Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20209 del 07/10/2016


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Cassazione civile sez. lav., 07/10/2016, (ud. 18/05/2016, dep. 07/10/2016), n.20209

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VENUTI Pietro – Presidente –

Dott. MANNA Antonio – Consigliere –

Dott. NEGRI DELLE TORRE Paolo – rel. Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 27653/2012 proposto da:

ASSOCIAZIONE TEATRO DI ROMA C.F. (OMISSIS), in persona del legali

rappresentante pro temprare, elettivamente domiciliato in ROMA,

LUNGOTEVERE DEI MELLINI 44, presso lo studio dell’avvocato DI

VASTOGIRARDI DE NOTARISTEFANI ANTONIO, che la rappresenta e difende

giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

R.P.R. e (OMISSIS);

– intimata –

Nonchè da:

R.P.R. (OMISSIS) elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE

GIUSEEPPE MAZZINI 123, presso lo studio dell’avvocato BENEDETTO

SPINOSA, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocata MASIMO

PATRIZIO CINQUANTA, giusta delega in atti;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

ASSOCIAZIONE TEATRO DI ROMA C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA,

LUNGOTEVERE DEI MELLINI 44, lo studio dell’avvocato DI VASTOGIRARDI

DE NOTARISTEFANI ANTONIO, che la rappresenta e difende giusta delega

in atti;

– controricorrente al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 7590/2011 della CORTE D’APPELLO DI ROMA,

depositata il 28/11/2011, R.G. N. 8011/2007;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

18/05/2016 dal Consigliere Dott. NEGRI DELLE TORRE Paolo;

Udito l’Avvocato CAPO Vincenzo per delega Avvocato LO MONACO CARLO;

Udito l’Avvocato SPINOSA BENEDETTO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FINOCCHI GHERSI Renato, che ha concluso per il rigetto di entrambi i

ricorsi.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza n. 7590/2011, depositata il 28/11/2011, la Corte di appello di Roma, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Roma, accertava che tra R.P.R. e l’Associazione Teatro di Roma era intercorso un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato con decorrenza dal (OMISSIS) e condannava l’Associazione a pagare alla lavoratrice le retribuzioni maturate dal (OMISSIS), data di offerta delle prestazioni lavorative, detratto l’aliunde perceptum così come indicato in motivazione. La Corte osservava, ai fini dell’accertamento della subordinazione, sulla base delle deposizioni dei testi, che la R.P., addetta all’ufficio stampa dell’Associazione tra il (OMISSIS) in forza di successivi contratti di collaborazione autonoma, riceveva indicazioni dal direttore artistico circa l’importanza dei vari progetti e le priorità; che i comunicati stampa dalla medesima redatti dovevano essere sempre approvati dal Presidente oppure dal direttore Ro.Lu. e potevano essere da questi modificati o rielaborati; che, pur non avendo l’obbligo di rispettare un orario fisso di inizio della prestazione, era tenuta a proseguirla secondo le richieste della direzione artistica (talvolta fino alle 21.30) in relazione alle esigenze dell’ufficio stampa; che infine i testi escussi, ad eccezione del direttore amministrativo, avevano confermato che ella aveva lavorato anche negli intervalli fra un contratto e l’altro e anche nel periodo estivo, occupandosi a stagione finita anche della programmazione del teatro di (OMISSIS).

La Corte osservava, quindi, che non era applicabile la limitazione prevista dalla L. n. 183 del 2010, art. 32, trattandosi nella specie non di contratti di lavoro a tempo determinato ma di contratti di collaborazione autonoma a tempo determinato; e che, per il principio di assorbimento, non poteva disporsi la condanna della datrice di lavoro al pagamento dei ratei di 13ma e 14ma mensilità, atteso che le somme percepite dalla R.P. mensilmente risultavano con tutta evidenza superiori ai minimi retributivi previsti dalla contrattazione collettiva di settore e che, d’altra parte, la lavoratrice non aveva specificamente dedotto che tali somme non fossero tali da assorbire le suddette mensilità.

Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza l’Associazione Teatro di Roma con tre motivi; la R.P. ha resistito con controricorso, con il quale ha proposto altresì ricorso incidentale, affidato anch’esso a tre motivi, e al quale ha resistito la ricorrente principale con controricorso.

Risulta delega in atti dell’Associazione all’avv. Carlo Lo Monaco quale co-difensore.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la ricorrente principale deduce violazione dell’art. 2094 c.c. e omessa, o comunque Insufficiente, motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 e n. 5, censurando sostanzialmente la sentenza impugnata per avere sovrapposto la nozione di inserimento del prestatore nella struttura organizzativa dell’imprenditore, ai fini del collegamento funzionale con il rapporto di collaborazione coordinata e continuativa, e la subordinazione, con la conseguenza di ritenere che, poichè vi era stato indubbiamente tale collegamento, doveva esserci stata anche la subordinazione; ed inoltre per non avere dato corso ad una valutazione complessiva, anzichè semplicemente atomistica, degli elementi di fatto riferiti dai testi, nonostante che tale operazione valutativa dovesse ritenersi, per costante orientamento, imprescindibile ai fini dell’adeguatezza della motivazione.

Con il secondo motivo la ricorrente Associazione Teatro di Roma denuncia la nullità della sentenza in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4,per non avere la Corte di appello ritenuto di concedere il termine previsto dalla L. n. 183 del 2010, art. 32, u.c., sul rilievo della inapplicabilità, nella specie, per la qualificazione in termini di autonomia che al rapporto avevano dato le parti, della normativa invocata, nonostante che essa, con l’ampio riferimento ai “casi di conversione del contratto a tempo determinato” (comma 5), non ne limitasse la fissazione alle ipotesi in cui la conversione non fosse stata preceduta da una diversa qualificazione della natura del rapporto.

Con il terzo motivo la ricorrente principale, deducendo la violazione della L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5, censura la sentenza per avere la Corte erroneamente escluso di poter applicare la limitazione del risarcimento prevista da tale norma, nonostante che, nel caso di specie, il rapporto fosse stato a tempo indeterminato e che i giudici di merito, dopo averne ritenuto il carattere subordinato, avessero dichiarato la nullità del termine apposto al primo dei contratti succedutisi nel tempo ed avessero, quindi, operato la conversione della pluralità di contratti a tempo determinato in un unico rapporto a tempo indeterminato.

Il primo motivo è infondato.

La sentenza impugnata, infatti, diversamente da quanto ritenuto dalla ricorrente con il motivo in esame, non ha fatto dipendere l’accertamento della natura subordinata del rapporto dall’inserimento del prestatore nella struttura organizzativa del datore di lavoro e dal coordinamento funzionale della sua attività con quella dell’impresa, posto che, pur dando atto anche di tali elementi (come di altri aventi valore indiziante, quali la continuità delle prestazioni, la quotidianità della presenza e l’utilizzo esclusivo degli strumenti e dei locali dell’Associazione), ha riconosciuto sussistente nella fattispecie, con motivazione esente da vizi logici e giuridici, la sottoposizione della lavoratrice al potere direttivo e organizzativo, quale tratto essenziale della subordinazione: ciò che emerge da quella parte della sentenza in cui la Corte di appello ritiene accertato l’esercizio, da parte del Presidente e del Direttore artistico, di “uno stringente potere di controllo” dei comunicati stampa e di modifica e rielaborazione del loro contenuto, tale da porsi ben al di là della indicazione di convenienze e di cautele politiche e personali su cui l’Associazione ha insistito; e in cui rileva inoltre: (a) che il Direttore artistico o il suo assistente richiedevano la presenza dell’appellante in relazione alle esigenze dell’ufficio stampa e disponevano che essa proseguisse anche fino alle 21.30; (b) che in una occasione, come confermato dai testi, l’assistente del Direttore artistico ebbe a rivolgersi alla R.P. “indicandole le priorità da dare alla propria attività”; (c) che quest’ultima, secondo quanto egualmente dichiarato dai testi, “aveva l’obbligo di presenziare agli eventi, di rapportarsi con i responsabili dei vari settori, di essere presente a loro richiesta, di tollerare modifiche o rielaborazioni dei propri comunicati stampa”.

Nè può imputarsi alla Corte territoriale di avere omesso una valutazione complessiva degli elementi riferiti dai testimoni, facendone prevalere una illegittima considerazione “atomistica”, avendo invece di tali elementi sottolineato, volta a volta, i punti di fatto che confermavano l’assoggettamento della lavoratrice alle direttive datoriali per poi comporli in un coerente quadro ricostruttivo.

Il secondo e il terzo motivo del ricorso principale possono esaminarsi congiuntamente, riguardando entrambi l’applicazione nella specie della disciplina di cui al c.d. “collegato lavoro”.

Gli stessi risultano inammissibili e comunque infondati: inammissibili per difetto di una censura specifica, posto che la ricorrente, attribuendo al giudice di merito una pluralità di operazioni di conversione in relazione ai diversi contratti di collaborazione stipulati nel tempo dalle parti, evita di misurarsi con l’affermazione centrale contenuta nel ragionamento della Corte territoriale e cioè che la fattispecie sottoposta al suo esame non ha per oggetto un contratto di lavoro a tempo determinato “bensì un contratto di lavoro a tempo indeterminato, dissimulato sub specie di più contratti di collaborazione autonoma a tempo determinato” (pag. 7, terzultimo capoverso), in linea, d’altra parte, con i fatti allegati e con le conclusioni assunte nel ricorso introduttivo; infondati perchè la normativa introdotta dalla L. n. 183 del 2010, art. 32, commi 5, 6 e art. 7, ha quale campo di applicazione specifico i contratti a termine e quale finalità un equilibrato componimento, che con la sentenza n. 303/2011 ha superato il vaglio di costituzionalità, degli interessi propri del lavoratore (alla conversione del contratto unitamente ad un’indennità) e del datore di lavoro (alla predeterminazione del risarcimento del danno dovuto per il periodo dalla data di interruzione del rapporto a quella dell’accertamento giudiziale), restando ad essa estranea la fattispecie di un rapporto ab origine di lavoro subordinato e a tempo indeterminato, celato (come nel caso in esame) sotto lo schermo ripetuto di una molteplicità di successivi contratti di collaborazione autonoma.

Il ricorso principale dell’Associazione Teatro di Roma deve, pertanto, essere respinto. Con il primo motivo del proprio ricorso incidentale la R.P. denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 416 e 437 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, sul rilievo che la Corte territoriale, nel disporre con la sentenza impugnata la detrazione dell’aliunde perceptum, avrebbe pronunciato in assenza di domanda.

Con il secondo motivo la ricorrente, deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 416 e 437 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, censura la sentenza di secondo grado nella parte in cui ha respinto il capo di domanda volto al pagamento dei ratei di 13ma e 14ma mensilità maturati a far tempo dal 29/9/1994 sulla base delle retribuzioni mensili percepite, e ciò sia per avere la Corte pronunciato ultra petita, sia per non avere la stessa adeguatamente motivato in ordine al fatto che la retribuzione globalmente percepita dalla ricorrente fosse superiore a quella dei minimi contrattuali.

Con il terzo motivo, denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 1453 e 1460 c.c., nonchè degli artt. 1206 e 1207 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, la ricorrente censura la sentenza impugnata per avere disposto la detrazione dell’ottunde perceptum dall’ammontare delle retribuzioni, nonostante che, una volta che il rapporto sia stato ripristinato per effetto dell’ordine del giudice e il lavoratore abbia offerto le proprie energie lavorative, questi abbia diritto all’adempimento del contratto e, quindi, al pagamento delle retribuzioni.

Il primo motivo è inammissibile.

Come più volte precisato da questa Corte, la violazione dell’art. 112 c.p.c., in quanto dà luogo ad un tipico error in procedendo, può essere fatta valere esclusivamente ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4; con la conseguenza che deve ritenersi inammissibile il motivo di ricorso, con il quale tale censura sia proposta come violazione di legge ai sensi dell’art. 360, n. 3, oppure come vizio di motivazione ai sensi del n. 5 dello stesso articolo (cfr. ex multis Cass. 19 gennaio 2007 n. 1196; conforme Cass. n. 22759/2014).

Il secondo motivo di ricorso è, per le stesse ragioni, inammissibile, laddove con esso si lamenta che la Corte territoriale sarebbe incorsa nel vizio di ultrapetizione; mentre è infondato, laddove denuncia, peraltro sommariamente, carenze motivazionali in relazione alla prova dei presupposti in fatto per l’operatività nella specie del c.d. “principio dell’assorbimento”, atteso che la Corte ha correttamente posto a confronto le somme mensilmente percepite dalla lavoratrice con quelle derivanti dall’applicazione dei minimi retributivi previsti dalla contrattazione collettiva, pervenendo alla conclusione che le prime erano con tutta evidenza maggiori delle seconde e valorizzando, a sostegno di essa, anche il comportamento processuale dell’appellante, che non aveva specificamente dedotto che in ogni caso le somme percepite non fossero tali da assorbire completamente le mensilità aggiuntive, nè prodotto un conteggio dal quale desumere l’esistenza di differenze retributive a proprio credito. Anche il terzo motivo risulta infondato.

Al riguardo è sufficiente osservare come, a seguito del rifiuto del datore di lavoro di ricevere (come nella fattispecie in esame) la prestazione che gli sia stata ritualmente offerta, l’obbligo di corrispondere le retribuzioni è sostituito da quello risarcitorio, con conseguente detraibilità da esse, quale ordinaria misura di ristoro del danno, delle somme percepite dal lavoratore in virtù della rioccupazione presso altri datori di lavoro, riducendosi attraverso queste ultime il pregiudizio dal medesimo subito (Cass. 3 marzo 2006 n. 4677).

Ne consegue che anche il ricorso incidentale deve essere respinto.

La soccombenza reciproca giustifica la compensazione per intero fra le parti delle spese del presente giudizio di legittimità.

PQM

La Corte respinge il ricorso principale e il ricorso incidentale; dichiara interamente compensate fra le parti le spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 18 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 7 ottobre 2016

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