Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20214 del 25/09/2020

Cassazione civile sez. trib., 25/09/2020, (ud. 26/02/2020, dep. 25/09/2020), n.20214

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Presidente –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – rel. Consigliere –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosina – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 28692/2013 proposto da:

Agenzia delle entrate, in persona del direttore p.t., rappresentata e

difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso cui domicilia,

In Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12;

– ricorrente –

contro

L.N., rappresentato e difeso dall’avv. Porcelli Giovanni,

presso cui elettivamente domicilia in Roma alla via Malcesine n. 30;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 75/15/12 della Commissione tributaria

regionale della Emilia Romagna, pronunciata il 27 settembre 2011,

depositata il 22 ottobre 2012 e non notificata.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 26 febbraio

2020 dal consigliere Giudicepietro Andreina;

 

Fatto

RILEVATO

Che:

l’Agenzia delle entrate ricorre con tre motivi avverso L.N. per la cassazione della sentenza n. 75/15/12 della Commissione tributaria regionale della Emilia Romagna (di seguito C.t.r.), pronunciata il 27 settembre 2011, depositata il 22 ottobre 2012 e non notificata, che, in controversia relativa all’impugnazione dell’avviso di accertamento di Irpef, Irap ed Iva per l’anno 1999, ha rigettato l’appello dell’Ufficio, confermando la sentenza di primo grado della Commissione tributaria provinciale di Bologna;

secondo la C.t.r., l’accertamento presentava gravi carenze, in quanto non aveva tenuto conto delle semplificazioni introdotte dal D.P.R. n. 695 del 1996 per l’annotazione dei beni strumentali, che, per la contabilità a regime semplificato, consentiva di ovviare alla tenuta del registro dei beni ammortizzabili con l’annotazione sul registro degli acquisti;

pertanto, secondo la C.t.r., l’Ufficio non avrebbe potuto ritenere non inerenti i costi e non deducibili le quote di ammortamento dei i/beni strumentali, regolarmente registrati nel registro degli acquisti, sol perchè non risultava istituito il registro dei beni ammortizzabili;

inoltre, il giudice di appello riteneva che non fosse chiara la motivazione della ritenuta indeducibilità, in quanto gli acquisti fatturati e non riconosciuti, di cui la C.t.r faceva un’elencazione approssimativa e non tassativa, erano perfettamente inerenti all’attività d’impresa, consistente nel commercio al dettaglio di generi alimentari;

infine, la C.t.r. riteneva che, pur in presenza della parziale rettifica dell’Ufficio in sede contenziosa, non era possibile individuare con chiarezza il maggior imponibile accertato;

a seguito del ricorso, il contribuente resiste con controricorso;

il ricorso è stato fissato per la Camera di Consiglio del 26 febbraio 2020, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c., e art. 380-bis1 c.p.c., il primo come modificato ed il secondo introdotto dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, conv. in L. 25 ottobre 2016, n. 197.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

con il primo motivo, la ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 41, del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 109, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 19, degli artt. 2697 e 2729 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3);

rileva la ricorrente che costituiscono circostanze pacifiche ed incontroverse che il contribuente non abbia presentato la dichiarazione dei redditi per l’anno 1999 e che l’Ufficio abbia proceduto all’accertamento ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 41, a mente del quale poteva prescindere dalla contabilità del contribuente, ancorchè regolarmente tenuta;

secondo la ricorrente, quindi, il giudice di appello avrebbe errato nel ritenere che la ricorrente dovesse fornire una piena prova del maggior reddito accertato, essendo sufficiente una prova presuntiva, basata anche su presunzioni “supersemplici”, con conseguente inversione dell’onere della prova a carico del contribuente;

il motivo è infondato e va rigettato;

non si ravvisa nella sentenza impugnata alcuna violazione delle norme citate, in quanto il giudice, sul presupposto incontestato che l’accertamento si fondasse sulla documentazione contabile fornita dal contribuente, relativa sia ai ricavi conseguiti, sia ai costi sostenuti, ha ritenuto che il contribuente avesse dato prova dell’inerenza dei costi disconosciuti dall’amministrazione;

secondo la C.t.r., infatti, i costi erano perfettamente inerenti all’attività d’impresa, consistente nel commercio al dettaglio di generi alimentari, e, per quanto riguardava i beni strumentali, erano stati regolarmente registrati nel registro degli acquisti, non avendo rilevo la mancanza del registro dei beni ammortizzabili;

con il secondo motivo, la ricorrente denunzia, in violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, nonchè la violazione del gli D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 1, comma 2, eart. 36, comma 2, n. 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4);

secondo l’Agenzia delle entrate, risulta pacifico che il maggior reddito è stato determinato in base ai ricavi ed agli elementi positivi desunti dalla contabilità del contribuente, dedotti quasi nella totalità i costi indicati nella contabilità medesima;

solo una minima parte dei costi era stata disconosciuta dall’Ufficio per la carenza del registro beni ammortizzabili e per difetto di inerenza;

la C.t.r., nonostante ciò, aveva annullato l’accertamento nella sua interezza, con il mero rilievo che i ricavi sarebbero stati erroneamente quantificati, per cui la sentenza risultava ingiustificata e del tutto priva di motivazione in ordine all’integrale annullamento dell’atto impositivo;

con il terzo motivo, la ricorrente denunzia la nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 2 e art. 35, comma 3, e degli artt. 112 e 277 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4);

secondo la ricorrente, la C.t.r., una volta ritenuto che l’Ufficio aveva disconosciuto costi deducibili e determinato erroneamente i ricavi, avrebbe dovuto procedere alla rideterminazione del reddito del contribuente, eventualmente riducendo quello accertato dall’Ufficio;

il secondo ed il terzo motivo, da esaminare congiuntamente perchè connessi, sono fondati e vanno accolti;

invero, la C.t.r. non spiega perchè, a fronte di costi riconosciuti indeducibili per lire 23.869.000, annulli l’intera ripresa a tassazione, per 115.000.000 di lire, limitandosi a rilevare che la rettifica sull’ammontare dei ricavi “non dà conto di altre discordanze e della mancata considerazione di elementi rilevanti per la ricostruzione del reddito d’impresa”;

sul punto deve rilevarsi che l’Ufficio in sede contenziosa provvedeva a rideterminare, sulla base della contabilità del contribuente, l’esatto importo dei ricavi, erroneamente considerati al lordo dell’Iva;

il giudice, quindi, non si sarebbe dovuto limitare ad annullare l’atto impositivo, ma avrebbe dovuto pronunciarsi sulla fondatezza o infondatezza della pretesa fiscale, eventualmente confermando solo in parte l’accertamento;

come è stato detto, infatti, “l’impugnazione davanti al giudice tributario attribuisce a quest’ultimo la cognizione non solo dell’atto, come nelle ipotesi di “impugnazione-annullamento”, orientate unicamente all’eliminazione dell’atto, ma anche del rapporto tributario, trattandosi di una cd. “impugnazione-merito”, perchè diretta alla pronuncia di una decisione di merito sostitutiva (nella specie) dell’accertamento dell’amministrazione finanziaria, implicante per esso giudice di quantificare la pretesa tributaria entro i limiti posti dalle domande di parte; ne consegue che il giudice che ritenga invalido l’avviso di accertamento non per motivi formali, ma di carattere sostanziale (nella specie, incongruenza delle motivazioni e dei dati posti a base della pretesa dell’ufficio), non deve limitarsi ad annullare l’atto impositivo, ma deve esaminare nel merito la pretesa tributaria, e, operando una motivata valutazione sostitutiva, eventualmente ricondurla alla corretta misura, entro i limiti posti dalle domande di parte” (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 3309 del 19/02/2004; Cass. Sez. 5, Sentenza n. 614 del 13/01/2006);

in accoglimento del secondo e del terzo motivo di ricorso, rigettato il primo, la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla C.t.r. dell’Emilia Romagna, in diversa composizione, che provvederà anche alle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo e terzo motivo di ricorso, rigettato il primo, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla C.t.r.

Romagna in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 26 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 25 settembre 2020

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