Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20208 del 07/10/2016

Cassazione civile sez. lav., 07/10/2016, (ud. 10/05/2016, dep. 07/10/2016), n.20208

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto – Presidente –

Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – rel. Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 16836-2010 proposto da:

B.A., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA MONTE SANTO 2, presso lo studio dell’avvocato FULVIO ROMEO, che

lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato NICOLA BUFFOLI,

giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, C.F.

(OMISSIS), in persona del suo Presidente e legale rappresentante pro

tempore, in proprio e quale mandatario della S.C.C.I. S.P.A. –

Società di Cartolarizzazione dei Crediti I.N.P.S. C.F. (OMISSIS);

– intimata –

Nonchè da:

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, C.F.

(OMISSIS), in persona del suo Presidente e legale rappresentante pro

tempore, in proprio e quale mandatario della S.C.C.I. S.P.A. –

Società di Cartolarizzazione dei Crediti I.N.P.S. C.F. (OMISSIS),

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso

l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentati e difesi dagli

avvocati LELIO MARITATO, ANTONINO SGROI, LUIGI CALIULO, giusta

delega in atti

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

B.A. (OMISSIS);

– intimato –

avverso la sentenza n. 140/2009 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 23/06/2009 R.G.N. 404/08;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/05/2016 dal Consigliere Dott. ADRIANA DORONZO;

udito l’Avvocato Simona CARLONI per delega Avvocato Fulvio ROMEO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso

incidentale e rigetto del ricorso principale.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. A seguito di accertamento ispettivo, il signor B.A. fu iscritto d’ufficio alla “Gestione commercianti” Inps – sede di (OMISSIS) con effetto retroattivo dal (OMISSIS).

2. Il B. propose ricorso al Tribunale di Mantova chiedendo che fosse dichiarata l’illegittimità del verbale di accertamento e disposta la sua cancellazione dalla “Gestione commercianti” perchè già iscritto alla “Gestione separata” ai sensi della L. 8 agosto 1995, n. 335, art. 2, comma 26.

3. Nel giudizio si costituì l’Inps, che in via riconvenzionale chiese la condanna del B. al pagamento dei contributi calcolati con riferimento alla sua posizione di lavoratore autonomo nella Gestione commercianti, oltre alle connesse sanzioni civili.

4. Con separato ricorso il B. propose opposizione alla cartella di pagamento notificata in data 7/2/2008 e del ruolo esecutivo datato 11/12/2007, con i quali gli si giungeva il pagamento della somma di Euro 23.199,05. Anche in questo giudizio si costituì Inps chiedendo il rigetto dell’opposizione.

5. Riuniti due giudizi, il Tribunale dichiarò insussistente l’obbligo contributivo del B. nella gestione commercianti; rigettò la riconvenzionale dell’Inps e dichiarò privo di giuridico effetto la riscossione a mezzo ruolo notificata in data 29/1/2008. Compensò tra le parti le spese del processo.

6. Proposto appello dall’Inps, e in via incidentale anche dal B. limitatamente al capo della sentenza sulle spese, con sentenza depositata in data 23 giugno 2009, la Corte di appello di Brescia ha parzialmente accolto l’appello dell’Inps e ha dichiarato obbligato il B. a corrispondere i contributi previdenziali nella sola cassa commercianti; ha poi dichiarato illegittima la cartella esattoriale opposta. Infine, ha compensato le spese di entrambi i gradi del giudizio.

7. A fondamento della sua decisione, la Corte ha posto il principio in forza del quale la L. n. 662 del 1996, art. 1, comma 208, deve essere interpretato nel senso che introduce una deroga al principio della doppia iscrizione e prevede l’obbligo dell’iscrizione alla gestione degli esercenti commerciali soltanto nei confronti di coloro che svolgono attività di lavoro quale socio d’opera – che nella fattispecie è un’attività commerciale – qualora tale attività sia prevalente rispetto a quella di amministratore o legale rappresentante della società. Ha affermato che nel caso di specie tale prova doveva dirsi raggiunta sulla base delle emergenze istruttorie, sicchè sussisteva l’obbligo del B. di iscriversi alla Gestione commercianti. Quanto all’opposizione alla cartella esattoriale, essa andava accolta in ragione dell’illegittimità della cartella, ai sensi del D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 24 in quanto emessa mentre era pendente l’azione di accertamento negativo.

8. Contro la sentenza il B. propone ricorso per cassazione, sostenuto da tre motivi illustrati da memoria. L’Inps, anche quale mandatario della società di cartolarizzazione dei crediti SCCI s.p.a., resiste con controricorso e spiega ricorso incidentale fondato su un unico articolato motivo.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, sintetizzato in un idoneo quesito di diritto ex art. 366 bis c.p.c., applicabile ratione temporis, il ricorrente denuncia la violazione e/o la falsa applicazione dell’art. 2475 c.c.. Assume che il codice civile non delimita i compiti dell’amministratore di società a responsabilità limitata, avendo questo una funzione gestoria che ricomprende il potere di promuovere l’attività deliberativa dell’assemblea, di dare esecuzione alle decisioni dei soci, di deliberare sugli atti di gestione dell’impresa sociale e di manifestare all’esterno una volontà sociale, agendo in nome e per conto della società, senza possibilità di distinzione tra atti di ordinaria amministrazione e atti di straordinaria amministrazione. Tra tali compiti devono senz’altro ricomprendersi la gestione degli affari e dei contratti sociali, sia nei confronti dei terzi sia nei confronti dei lavoratori subordinati e parasubordinati. La Corte, nel affermare che la gestione dei rapporti contrattuali interni ed esterni rientrava nell’attività di lavoro, ha espressamente escluso tale attività dal potere gestorio o decisionale, così violando il disposto dell’art. 2475 c.c.. Inoltre, con la riforma del diritto societario introdotta con il D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, è stato rimesso all’atto costitutivo della società a responsabilità limitata il compito di determinare “le norme relative al funzionamento della società, indicando quelle concernenti l’amministrazione” ai sensi dell’art. 2463 c.c., comma 2, n. 7. Nella specie, lo statuto della I.C.M. S.r.l. prevedeva che “gli amministratori sono investiti di tutti i poteri di gestione ordinaria e straordinaria della società per l’attuazione dell’oggetto sociale” e che per il conseguimento dell’oggetto sociale la società poteva compiere “tutti gli atti occorrenti, ad esclusivo giudizio dell’organo amministrativo per l’attuazione del medesimo”, tra cui le operazioni commerciali e industriali, finanziarie, bancarie, ipotecarie e immobiliari, di locazione e affitto di azienda, di finanziamento con istituti di credito, banche, società e privati, concedere garanzie reali e personali. In conclusione, l’attività di gestione degli affari e dei contratti sociali effettuata da B. rientrava nell’attività amministrativa volta al raggiungimento dell’oggetto sociale. Al riguardo, invoca la sentenza di questa Corte a Sezioni Unite n. 3240 del 12/2/2010, che ha sancito in modo definitivo il principio dell’inapplicabilità della doppia iscrizione contributiva dell’amministratore.

2. Con il secondo motivo, il ricorrente denuncia l’omessa ed insufficiente motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio, e censura la sentenza nella parte in cui non ha dato rilievo a elementi di fatto e documentali, rilevanti per il giudizio. In particolare, non ha tenuto conto della circostanza che egli dall'(OMISSIS) era stato impegnato quale amministratore unico della società e aveva percepito soltanto il compenso deliberato dall’assemblea in data 30/6/2000; inoltre, risultava dai documenti che egli era il solo ad occuparsi di tutti gli atti necessari al conseguimento dell’oggetto sociale, come previsto dallo statuto. L’affermazione della Corte secondo cui l’attività di lavoro era sicuramente prevalente rispetto a quella amministrativa, omettendo di esaminare gli elementi indicati, configurava il vizio di omessa motivazione. L’insufficienza della motivazione, invece, era riscontrabile nella parziale considerazione dell’unicità del compenso percepito dal ricorrente, nonchè del fatto che egli era il solo ad avere “la rappresentanza generale della società, attiva e passiva, sostanziale e processuale” come previsto nello statuto. Non vi erano peraltro elementi che consentivano alla Corte di affermare che tutti i rapporti contrattuali fossero gestiti dal B., considerato che vi erano nove dipendenti e dieci agenti, sicchè certamente i rapporti contrattuali di vendita al minuto non erano di sua pertinenza. Così come era illogico desumere dall’elevato fatturato prodotto dalla società lo svolgimento di una sua attività lavorativa.

3. Il terzo motivo è incentrato sulla violazione e/o falsa applicazione L. 23 dicembre 1996, n. 662, art. 1, comma 203: si censura la sentenza nella parte in cui ha ritenuto che l’attività di lavoro del B. fosse sicuramente prevalente rispetto a quella amministrativa. In realtà la Corte non ha considerato che la norma richiede la presenza di quattro requisiti per l’iscrizione alla gestione commercianti, ossia a) la titolarità o gestione in proprio di imprese che, a prescindere dal numero dei dipendenti, sono organizzate e/o dirette prevalentemente con il lavoro proprio e dei componenti la famiglia; b) la responsabilità dell’impresa e l’assunzione di tutti gli oneri e i rischi della gestione; c) la partecipazione personale al lavoro aziendale con carattere di abitualità e prevalenza; d) il possesso di licenze, autorizzazioni o iscrizioni, ove previsto da leggi o regolamenti. Nel caso di specie, pertanto, l’accertamento della sola partecipazione personale al lavoro aziendale con carattere di abitualità e prevalenza non era sufficiente.

4. Con il ricorso incidentale l’Inps denuncia la violazione e la falsa applicazione della L. n. 662 del 1996, art. 1, commi 203, 207 e 208: censura la sentenza nella parte in cui ha ritenuto che la norma citata impedisca una duplice iscrizione, senza considerare che la norma è preordinata ad evitare questa duplicità attraverso l’individuazione dell’attività espletata in misura prevalente nel caso esclusivo delle attività assicurabili in diverse gestioni e per le quali viene in rilievo un solo reddito imponibile. Tali gestioni non possono che essere quelle speciali (commercianti, artigiani e coltivatori diretti), in quanto solo nell’ambito delle corrispondenti attività possono configurarsi fattispecie unitarie ma caratterizzate dalla compresenza di elementi cosiddetti “misti”, quindi iscrivibili in teoria presso distinte gestioni, e dalla unicità del reddito.

5. Ragioni logiche impongono di affrontare con priorità l’esame del ricorso incidentale dell’Inps. Esso è inammissibile perchè il motivo non si conclude con la formulazione un apposito quesito di diritto. Ed invero la norma dell’art. 366 bis c.p.c., introdotta dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 6, ed entrata in vigore il 2/3/2006, è stata abrogata dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 47, comma 1, lett. d) entrato in vigore il 4/7/2009. Ai sensi dell’art. 58, comma 5 medesima legge, “le disposizioni di cui all’art. 47 si applicano alle controversie nelle quali il provvedimento impugnato con il ricorso per cassazione è stato pubblicato ovvero, nei casi in cui non sia prevista la pubblicazione, depositato successivamente alla data di entrata in vigore della presente legge”. Poichè il provvedimento impugnato è stato pubblicato, mediante deposito in cancelleria, in data 23 giugno 2009, e dunque in data anteriore al 4/7/2009, il ricorso in esame soggiace alla disciplina dell’art. 366 bis c.p.c., con la conseguente sua inammissibilità.

6. I motivi del ricorso principale, che si affrontano congiuntamente per la connessione che li avvince, sono infondati.

7. Occorre premettere che non è più in discussione, per la dichiarata inammissibilità del ricorso incidentale, la questione dell’obbligo del B. di mantenere l’iscrizione nella gestione separata, perchè la Corte ha ritenuto infondata la relativa pretesa dell’Inps con un’affermazione non investita da un valido motivo di ricorso per cassazione.

8. La presente controversia involge dunque solo la sussistenza dell’obbligo della iscrizione alla gestione commercianti, a cui la Corte ha dato risposta affermativa analizzando l’attività svolta dal B. nella società ICM s.r.l., quale amministratore unico, socio al 50% e socio d’opera, e reputando che quest’ultima attività fosse prevalente rispetto all’attività di amministratore.

9. La questione interpretativa trova il principale riferimento normativo nel D.L. 31 maggio 2010, n. 78, art. 12, comma 11, convertito in legge, con modificazioni, dalla L. 30 luglio 2010, n. 122, art. 1, comma 1, recante misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica. Tale disposizione prevede, con norma dichiaratamente di interpretazione autentica: “La L. 23 dicembre 1996, n. 662, art. 1, comma 208, si interpreta nel senso che le attività autonome, per le quali opera il principio di assoggettamento all’assicurazione prevista per l’attività prevalente, sono quelle esercitate in forma d’impresa dai commercianti, dagli artigiani e dai coltivatori diretti, i quali vengono iscritti in una delle corrispondenti gestioni dell’INPS. Restano, pertanto, esclusi dall’applicazione della L. n. 662 del 1996, art. 1, comma 208, i rapporti di lavoro per i quali è obbligatoriamente prevista l’iscrizione alla gestione previdenziale di cui alla L. 8 agosto 1995, n. 335, alt. 2, comma 26”.

10. La disposizione interpretata prevedeva nel suo primo periodo: “Qualora i soggetti di cui ai precedenti commi esercitino contemporaneamente, anche in un’unica impresa, varie attività autonome assoggettabili a diverse forme di assicurazione obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti, sono iscritti nell’assicurazione prevista per l’attività alla quale gli stessi dedicano personalmente la loro opera professionale in misura prevalente.

11. Le Sezioni unite di questa Corte, con sentenza resa in data 8 agosto 2011, n. 17076, hanno affermato che “il criterio dell’attività prevalente, quale parametro di valutazione per individuare la gestione assicurativa dell’INPS alla quale versare i contributi previdenziali nel caso di svolgimento di plurime attività che, autonomamente considerate, comporterebbero l’iscrizione a diverse gestioni previdenziali, opera per le attività esercitate in forma d’impresa dai commercianti, dagli artigiani e dai coltivatori diretti. Per queste attività vale il criterio (semplificante) dell’attività prevalente per individuare l’unica gestione assicurativa alla quale versare i contributi previdenziali in riferimento anche all’attività non prevalente che, ove esercitata da sola, comporterebbe l’iscrizione in un’altra gestione assicurativa” e ciò con l’assenso dell’INPS che, in ragione del disposto del secondo periodo del medesimo art. 1, comma 208 cit., deve “decidere” sulla iscrizione nell’assicurazione corrispondente all’attività prevalente.

12. Secondo la norma di interpretazione autentica sopra citata, il criterio dell'”attività prevalente” non opera invece – per i rapporti di lavoro quelli a carattere autonomo – per i quali è obbligatoriamente prevista l’iscrizione alla gestione previdenziale di cui alla L. 8 agosto 1995, n. 335, art. 2, comma 26.

13. Questa disposizione ha creato una nuova gestione assicurativa nel complesso sistema della previdenza obbligatoria introducendo l’obbligo assicurativo per i lavoratori autonomi. Ha infatti previsto che a decorrere dal 1 gennaio 1996, sono tenuti all’iscrizione presso una apposita Gestione separata dell’INPS, finalizzata all’estensione dell’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia ed i superstiti, i soggetti che esercitano per professione abituale, ancorchè non esclusiva, attività di lavoro autonomo, di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 49, comma 1 (Testo Unico delle imposte sui redditi), nonchè i titolari di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, di cui all’art. 49, comma 2, lett. a) medesimo testo unico e gli incaricati alla vendita a domicilio di cui alla L. 11 giugno 1971, n. 426, art. 36.

14. La regola espressa dalla norma risultante dalla disposizione interpretata (L. 23 dicembre 1996, n. 662, art. 1, comma 208,) e dalla disposizione di interpretazione autentica (D.L. 31 maggio 2010, n. 78, art. 12, comma 11) è molto chiara: l’esercizio di attività di lavoro autonomo, soggetto a contribuzione nella Gestione separata, che si accompagni all’esercizio di un’attività di impresa commerciale, artigiana o agricola, la quale di per sè comporti l’obbligo dell’iscrizione alla relativa gestione assicurativa presso l’INPS, non fa scattare il criterio dell'”attività prevalente”.

15. In altri termini, per queste attività, non opera il criterio “semplificante” (dell’art. 1, comma 208, cit.) e derogatorio – dell’unificazione della posizione previdenziale in un’unica gestione con una sorta di fictio juris per cui chi è ad un tempo commerciante ed artigiano (o coltivatore diretto), con caratteristiche tali da comportare l’iscrizione alle relative gestioni assicurative, è come se svolgesse un’unica attività d’impresa quella “prevalente” – con la conseguenza che unica è la posizione previdenziale.

16. Al contrario, la regola espressa dalla norma risultante dalla disposizione interpretata e dalla disposizione di interpretazione autentica è quella per la quale il concorso di attività di lavoro autonomo (come amministratore della società), soggetta ex se alla contribuzione nella Gestione separata sui compensi a tale titolo percepiti, e quella di socio lavoratore della società stessa comporta l’obbligo della duplice iscrizione. In tal caso, come in quello in esame, la fattispecie non è quella del contemporaneo esercizio dell’attività di commerciante (comprensivo delle nuove figure previste dalla L. n. 662 del 19%, art. 1, commi 196-197 e 202-202), artigiano o coltivatore diretto, previsto dalla norma suddetta, ma vede un’attività di lavoro autonomo affiancata ad una collaborazione come socio lavoratore nell’impresa, fattispecie quest’ultima per la quale testualmente non opera il criterio dell’attività prevalente”, ma ogni attività segue il suo regime previdenziale (in tal senso Cass. n. 17076/2011).

17. Sono stati così superati i principi espressi dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 3240/2010, invocata dal ricorrente. Cosi come sono stati superati i dubbi di legittimità costituzionale e di compatibilità con l’art. 6 della CEDU sollevati con riferimento alla norma di interpretazione autentica (Corte Cost. n. 15/2012).

18. La sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte è stata poi seguita da altre pronunce (Cass. 1 luglio 2015, n. 13446; Cass., 5 marzo 2013 n. 5444; v. pure Cass., ord. 27 aprile 2016, n. 8303; Cass., 26 febbraio 2016, n. 3835), le quali – partendo dall’esatta premessa secondo cui sussiste l’obbligo di iscrizione e contribuzione sia alla gestione commercianti che a quella separata stante l’autonomia delle posizioni hanno affermato la necessità che per ciascuna di esse ricorrano i presupposti previsti dalla legge, e cioè che si realizzi una “coesistenza” di attività riconducibili, rispettivamente, al commercio e all’amministrazione societaria.

19. La disciplina previgente è stata modificata dalla L. 23 dicembre 1996, n. 662, art. 1, comma 203 che così sostituisce la L. 3 giugno 1975, n. 160, art. 29, comma 1: “L’obbligo di iscrizione nella gestione assicurativa degli esercenti attività commerciali di cui alla L. 22 luglio 1966, n. 613, e successive modificazioni ed integrazioni, sussiste per i soggetti che siano in possesso dei seguenti requisiti: a) siano titolari o gestori in proprio di imprese che, a prescindere dal numero dei dipendenti, siano organizzate e/o dirette prevalentemente con il lavoro proprio e dei componenti la famiglia, ivi compresi i parenti e gli affini entro il terzo grado, ovvero siano familiari coadiutori preposti al punto di vendita; b) abbiano la piena responsabilità dell’impresa ed assumano tutti gli oneri ed i rischi relativi alla sua gestione. Tale requisito non è richiesto per i familiari coadiutori preposti al punto di vendita nonchè per i soci di società a responsabilità limitata; c) partecipino personalmente al lavoro aziendale con carattere di abitualità e prevalenza; d) siano in possesso, ove previsto da leggi o regolamenti, di licenze o autorizzazioni e/o siano iscritti in albi, registri e ruoli”.

20. La iscrizione alla gestione commercianti è quindi obbligatoria ove si realizzino congiuntamente le fattispecie previste dalla legge e cioè: la titolarità o gestione di imprese organizzate e/o dirette in prevalenza con il lavoro proprio e dei propri familiari; la piena responsabilità ed i rischi di gestione (unica eccezione proprio per i soci di s.r.l.); la partecipazione al lavoro aziendale con carattere di abitualità e prevalenza; il possesso, ove richiesto da norme e regolamenti per l’esercizio dell’attività propria, di licenze e qualifiche professionali (in tal senso, Cass., n. 5444/2013, cit.).

21. Ai fini, dunque, di tale ulteriore (rispetto a quello della gestione separata) obbligo contributivo non è richiesta la verifica del requisito della prevalenza (che vale nel solo ambito delle attività autonome inquadrabili nei settori produttivi del commercio, dell’artigianato e dell’agricoltura; vale, cioè, solo al fine di evitare più di una contribuzione nel caso di un soggetto esercente contemporaneamente, anche in un’unica impresa, attività plurime, ma pur sempre tutte “assicurabili” nelle gestioni previste per le attività in parola), bensì quella della sussistenza degli elementi della abitualità e della professionalità della prestazione lavorativa, nonchè degli altri requisiti eventualmente previsti dalle rispettive discipline normative di settore (Cass., 19 gennaio 2016, n. 873). Per il doppio onere occorre, dunque, una “coesistenza” di attività riconducibili, rispettivamente, al commercio e all’amministrazione societaria.

22. La verifica della sussistenza di requisiti di legge per tale “coesistenza” è compito del giudice di merito, fermo restando che l’onere probatorio grava sull’ente previdenziale, tenuto a provare i fatti costitutivi dell’obbligo contributivo (cfr. ex multis Cass., 20 aprile 2002, n. 5763; Cass., 6 novembre 2009, n. 23600).

23. Ai fini di tale valutazione e, quindi, della prova del personale apporto all’attività di impresa con diretta ed abituale ingerenza dell’amministratore nel ciclo produttivo della stessa, possono assumere rilevanza elementi quali la complessità o meno dell’impresa, l’esistenza o meno di dipendenti e/o collaboratori, la loro qualifica e le loro mansioni (così, ad esempio, in presenza di una società di capitali con numerosi dipendenti ed un sistema organizzato di controlli sul personale, la diretta partecipazione al lavoro aziendale dell’amministratore, ancorchè pure socio, non beneficia di elementi presuntivi che diversamente possono sussistere quando si è in presenza di una società con due soli soci, di cui uno amministratore, e senza dipendenti – si veda, per una ipotesi di questo secondo tipo, Cass. 11 luglio 2012, n. 11685).

24. Nella specie, la Corte ha con accertamento di fatto congruo ed esaustivo ritenuto provato il coinvolgimento diretto nel lavoro aziendale del B., riconoscendo il carattere di abitualità e prevalenza dell’attività lavorativa. In particolare, la Corte ha evidenziato le caratteristiche della società, sia sotto il profilo soggettivo che sotto quello oggettivo, rilevando che essa era composta da due soci ciascuno al 50% e che l’altro socio, fratello dell’odierno ricorrente, prestava la sua opera con un contratto progetto. Ha posto in rilievo come, a fronte di un fatturato di oltre 10 milioni di euro all’anno, la società non aveva un dirigente amministrativo, commerciale o di produzione; che tutta l’attività commerciale, con i clienti, banche e fornitori, era gestita personalmente dal ricorrente, il quale conduceva le trattative in vista della stipulazione dei contratti e si occupava delle eventuali contestazioni; sovraintendeva e controllava il lavoro di quattro impiegati e quattro operai, coordinava l’attività di dieci agenti, organizzando riunioni quindicinali, mensili e annuali; manteneva i rapporti con i professionisti di fiducia. Ha posto in evidenza come, su stessa ammissione del ricorrente, tali attività di lavoro lo assorbivano completamente e ha concluso affermando che, accanto alle attività tipiche dell’amministratore unico (come la partecipazione all’assemblea, le attività accessorie conseguenti, la rappresentanza sostanziale processuale della società), la restante attività svolta da B. era tipica di un’attività di lavoro del socio d’opera e che essa era prestata in modo prevalente oltre che abituale.

25.11 giudizio di prevalenza e abitualità dell’attività di lavoro del B. è stato reso dalla Corte sia avuto esplicito riguardo all’attività di mera rappresentanza o di mera decisione delle strategie commerciali, attività quest’ultima ritenuta “non prevalente” rispetto alla prima, sia con riguardo ad altre occupazioni svolte con i medesimi caratteri di abitualità e professionalità, che la corte ha implicitamente escluso laddove ha ritenuto che l’attività di lavoro assorbiva “completamente” il ricorrente.

26. L’accertamento in fatto, nella sua completezza, investe tutti gli elementi che, a norma della L. n. 662 del 1996, art. 1, comma 203, devono concorrere perchè sorga l’obbligo di iscrizione alla gestione commercianti, ivi compresa la gestione e l’organizzazione della società con il lavoro prevalentemente proprio e dei componenti la famiglia, laddove non è mai stato posto in contestazione l’ulteriore requisito costituito dal possesso di licenze o autorizzazioni o iscrizioni.

27. Si è di fronte ad una motivazione certamente esistente (sicchè non sussiste l’omessa motivazione), oltre che sufficiente, dovendosi al riguardo rilevare che la mancata considerazione da parte della Corte territoriale del reddito del B., costituito esclusivamente dai compensi liquidati dalla società quale amministratore, è del tutto irrilevante ai fini della completezza e della logicità della motivazione, incidendo su un fatto privo di decisività nel senso che, quand’anche valutato, non avrebbe condotto con certezza all’accoglimento della tesi del ricorrente: al contrario, proprio da tale elemento può trarsi ulteriore conferma che della abitualità e professionalità dell’attività di lavoro svolta dal B. all’interno della società.

28. Va poi ricordato che è principio acquisito dalla giurisprudenza di legittimità quello secondo cui “La motivazione omessa o insufficiente è configurabile soltanto qualora dal ragionamento del giudice di merito, come risultante dalla sentenza impugnata, emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione, ovvero quando sia evincibile l’obiettiva carenza, nel complesso della medesima sentenza, del procedimento logico che lo ha indotto, sulla base degli elementi acquisiti, al suo convincimento, ma non già quando, invece, vi sia difformità rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte ricorrente sul valore e sul significato dal primo attribuiti agli elementi delibati, risolvendosi, altrimenti, il motivo di ricorso in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento di quest’ultimo tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione” (Cass., Sez. Un., del 25/10/2013, n. 24148). E ancora, “la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al Giudice del merito, il quale nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata” (v. Cass., 13 giugno 2014, n.13485; Cass., 15 luglio 2009, n. 16499; Cass., 5 ottobre 2006, n. 21412; Cass. 15 aprile 2004 n. 7201; Cass. 7 agosto 2003 n. 11933).

29. Le censure mosse alla sentenza impugnata, particolarmente diffuse anche nella memoria ex art. 378 c.p.c., mirano in realtà ad ottenere un nuovo apprezzamento dei fatti, precluso al giudice di legittimità, risolvendosi il motivo di ricorso, ex art. 360 c.p.c., n. 5, in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice di merito e, perciò, in una richiesta diretta all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura e alle finalità del giudizio di cassazione.

30. In definitiva, il ricorso deve essere rigettato. In considerazione della reciproca soccombenza, si reputa di compensare le spese del presente giudizio.

PQM

La corte rigetta il ricorso principale e dichiara inammissibile il ricorso incidentale. Compensa tra le parti le spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 10 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 7 ottobre 2016

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