito a questa Corte di adempiere al proprio ruolo istituzionale di
verificare il fondamento della denunciata violazione ( ex multis, Cass.
16038/2013; 25419/2014; 287/2016).
Orbene, nel caso di specie, risultano peraltro specificamente prese in
esame e valutate dalla Corte territoriale tutte le circostanze dedotte dal
ricorrente.
Con il terzo motivo viene censurata la violazione e falsa applicazione di
norma di legge, relativamente agli art. 91 cpc, art. 9 comma 2 D.L. del 24
gennaio 2012 n.1 e art. 11 del D.M. 20 luglio 2012 n. 140, in relazione
all’art.360 n.3) cpc.
Secondo la prospettazione del ricorrente, la sentenza impugnata aveva
erroneamente applicato per la liquidazione dei compensi il DM 127/2004
mentre avrebbe dovuto applicare il DM 140/2012 che era entrato in
vigore il 23 agosto 2012 e dunque anteriormente al deposito della
sentenza impugnata, avvenuto il 29 ottobre 2012.
Il motivo è infondato.
Conviene premettere che in tema di spese processuali, agli effetti dell’art.
41 del d.m. n. 140 del 2012, i nuovi parametri, in base ai quali vanno

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commisurati i compensi forensi in luogo delle abrogate tariffe
professionali, si applicano in tutti i casi in cui la liquidazione giudiziale
intervenga in un momento successivo alla data di entrata in vigore del

predetto decreto e sempre che la prestazione professionale non sia
completata in data antecedente(Cass.2748/2016).
Orbene, nel caso di specie, da un lato la data la liquidazione dei compensi
deve ritenersi effettuata nella data in cui la sentenza è stata deliberata ( 17
luglio 2012) e non in quella di deposito (29 ottobre 2012), ed in ogni caso
le prestazioni professionali erano state evidentemente poste in essere in
data anteriore alla deliberazione della sentenza.
Da ciò deriva che la Corte territoriale ha correttamente applicato il D.M.
140/2004.
Il ricorso va dunque respinto ed il ricorrente va condannato alla refusione
delle spese di lite, in favore della sola Rosin Crisitina, che si liquidano
come da dispsitivo; nulla sulle spese nei confronti degli altri intimati, che
non hanno svolto nel presente giudizio attività difensiva.
regolate secondo soccombenza, si liquidano come da dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater Dpr 115 del 2002 dà atto della
sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente,
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto
per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente alla refusione delle spese del presente giudizio in
favore della sola Rosin Cristina, che liquida in 3.700,00 E, di cui 200,00

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€ per rimborso spese vive, oltre a rimborso forfetario spese generali in
misura del 15% ed accessori di legge.

presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore
importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso,
a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma il 16 febbraio 2018
Il Presidente
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DEPOSITATO IN CANCELLERIA
Roma,

3 1 LuG, 2018

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater Dpr 115 del 2002 sussistono i

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