Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20206 del 25/09/2020

Cassazione civile sez. trib., 25/09/2020, (ud. 25/02/2020, dep. 25/09/2020), n.20206

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello Maria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2434-2013 proposto da:

G.S., in qualità di legale rappresentante della società

IL CAPANNO S.R.L., elettivamente domiciliato in ROMA VIA G. CUBONI N

8, presso lo studio dell’avvocato STEFANO TORALDO, rappresentato e

difeso dall’avvocato GIULIO NEVI;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 98/2012 della COMM.TRIB.REG.SEZ.DIST. di

LATINA, depositata il 19/03/2012;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

25/02/2020 dal Consigliere Dott. MARCELLO MARIA FRACANZANI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La soc. Il Capanno s.r.l. conduce attività di ristorazione ed intrattenimento in provincia di Latina ed era attinta da accertamento per l’anno di imposta 2004 con ripresa a tassazione a fini Iva – Irpeg – Irap per ricavi omessi, costi indeducibili, costi non inerenti e non documentati, come da pcv redatto il 9 luglio 2007. Analoghi avvisi di accertamento venivano notificati per trasparenza ai soci della s.r.l. in proporzione ciascuno alla propria quota di partecipazione al capitale sociale.

Reagivano la società ed i soci, proponendo diverse censure in ordine ai rilievi mossi dagli accertatori quali l’assenza contabile di alimenti che risultano venduti, ovvero una presenza documentata di materie prime insufficiente all’andamento giornaliero del locale, desunto anche tramite il fabbisogno di tovaglioli, da cui ricostruire il numero di pasti somministrati. Ottenevano riscontro dai giudici di primo grado, con decisione poi riformata sull’appello proposto dall’Ufficio.

Avverso la sentenza che la riguarda, ha proposto ricorso per cassazione la società, affidandosi a due articolati motivi, cui replica con tempestivo controricorso l’Avvocatura generale dello Stato.

In prossimità dell’udienza, la parte privata ha depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Vengono proposti due motivi di ricorso.

1. Con il primo motivo si lamenta violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 4 per vizio del procedimento, nella sostanza lamentando che non siano state tenute in conto le controdeduzioni puntuali proposte in secondo grado.

2. Con il secondo motivo si prospetta doglianza ex art. 360 c.p.c., nn. 4 e 5 per vizio del procedimento e per omesso esame “di uno più fatti pacifici tra le parti e risultanti agli atti di causa”, criticando la sentenza per contenere profili non veritieri su circostanze specifiche, richiamate fin dai primi atti difensivi. Si lamenta non esservi stata valutazione critica della sentenza di primo grado, con violazione del divieto di doppia presunzione ed errata applicazione dell’indice di ricambio dei tovaglioli, per non aver considerato le allegazioni di parte contribuente. Sotto altro profilo si critica non evincersi dalla motivazione della sentenza le ragioni che hanno condotto i giudici dell’appello a riformare la sentenza di primo grado, rigettando le ragioni della contribuente, concretando quindi l’omissione di pronuncia; si prospetta anche violazione di legge per falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37 e art. 39, comma 1, lett. d) e art. 40 nonchè D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 per carenza di motivazione dell’accertamento ed ancora violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 4 per non aver indicato i giudici d’appello le ragioni del proprio convincimento.

I motivi possono essere trattati congiuntamente stante la loro connessione.

Giova ricordare che non possono essere riproposti a questa Corte di legittimità profili attinenti al merito o riguardanti accertamenti in fatto che restano ormai preclusi alla sua conoscenza con (esaurirsi dei primi due gradi di giudizio. La deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce infatti al giudice di legittimità non già il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la mera facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, cui in via esclusiva spetta il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, di dare (salvo i casi tassativamente previsti dalla legge) prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti (v. Cass., IV, n. 8718/2005, n. 4842/2006, Cass. V, n. 5583/2011).

Non ricorre vizio di omessa pronuncia su punto decisivo qualora la soluzione negativa di una richiesta di parte sia implicita nella costruzione logico-giuridica della sentenza, incompatibile con la detta domanda (v. Cass., 18/5/1973, n. 1433; Cass., 28/6/1969, n. 2355). Quando cioè la decisione adottata in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte comporti necessariamente il rigetto di quest’ultima, anche se manchi una specifica argomentazione in proposito (v. Cass., 21/10/1972, n. 3190; Cass., 17/3/1971, n. 748; Cass., 23/6/1967, n. 1537). Secondo risalente insegnamento di questa Corte, al giudice di merito non può invero imputarsi di avere omesso l’esplicita confutazione delle tesi non accolte o la particolareggiata disamina degli elementi di giudizio non ritenuti significativi, giacchè nè l’una nè l’altra gli sono richieste, mentre soddisfa l’esigenza di adeguata motivazione che il raggiunto convincimento come nella specie risulti da un esame logico e coerente, non già di tutte le prospettazioni delle parti e le emergenze istruttorie, bensì solo di quelle ritenute di per sè sole idonee e sufficienti a giustificarlo. In altri termini, non si richiede al giudice del merito di dar conto dell’esito dell’avvenuto esame di tutte le prove prodotte o comunque acquisite e di tutte le tesi prospettategli, ma di fornire una motivazione logica ed adeguata dell’adottata decisione, evidenziando le prove ritenute idonee e sufficienti a suffragarla, ovvero la carenza di esse (cfr. Cass. V, n. 5583/2011).

Deve altresì premettersi essere ormai principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte l’affermazione per cui (Cass. VI- 5, n. 9105/2017) ricorre il vizio di omessa o apparente motivazione della sentenza allorquando il giudice di merito ometta ivi di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento. In tali casi la sentenza resta sprovvista in concreto del c.d. “minimo costituzionale” di cui alla nota pronuncia delle Sezioni Unite di questa Corte (Cass. S.U, n. 8053/2014, seguita da Cass. VI – 5, n. 5209/2018). In termini si veda anche quanto stabilito in altro caso (Cass. Sez. L, Sentenza n. 161 del 08/01/2009) nel quale questa Corte ha ritenuto che la sentenza è nulla ai sensi dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, ove risulti del tutto priva dell’esposizione dei motivi sui quali la decisione si fonda ovvero la motivazione sia solo apparente, estrinsecandosi in argomentazioni non idonee a rivelare la ratio decidendi (cfr., recentemente, Cass. V, n. 24313/2018).

Tale non è la gravata sentenza che procede a disamina critica dei diversi apporti probatori, comparando le circostanze puntuali relative ai prodotti ed alimenti (speck/prosciutto – crostacei – farina/pane/pizza), valutando il criterio dei tovaglioli, come ridotto del 20% in via prudenziale. Nè – pertanto, come si è pur già detto – il giudice del merito, che attinga il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili, è tenuto ad un’esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti (ad es.: Cass. 7 gennaio 2009 n. 42; Cass. 17 luglio 2001 n. 9662).

Infine, in tema di divieto di doppia presunzione, occorre ricordare che “….questa Corte ha già avuto modo di chiarire che nel sistema processuale non esiste il divieto delle presunzioni di secondo grado, in quanto lo stesso non è riconducibile nè agli artt. 2729 e 2697 c.c. nè a qualsiasi altra norma e ben potendo il fatto noto, accertato in via presuntiva, costituire la premessa di un’ulteriore presunzione idonea – in quanto a sua volta adeguata a fondare l’accertamento del fatto ignoto (Cass., 01/08/2019, n. 20748). Infatti, la sussistenza nell’ordinamento del cosiddetto “divieto di presunzioni di secondo grado o a catena”, è stata esclusa in quanto: ” a) il principio praesumptum de praesumpto non admittitur (o “divieto di doppie presunzioni” o “divieto di presunzioni di secondo grado o a catena”), spesso tralaticiamente menzionato in varie sentenze, è inesistente, perchè non è riconducibile nè agli evocati artt. 2729 e 2697 c.c. nè a qualsiasi altra norma dell’ordinamento: come è stato più volte e da tempo sottolineato da autorevole dottrina, il fatto noto accertato in base ad una o più presunzioni (anche non legali), purchè “gravi, precise e concordanti”, ai sensi dell’art. 2729 c.c., può legittimamente costituire la premessa di una ulteriore inferenza presuntiva idonea – in quanto, a sua volta adeguata – a fondare l’accertamento del fatto ignoto (Cass. n. 18915, n. 17166, n. 17165, n. 17164, n. 1289, n. 983 del 2015);” (Cass., 16/06/2017, n. 15003, in motivazione, al p. 3).” (Cfr. Cass. V, 16/12/2019, n. 33042).

In conclusione il ricorso è infondato e dell’essere rigettato.

Le spese seguono la regola della soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso, condanna la parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro cinquemilaseicento/00, oltre a spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 25 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 25 settembre 2020

 

 

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