Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20216 del 25/07/2019

Cassazione civile sez. VI, 25/07/2019, (ud. 30/04/2019, dep. 25/07/2019), n.20216

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28027-2017 proposto da:

FALLIMENTON N. (OMISSIS) SRL, in persona del Curatore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FLAMINIA N. 388, presso lo

studio dell’avvocato MAURO MALTESE, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

V.D., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE,

34, presso lo studio dell’avvocato ANDREA D’AMICO, che lo

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2773/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 28/04/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 30/04/2019 dal Consigliere Relatore Dott. MASSIMO

FALABELLA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – Con atto di citazione notificato il 6 giugno 1998 la curatela del fallimento (OMISSIS) s.r.l. conveniva in giudizio V.D. innanzi al Tribunale di Tivoli, sezione distaccata di Castelnuovo di Porto, per sentirlo condannare al rilascio di un immobile sito in Campagnano di Roma, oltre che al pagamento di una indennità di occupazione: la società in bonis era proprietaria dell’immobile, che era stato oggetto di un contratto preliminare di compravendita da essa concluso col predetto V..

Nella resistenza di quest’ultimo, il Tribunale accoglieva la domanda.

2. – La sentenza era impugnata e la Corte di appello di Roma, con pronuncia del 28 aprile 2017, ne operava la riforma, respingendo la domanda attrice. Rilevava che le azioni di rilascio e di risarcimento del danno non erano esperibili fino a quando non fosse stato risolto il contratto preliminare; osservava, inoltre, che il fallimento non avrebbe potuto validamente fondare le predette azioni sulla risoluzione del contratto preliminare, fatta valere nella memoria ex art. 183 c.p.c., dal momento che in tal modo si sarebbe determinata una inammissibile mutatio libelli.

3. – La sentenza è impugnata per cassazione dalla curatela con due motivi. V.D. resiste con controricorso.

Il Collegio ha autorizzato la redazione della presente ordinanza in forma semplificata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Il primo motivo lamenta la violazione o falsa applicazione della L. Fall., art. 72. Spiega il ricorrente come non meriti condivisione l’affermazione della Corte di appello secondo cui il curatore non sarebbe stato legittimato a richiedere il rilascio dell’immobile: infatti rileva -, lo stesso, introducendo il giudizio di rilascio, aveva implicitamente esercitato la facoltà di sciogliersi dal contratto preliminare a norma della L. Fall., art. 72.

Il secondo mezzo denuncia la nullità della sentenza per violazione dell’art. 183 c.p.c., comma 6. Vi si sostiene che il comportamento processuale del curatore che aveva dichiarato di volersi sciogliere dal contratto preliminare aveva integrato una mera emendali libelli, non già una mututio libelli.

2. – I due motivi sono fondati.

Va anzitutto disattesa l’eccezione del controricorrente, secondo cui il fallimento non potrebbe agire per ottenere il rilascio dell’immobile: eccezione basata sul rilievo per cui, per effetto dell’accoglimento della domanda revocatoria proposta dalla curatela nei confronti del terzo (Co.Ge.Di.R. s.r.l.) cui la società in bonis aveva trasferito l’intero fabbricato, l’unità immobiliare oggetto del presente giudizio, ubicata nel detto stabile, non sarebbe tornata nella titolarità della procedura concorsuale, sicchè lo stesso V. non potrebbe qualificarsi come occupante senza titolo.

E’ ben vero, in termini generali, che il vittorioso esperimento dell’azione revocatoria non determina il travolgimento dell’atto di disposizione posto in essere dal debitore, ma semplicemente l’inefficacia di esso nei soli confronti del creditore che la abbia con successo esperita, per consentire allo stesso di esercitare sul bene Oggetto dell’atto, l’azione esecutiva ai sensi dell’art. 602 c.p.c. ss. (Cass. 19 dicembre 1996, n. 11349; cfr. pure, ad es.: Cass. 8 aprile 2003, n. 5455; Cass. 14 giugno 2007, n. 13972). Infatti, l’azione revocatoria ha natura costitutiva in quanto modifica ex post una situazione giuridica preesistente, privando di effetti atti che avevano già conseguito piena efficacia e determinando la restituzione dei beni o delle somme Oggetto di revoca alla funzione di generale garanzia patrimoniale ed alla soddisfazione dei creditori di una delle parti dell’atto dispositivo (Cass. Sez. U. 23 novembre 2018, n. 30416). E’ altrettanto vero, però, che nel caso in esame viene in rilievo il rapporto obbligatorio nascente dal contratto preliminare, in cui è subentrata la curatela (circostanza, questa, implicitamente affermata dalla Corte di merito – che infatti riconosce al fallimento il potere di agire per la risoluzione L. Fall., ex art. 72 – e non contrastata da censura alcuna). Ed è evidente che la curatela abbia interesse ex art. 100 c.p.c., ad ottenere la pronuncia risolutoria e il rilascio del bene proprio in quanto, in forza del vittorioso esperimento dell’azione revocatoria, può oggi aggredirlo in via esecutiva (non essendole più opponibile la cessione del fabbricato a Co.Ge.Di.R.).

Per il resto, è facile osservare che la ratio decidendi della sentenza impugnata non possa essere condivisa. Infatti, l’esercizio da parte del curatore della facoltà di scelta tra lo scioglimento o il subingresso nel contratto preliminare di vendita pendente, ai sensi della L. Fall., art. 72 (nel testo, vigente ratione temporis, anteriore alle modifiche introdotte dal D.Lgs. n. 5 del 2006), può anche essere tacito, ovvero espresso per fatti concludenti, non essendo necessario un negozio formale, nè un atto di straordinaria amministrazione e dunque non ricorrendo la necessità dell’autorizzazione del giudice delegato, trattandosi di una prerogativa discrezionale del curatore (Cass. 3 settembre 2010, n. 19035, proprio con riguardo alla scelta del curatore di promuovere una causa di rilascio dell’immobile, detenuto dalla promissaria acquirente e non riconsegnato dopo il fallimento; cfr. pure: Cass. 2 dicembre 2011, n. 25876; Cass. 15 gennaio 2013, n. 787; Cass. 10 aprile 2013, n. 8686; Cass. 16 giugno 2016, n. 12462; Cass. 4 maggio 2017, n. 10811). In conseguenza, l’azione di rilascio proposta con l’atto di citazione era in sè idonea ad esprimere la volontà del curatore di sciogliersi dal vincolo. Per quanto tale rilievo sia assorbente, merita poi evidenziare come debba considerarsi erronea anche l’ulteriore affermazione della Corte distrettuale, secondo cui le domande spiegate nella memoria ex art. 183 c.p.c., in cui si faceva precisa menzione della risoluzione del contratto preliminare, sarebbero inammissibili in quanto con esse si sarebbe attuata una mutatio libelli.

Infatti, “il curatore del fallimento che abbia agito per il rilascio di un immobile detenuto senza titolo, legittimamente – a fronte dell’eccezione del convenuto di esserne promissario acquirente – può porre a fondamento della domanda di restituzione la scelta di sciogliersi dal contratto preliminare L. Fall., ex art. 72, la quale, determinando lo scioglimento del rapporto con effetto ex tunc, lascia immutati tanto la causa petendi (mancanza di titolo del detentore), quanto il petitum (restituzione dell’immobile) dell’azione originariamente proposta” (Cass. 24 luglio 2015, n. 15561). Ciò vale, a maggior ragione, ove di consideri il pricipio, affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte, per cui la modificazione della domanda ammessa ex art. 183 c.p.c., può riguardare anche uno o entrambi gli elementi oggettivi della stessa (petitum e causa petendi), sempre che la domanda così modificata risulti comunque connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio e senza che, perciò solo, si determini la compromissione delle potenzialità difensive della controparte, ovvero l’allungamento dei tempi processuali (Cass. Sez. U. 15 giugno 2015, n. 12310). Nè, sul punto, potrebbe obiettarsi che la domanda di scioglimento del contratto preliminare risultava essere preclusa al difensore, potendo essere proposta dal solo curatore. Vale ricordare, infatti, che la procura alle liti abilita il procuratore, per la discrezionalità tecnica che gli spetta nell’impostazione della lite, a scegliere, in relazione anche agli sviluppi della causa, la condotta processuale da lui ritenuta più rispondente agli interessi del proprio rappresentato, salvi – ovviamente – gli atti, come la rinuncia, che importino disposizione del diritto in contesa, per i quali occorre un mandato speciale (Cass. 17 marzo 2006, n. 5905; Cass. 23 gennaio 1995, n. 722).

3. – La sentenza è quindi cassata, con rinvio della causa alla Corte di appello di Roma che deciderà, in diversa composizione, anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione, anche per le spese.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 6′ Sezione Civile, il 30 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 25 luglio 2019

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