Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20218 del 07/10/2016


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Cassazione civile sez. lav., 07/10/2016, (ud. 07/07/2016, dep. 07/10/2016), n.20218

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. VENUTI Pietro – rel. Consigliere –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 4466-2014 proposto da:

P.G., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIALE DELLE MILIZIE 76, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO

DONNANGELO, rappresentato e difeso dall’avvocato LAMBERTO RONGO,

giusta delega In atti;

– ricorrente –

contro

A.R.P. – AGRICOLTORI RIUNITI PIACENTINI SOC. AGR. COOP., P.I.

(OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CRESCENZIO 58, presso lo

studio dell’avvocato BRUNO COSSU, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato AUGUSTO GRUZZA, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 831/2013 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 06/08/2013, R.G. N. 491/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

07/07/2016 dal Consigliere Dott. PIETRO VENUTI;

udito l’Avvocato PIER LUIGI PANICI per delega LAMBERTO RONGO;

udito l’Avvocato BRUNO COSSU;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FRESA Mario, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Tribunale di Piacenza dichiarava illegittimo il licenziamento per giusta causa intimato a P.G. dalla A.R.P. Agricoltori Riuniti Piacentini Soc. Agr. Coop. il (OMISSIS) e la condannava a reintegrare il predetto dipendente nel posto di lavoro ed al risarcimento dei danni subiti, pari alle retribuzioni dalla data del recesso sino alla reintegra.

Proponeva impugnazione la società e la Corte d’appello di Bologna, con sentenza resa pubblica il 6 agosto 2013, dichiarava legittimo il licenziamento per giustificato motivo soggettivo e condannava la società al pagamento dell’indennità sostitutiva del preavviso.

La Corte anzidetta rilevava che la condotta del dipendente – il quale, dopo una lunga assenza per infortunio, si era assentato dal lavoro per tre giorni consecutivi senza avvertire il datore di lavoro della sua impossibilità di rendere la prestazione e di volere usufruire di ferie arretrate – costituiva un inadempimento idoneo a rendere legittimo il licenziamento. Al riguardo dovevano essere valutate, nel giudizio di proporzionalità, effettuato ex art. 2106 c.c., la posizione ricoperta dal dipendente e la sua elevata qualifica nonchè la mancanza di buona fede dimostrata dal medesimo, il quale, assentandosi dal lavoro, aveva reso giustificazioni risultate non vere. Tali circostanze, complessivamente considerate, consentivano di affermare che il recesso fosse sorretto da giustificato motivo soggettivo, con conseguente diritto del dipendente alla indennità sostitutiva del preavviso, pari a sei mensilità.

Per la cassazione di questa sentenza propone ricorso il lavoratore sulla base di un solo motivo. Resiste con controricorso la società.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo del ricorso si denuncia violazione degli artt. 2106 e 1455 c.c., della L. n. 604 del 1966, artt. 1 e 3 nonchè omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione delle parti.

Si deduce che la Corte di merito ha omesso “l’esame concreto e complessivo dei fatti, sotto il profilo sia oggettivo che soggettivo”; che ha violato i principi in tema di proporzionalità delle sanzioni, non considerando che la massima sanzione disciplinare risulta giustificata solamente in presenza di un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali; che nella specie non è stato tenuto conto dell’assenza di precedenti procedimenti disciplinari nell’arco di venti anni, delle mansioni svolte dal dipendente non implicanti particolari responsabilità e delicatezza, della ricorrenza di “indici minimali di intensità dolosa”, della particolare tenuità del fatto; che le argomentazioni svolte dal giudice d’appello erano prive di coerenza logica sia in merito alla ritenuta insussistenza di giustificazioni sia in ordine alla asserita mancanza di buona fede; che, anche a voler ritenere che il lavoratore non avesse giustificato l’assenza dal lavoro, tale condotta non poteva ritenersi così grave da compromettere irrimediabilmente il vincolo fiduciario che connota il rapporto di lavoro; che la sentenza impugnata non aveva adeguatamente considerato il fatto decisivo che il P., dopo un anno di assenza dal lavoro per infortunio, aveva ripreso la propria attività con difficoltà e faticosità e in condizioni di evidente stress psico-fisico, alternando a periodi di presenza al lavoro periodi di astensione.

2. In replica a tale motivo, la società rileva che l’assenza ingiustificata dal lavoro protrattasi per tre giorni consecutivi costituisce, ai sensi dell’art. 38 CCNL per i dipendenti delle cooperative e dei consorzi agricoli, giusta causa di immediata risoluzione del rapporto; che, diversamente da quanto affermato dal ricorrente, questi non aveva avvertito la società della sua assenza nè tanto meno aveva chiesto di usufruire delle ferie; che era da escludere la sussistenza presso la società di una prassi in materia di ferie e permessi che consentiva ai dipendenti di assentarsi dal lavoro senza l’autorizzazione del datore di lavoro; che tutto ciò escludeva che il P. si fosse assentato in buona fede.

3. Il ricorso non è fondato.

Premesso che è incontestato che l’assenza ingiustificata dal lavoro per tre giorni consecutivi, in base alla previsione di cui all’art. 38 del contratto collettivo applicabile nella specie, rende giustificata l’immediata risoluzione del rapporto da parte del datore di lavoro, deve osservarsi che la giusta causa ed il giustificato motivo soggettivo del licenziamento costituiscono qualificazioni giuridiche di comportamenti ugualmente idonei a legittimare la cessazione del rapporto di lavoro, l’uno con effetto immediato e l’altro con preavviso.

Al riguardo questa Corte ha più volte affermato che in tema di licenziamento, la valutazione della gravità del fatto in relazione al venir meno del rapporto fiduciario che deve sussistere tra le parti non va operata in astratto, ma con riferimento agli aspetti concreti afferenti alla natura e alla qualità del singolo rapporto, alla posizione delle parti, al grado di affidabilità richiesto dalle singole mansioni, nonchè alla portata soggettiva del fatto, ossia alle circostanze del suo verificarsi, ai motivi e all’intensità dell’elemento intenzionale e di quello colposo (Cass. 26 luglio 2011 n. 16283; Cass. 1 marzo 2011 n. 5019; Cass. 3 gennaio 2011 n. 35).

E’ stato altresì precisato che, in tema di licenziamento individuale per giusta causa o giustificato motivo soggettivo, il giudizio circa la gravità delle infrazioni commesse dal lavoratore subordinato e la loro attitudine a costituire giusta causa o giustificato motivo di licenziamento implica un accertamento di fatto demandato al giudice di merito, la cui valutazione è incensurabile in cassazione se priva di errori logici o giuridici (Cass. 23 agosto 2004 n. 16628; Cass. 19 ottobre 2007 n. 21965; Cass. 8 gennaio 2008 n. 144; Cass. 20 luglio 2010 n. 17514).

Se è vero, poi, che in tema di licenziamento, la nozione di giusta causa è nozione legale e il giudice non è vincolato alle previsioni di condotte integranti la giusta causa contenute nei contratti collettivi, tuttavia ciò non esclude che ben possa il giudice far riferimento ai contratti collettivi e alle valutazioni che le parti sociali compiono in ordine alla valutazione della gravità di determinati comportamenti rispondenti, in linea di principio, a canoni di normalità (Cass. n. 2906/05; Cass. n. 27464/06). Ed infatti, la individuazione, ad opera della contrattazione collettiva, delle condotte disciplinarmente rilevanti e delle sanzioni alle medesime correlate costituisce espressione della volontà delle parti, in esplicazione del potere di autonomia sindacale, di regolare il potere disciplinare del datore di lavoro e, ad un tempo, di dare certezza ai lavoratori sulla rilevanza disciplinare delle condotte e sulle conseguenze a questa correlate.

Nella specie, la Corte di merito ha ritenuto che il P. non solo si è assentato dal lavoro senza giustificare l’assenza, ma ha fornito, al fine di giustificare la sua condotta, giustificazioni risultate non vere, circostanze queste che all’evidenza dimostravano la sua mancanza di buona fede e che erano idonee a ledere irrimediabilmente la fiducia che sta alla base del rapporto di lavoro, tenuto conto della sua elevata qualifica e della posizione da lui ricoperta (capo reparto e conduttore di evaporatori, con qualifica, da ultimo, A2).

Ha quindi ritenuto, con valutazione incensurabile in sede di legittimità, adeguatamente motivata e priva di vizi, che tale condotta, costituendo un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali (L. n. 604 del 1966, art. 3) fosse idonea ad integrare l’ipotesi del giustificato motivo soggettivo di licenziamento.

Del tutto priva di rilievo, oltre che infondata, è poi, la censura relativa all’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, e cioè che il P., dopo un anno di assenza dal lavoro per infortunio, ha ripreso la propria attività con difficoltà e faticosità e in condizioni di evidente stress psico-fisico, alternando a periodi di presenza al lavoro periodi di astensione.

Al riguardo, deve rilevarsi che, secondo le Sezioni Unite di questa Corte (sent. n. 8053/14), l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 come riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.

Nella specie non solo non risultano indicati i suddetti elementi, ma di nessun rilievo appare la circostanza, dedotta dal ricorrente, secondo cui il medesimo, dopo un lungo periodo di assenza per infortunio, ha ripreso la propria attività con difficoltà e faticosità e in condizioni di evidente stress psico-fisico, dovendosi anzi osservare che la lunga assenza dal servizio avrebbe dovuto consigliargli un maggior scrupolo nell’assentarsi dal lavoro, informandone previamente il datore di lavoro e giustificando l’assenza.

In conclusione il ricorso deve essere rigettato.

4. Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

Il ricorrente è tenuto al pagamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso (D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13).

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 100,00 per esborsi ed Euro 3.500,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 7 luglio 2016.

Depositato in Cancelleria il 7 ottobre 2016

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