Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20200 del 25/09/2020

Cassazione civile sez. trib., 25/09/2020, (ud. 30/01/2020, dep. 25/09/2020), n.20200

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello Maria – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Paolo – rel. est. Consigliere –

Dott. MALSANO Giulio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

Ca.Cl., rappresentato e difeso, giusta procura speciale

stesa a margine del ricorso, dall’Avv.to Fabio Pace, che ha indicato

recapito PEC, ed elettivamente domiciliato presso il suo studio, al

corso di Porta Romana n. 89/B in Milano;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore, legale

rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, ex lege,

dall’Avvocatura Generale dello Stato, ed elettivamente domiciliata

presso i suoi uffici, alla via dei Portoghesi n. 12 in Roma;

– intimata –

Avverso la sentenza n. 2, pronunciata dalla Commissione Tributaria

Regionale di Milano il 20.12.2011 e pubblicata il 31.1.2012;

ascoltata, in camera di consiglio, la relazione svolta dal

Consigliere Paolo Di Marzio.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Ca.Cl. riceveva l’11.6.2008 l’avviso di accertamento n. (OMISSIS), recante maggiori imposte Irpef, in relazione all’anno 2002, per l’importo di Euro 39.947,00, oltre addizionali e sanzioni, in qualità di socio della Picosoft di Ing. M.C. & C. Snc, essendo stato il suo reddito conseguenziale di partecipazione rettificato in aumento nella misura di Euro 165.747,00.

La società proponeva istanza di accertamento con adesione ed il suo maggior reddito da essa conseguito, in riferimento all’anno 2002, era ridotto dall’originaria cifra di Euro 684.882,00, al definitivo importo di Euro 413.121,00. Ca.Cl., che non aveva opposto in giudizio l’accertamento a lui notificato in relazione al reddito di partecipazione conseguito, e neppure aveva domandato procedersi nelle forme dell’accertamento con adesione in riferimento ai redditi personalmente conseguiti – essendo frattanto divenuto inoppugnabile l’accertamento tributario emesso nei suoi confronti – il 4.12.2008 domandava all’Amministrazione finanziaria, in sede di autotutela, di adeguare il maggior reddito ritenuto accertato nei suoi confronti, quale socio, a quello definito nei confronti della società mediante l’accertamento con adesione. La sua istanza era rigettata dall’Ente impositore con provvedimento di diniego del 19.12.2008 (n. 88505). L’odierno ricorrente ripresentava l’istanza di rettifica in autotutela del reddito conseguenziale accertato nei suoi confronti con atto del 27.1.2009, e l’Amministrazione finanziaria rinnovava il proprio diniego espresso (30.1.2009, prot. 2129). L’Ente impositore notificava al contribuente, inoltre, la cartella di pagamento n. (OMISSIS), conseguenziale alla definitività dell’avviso di accertamento.

Il contribuente impugnava perciò, il 18.2.2009, l’originario accertamento redatto nei suoi confronti, nonchè gli atti di diniego della rettifica in autotutela e (nel corso del giudizio) la cartella esattoriale conseguenziale, innanzi alla Commissione tributaria provinciale di Pavia contestando, in primo luogo, l’affermata inefficacia ex lege dell’avviso di accertamento conseguenziale opposto.

La CTP di Pavia dichiarava inammissibile il ricorso essendo divenuto definitivo, perchè non opposto, l’avviso di accertamento conseguenziale notificato al socio Ca.Cl., rimanendo a tal fine irrilevante l’intervenuta modifica dell’importo dell’accertamento effettuato nei confronti della società.

Il contribuente gravava di appello la decisione adottata dalla CTP innanzi alla Commissione tributaria Regionale della Lombardia. La CTR riteneva dovesse riconoscersi al contribuente di aver ritenuto in buona fede che, in conseguenza della riduzione dei redditi accertati nei confronti della società, l’Ufficio finanziario avrebbe provveduto a ridurre le proprie pretese anche nei suoi confronti, nella qualità di socio. Tuttavia, la condotta dell’Ufficio delle Entrate di Pavia che, sebbene ripetutamente sollecitato a provvedere in autotutela, non ha ridotto la pretesa nei confronti del socio, essendo divenuto definitivo nei suoi confronti l’avviso di accertamento notificatogli, nonostante l’Ufficio delle Entrate di Milano avesse successivamente ridotto la propria pretesa nei confronti della società in sede di accertamento con adesione, non poteva stimarsi illegittima, perchè in sede di autotutela l’Amministrazione gode di ampia discrezionalità. In conseguenza rigettava il ricorso proposto dal contribuente e dichiarava compensate tra le parti le spese di lite.

Avverso la decisione assunta dalla CTR di Milano ha proposto ricorso per cassazione Ca.Cl., affidandosi a sette motivi di gravame. Ha depositato controricorso l’Agenzia delle Entrate. Il contribuente ha pure depositato memoria lamentando, tra l’altro, l’inammissibilità del controricorso depositato dall’Ente impositore, notificato presso indirizzo errato Corso di Porta Romana n. 4, Milano, anzichè corso di Porta Romana n. 89/B – e la censura risulta fondata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. – Con il suo primo motivo di impugnazione, proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, il ricorrente contesta la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 218 del 1997, art. 2, 4, e art. 6, comma 4, del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, degli artt. 3 e 97 Cost., nonchè della L. n. 212 del 2000, art. 10, comma 1, per avere la CTR erroneamente ritenuto legittimo il diniego di autotutela opposto dall’Amministrazione finanziaria “in ragione della asserita relativa riserva discrezionale dell’ufficio e della definitività formale dell’avviso di accertamento” (ric., p.12).

1.2. – Mediante il secondo motivo di gravame, introdotto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, il contribuente censura la decisione della CTR impugnata per essere incorsa nel vizio di “omessa o insufficiente motivazione sul punto controverso decisivo per il giudizio consistente nella sopravvenuta inefficacia dell’avviso di accertamento consequenziale” (ric., p. 22) emesso nei confronti del socio, a seguito della rettifica dell’accertamento emesso nei confronti della società.

1.3. – Con il terzo motivo di impugnazione, proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, il ricorrente critica la violazione o falsa applicazione dell’art. 5 Tuir, D.P.R. n. 600 del 1973, art. 40, comma 2, D.Lgs. n. 218 del 1997, artt. 2, 4 e 6, e art. 53 Cost., in cui è incorsa la CTR per aver omesso di sancire che “l’accertamento del reddito d’impresa costituisca necessariamente una fattispecie unitaria”, con la conseguenza che “il venir meno dell’efficacia dell’atto presupposto”, pertanto dell’originario accertamento del reddito nei confronti della società, “determina il venire meno dell’efficacia dell’atto consequenziale” (ric., p. 27).

1.4. – Mediante il suo quarto motivo di ricorso, introdotto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, il contribuente contesta la decisione della CTR impugnata per essere incorsa nel vizio di “omessa o insufficiente motivazione sul punto controverso decisivo per il giudizio consistente nell’illegittimità dei dinieghi di autotutela” (ric., p. 34).

1.5. – Con il quinto motivo di impugnazione, proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, il ricorrente critica la violazione

o falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 10 e art. 97 Cost., per non avere la CTR “accertato la violazione da parte dell’ufficio dei principi di buona fede nei rapporti tra Amministrazione e contribuente e di capacità contributiva” (ric., p. 37).

1.6. – Mediante il suo sesto motivo di ricorso, introdotto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, il contribuente censura la decisione della CTR impugnata per essere incorsa nel vizio di “contraddittoria motivazione… sul punto decisivo per il giudizio consistente nella buona fede del contribuente e nell’affidamento da egli posto nella legalità dell’azione accertatrice dell’ufficio” (ric., p. 39).

1.7. – Con il settimo motivo di impugnazione, proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, il ricorrente critica la violazione

o falsa applicazione del D.Lgs. n. 472 del 1997, artt. 5 e 16 per avere la CTR ritenuto applicabili nei suoi confronti le sanzioni irrogategli, senza la verifica della ricorrenza dell’elemento soggettivo, e pertanto della colpa del contribuente.

2.1. – 2.4. – Mediante il primo ed il quarto motivo di impugnazione, che possono essere trattati congiuntamente stante la loro stretta connessione, il ricorrente contesta, in relazione ai profili della violazione di legge e del vizio di motivazione, la decisione assunta dalla impugnata Commissione tributaria regionale di Milano per aver ritenuto legittimi i dinieghi di autotutela decisi dall’Amministrazione finanziaria.

La stessa formulazione del primo motivo di impugnazione evidenzia, invero, la contraddittorietà del quarto motivo di gravame introdotto dal contribuente, mediante il quale contesta la omessa o insufficiente motivazione della sentenza impugnata in materia di illegittimità del diniego di autotutela, laddove proprio mediante il primo motivo di ricorso lo stesso contribuente illustra che la motivazione della ritenuta legittimità dei provvedimenti di diniego di autotutela è stata fornita dalla CTR, “in ragione della asserita relativa riserva discrezionale dell’ufficio e della definitività formale dell’avviso di accertamento” (ric., p. 12). La motivazione risulta pertanto presente, ed è pure chiaramente intellegibile, oltrechè fondata, perchè l’emissione del provvedimento di annullamento in autotutela dell’atto impositivo, divenuto definitivo in conseguenza della sua mancata impugnazione da parte del contribuente, è atto discrezionale dell’Amministrazione finanziaria, come ripetutamente confermato da questa Corte, la quale ha recentemente ribadito che “nel processo tributario, il sindacato sull’atto di diniego dell’Amministrazione di procedere ad annullamento del provvedimento impositivo in sede di autotutela può riguardare soltanto eventuali profili di illegittimità del rifiuto, in relazione a ragioni di rilevante interesse generale che giustificano l’esercizio di tale potere, che, come affermato anche dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 181 del 2017, si fonda su valutazioni ampiamente discrezionali e non costituisce uno strumento di tutela dei diritti individuali del contribuente”, Cass. sez. V, 24.8.2018, n. 21146 (conf. Cass. sez. V, 22.2.2018, n. 5332). Invero questa Corte ha pure recentemente ribadito che il sindacato del giudice tributario sul provvedimento di diniego dell’annullamento dell’atto tributario divenuto definitivo è consentito, nei limiti dell’accertamento della ricorrenza di ragioni di rilevante interesse generale dell’Amministrazione finanziaria alla rimozione dell’atto, originarie o sopravvenute; deve invece escludersi che possa essere accolta l’impugnazione dell’atto di diniego proposta dal contribuente il quale contesti vizi dell’atto impositivo che avrebbe potuto far valere, per tutelare i propri interessi, in sede di impugnazione dell’atto, prima che divenisse definitivo, cfr. Cass. sez. V, 26.9.2019, n. 24033. Nel caso di specie il contribuente lamenta la pretesa illegittimità del diniego di autotutela, ma neppure illustra quali siano le ragioni di interesse generale che avrebbero dovuto giustificare l’adozione del provvedimento domandato.

Il primo ed il quarto motivo di ricorso devono pertanto essere respinti.

2.2. – 2.3. – Con il secondo ed il terzo motivo di ricorso il contribuente contesta, in relazione ai profili della violazione di legge e del vizio di motivazione, l’impugnata decisione adottata dalla CTR per non aver ritenuto che la sopravvenuta inefficacia dell’accertamento tributario di un maggior reddito nei confronti di una società di persone, comporta l’inefficacia pure dell’originario accertamento di un maggior reddito conseguenziale in favore del socio.

Invero questa Corte ha già chiarito che “l’annullamento per motivi attinenti al merito della pretesa tributaria dell’avviso di accertamento emesso nei confronti della società, sancito con sentenza passata in giudicato, avendo carattere pregiudicante, spiega i suoi effetti a favore di tutti i soci”, Cass. sez. V, 31.10.2018, n. 27895, confermando il principio espresso in materia analoga affermando che “in tema di contenzioso tributario, nel giudizio avente ad oggetto l’avviso di accertamento relativo al socio di una società di capitali a ristretta base sociale, deve riconoscersi l’efficacia riflessa del giudicato formatosi nel giudizio intercorso tra l’Agenzia delle entrate e la società, con cui sia stata accertata la insussistenza di utili extracontabili della medesima, in quanto detto accertamento negativo rimuove il presupposto da cui dipende il maggior utile da partecipazione conseguito dal socio”, Cass. sez. V, 4.12.2015, n. 24793. Qualora si formi il giudicato in materia di accertamento tributario nei confronti della società di persone, o di capitali avente ristretta partecipazione societaria, pertanto, gli effetti favorevoli della decisione risultano efficaci anche nei confronti dei soci.

Nel caso sottoposto da Ca.Cl. all’esame della Suprema Corte, però, deve evidenziarsi che il risultato favorevole, consistente nella riduzione (e non nell’annullamento) dell’accertamento tributario emesso nei confronti della società, non è stato conseguito per effetto di una sentenza passata in giudicato, bensì mediante una procedura stragiudiziale di accertamento con adesione. Non solo. Il risultato favorevole non è invocato dal socio nell’ambito di un giudizio di impugnazione dell’accertamento conseguenziale di un maggior reddito da lui personalmente conseguito, bensì nel giudizio promosso dalla parte per far valere la pretesa illegittimità del diniego opposto dall’Amministrazione finanziaria circa la domanda di provvedere in autotutela all’adeguamento dell’accertamento emesso nei suoi confronti dal socio rispetto a quello emesso nei confronti della società. Le situazioni risultano pertanto evidentemente diverse. Nel caso in cui l’accertamento tributario nei confronti della società sia sottoposto al vaglio giurisdizionale, infatti, unico scopo della procedura è accertare quale sia il tributo esattamente dovuto, e l’esito del giudizio può farsi valere nel diverso processo che sia stato promosso in relazione all’incremento del reddito del socio dipendente da quello accertato nei confronti della società. Nell’ipotesi dell’accertamento con adesione, diversamente, la finalità della procedura è raggiungere la definizione di una pretesa dell’Amministrazione finanziaria che possa essere condivisa da parte del contribuente, evitandosi il ricorso all’impugnativa giurisdizionale, servendosi anche di strumenti equitativi che importano una riduzione degli importi che sarebbero altrimenti dovuti, ad esempio in materia di sanzioni, ed in tal caso l’ordinamento non ha previsto l’automatica estensione degli effetti dell’accertamento con adesione concordato dalla società in favore dei suoi soci, con riferimento agli accertamenti conseguenziali emessi nei loro confronti. Nulla avrebbe impedito, del resto, al Ca. di domandare anch’egli l’accertamento con adesione a titolo personale, ed anche di proporre l’impugnazione in giudizio dell’accertamento conseguenziale emesso nei suoi confronti, ma non vi ha provveduto.

Anche il secondo ed il terzo motivo di ricorso devono pertanto essere respinti.

2.5. – 2.6. – Mediante il quinto ed il sesto motivo di gravame, legati da connessione e proposti contestando il vizio di motivazione, il contribuente critica la decisione adottata dalla CTR per non aver ritenuto che l’Ente impositore, non rettificando l’accertamento del reddito conseguenziale percepito dal socio, in conseguenza della definizione, in sede di accertamento con adesione di un minor reddito nei confronti di una società di persone, sia incorsa nella violazione dei principi dell’affidamento posto dal ricorrente nella legalità dell’azione accertatrice dell’ufficio, della capacità contributiva, e della buona fede nei rapporti tra l’Amministrazione finanziaria ed il contribuente.

In proposito la pur succinta motivazione redatta dalla impugnata CTR riconosce al contribuente “la buona fede… nel ritenere che l’esito positivo dell’accertamento con adesione con l’Ufficio di Milano (OMISSIS)”, conseguito dalla società, “avesse un riflesso positivo anche con l’Ufficio dell’Agenzia delle Entrate di Pavia”, competente nei suoi confronti, “in buona fede si è convinto che ormai non doveva fare altro” (sent. CTR, p. 3), al fine di conseguire la riduzione dell’accertamento operato nei suoi confronti. La CTR, però, chiarisce che “l’istanza di autotutela è affidata alla discrezionalità dell’Ufficio… non si può non tener presente che il comportamento dell’Ufficio di Pavia è conforme alla legge… lo Statuto del contribuente all’art. 10 afferma che i rapporti tra contribuente e Amministrazione finanziaria sono imputati al principio della collaborazione e della buona fede. Detto statuto non prevede una sanzione nel caso che la buona fede non venga riconosciuta, mentre le norme del contenzioso tributario sono chiare e non ammettono eccezioni” (ibidem). La CTR ha pertanto motivato con chiarezza la decisione assunta. Ora, devono innanzitutto evidenziarsi i limiti dell’impugnazione proposta dal contribuente, che non illustra in quale sede e con quale formula abbia proposto le proprie contestazioni, ad esempio in materia di tutela dell’affidamento, e neppure indica come le abbia diligentemente coltivate, in modo da consentire a questa Corte di legittimità il controllo che le compete in materia di tempestività e congruità delle censure proposte, ancor prima di provvedere a stimarne la decisività; dovendo poi rilevarsi che le contestazioni appaiono pure infondate.

Nel caso di specie, infatti, nè la società di persone ha impugnato l’avviso di accertamento notificatole, nè il contribuente ha proposto ricorso avverso l’accertamento conseguenziale notificatogli in relazione al maggior reddito di partecipazione conseguito. La società ha però aderito all’accertamento con adesione, conseguendo una riduzione della pretesa tributaria nei suoi confronti. Diversamente il contribuente, oltre a non impugnare l’atto impositivo emesso nei suoi confronti, neppure ha proposto la procedura di accertamento con adesione, e l’accertamento tributario ricevuto a titolo personale è divenuto definitivo. La sorte dei due atti impositivi, quello emesso nei confronti della società e quello emanato nei suoi confronti, hanno quindi seguito strade diverse. L’odierno ricorrente ha proposto una prima istanza di rettifica in autotutela dell’accertamento operato nei suoi confronti, che è stata legittimamente respinta dall’Amministrazione finanziaria, nell’esercizio del suo potere discrezionale avverso un atto impositivo ormai definitivo. Il contribuente non ha impugnato questo atto, ma ha preferito proporre un’ulteriore istanza di annullamento in autotutela, che è stata anch’essa respinta. La pretesa del ricorrente, pertanto, è nel senso che possano proporsi ripetute istanze di annullamento in autotutela avverso accertamenti tributari definitivi, e sia poi una libera scelta del contribuente determinarsi ad impugnare l’uno o l’altro dei dinieghi che siano opposti dall’Amministrazione finanziaria. Chiarezza suggerisce allora di indicare il seguente principio di diritto “non è consentito al contribuente proporre ripetute istanze di autotutela avverso accertamenti tributari definitivi, e decidere quale impugnare innanzi al giudice, potendo essere proposto ricorso soltanto avverso il diniego espresso o tacito, a seguito della formazione del silenzio rifiuto, relativo alla prima istanza proposta, e soltanto invocando ragioni di interesse generale all’annullamento dell’accertamento definitivo, che si assume siano state trascurate dall’Amministrazione finanziaria”.

Il quinto ed il sesto motivo di ricorso devono pertanto essere respinti.

2.7. – Mediante il settimo motivo di gravame il contribuente lamenta la mancata considerazione, da parte dell’impugnata CTR, del proprio elemento soggettivo perchè, essendo in buona fede, non avrebbe potuto essere assoggettato al pagamento delle sanzioni.

Invero il contribuente non chiarisce, in un giudizio di natura squisitamente impugnatoria quale è quello di legittimità, in quale sede processuale abbia proposto la sua censura in materia di ricorrenza dell’elemento soggettivo ai fini dell’irrogazione delle sanzioni nei suoi confronti, e tantomeno indica con quali formule l’abbia introdotta, e come l’abbia diligentemente coltivata nelle fasi di merito del giudizio, ed impedisce pertanto a questa Corte di legittimità di verificare la tempestività della censura proposta e la sua congruità e decisività, ed il motivo di ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile.

Il ricorso proposto da Ca.Cl. deve essere pertanto respinto, non essendovi luogo a provvedere in ordine alle spese di lite stante la mancata regolare costituzione dell’intimata Agenzia delle Entrate.

PQM

La Corte rigetta il ricorso proposto da Ca.Cl..

Dà atto della sussistenza di inammissilità D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1 quarter, del versamento da parte del ricorrente del contributo unificato, se dovuto.

Cosi deciso in Roma, il 30 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 25 settembre 2020

 

 

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