Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 202 del 11/01/2021

Cassazione civile sez. III, 11/01/2021, (ud. 23/09/2020, dep. 11/01/2021), n.202

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29171/2019 proposto da:

D.S.A.M., elettivamente domiciliato in ROMA,

presso lo studio dell’avv.to ANDREA VITALE, rappresentato e difeso

dall’avv.to MARA PROVANTINI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO;

– intimato –

avverso il decreto n. 18/2019 della CORTE D’APPELLO DI PERUGIA,

depositato il 25/02/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

23/09/2020 dal Consigliere Dott. MARCO DELL’UTRI.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

con decreto reso in data 25/2/2019, la Corte d’Appello di Perugia ha confermato la decisione con la quale il giudice di primo grado ha rigettato la domanda avanzata da D.S.A.M., cittadino del (OMISSIS), diretta al rilascio dell’autorizzazione al permesso di soggiorno per ragioni familiari, ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 31, essendo il richiedente padre di due minorenni viventi e risiedenti in Italia;

a fondamento della decisione assunta, la corte territoriale ha evidenziato l’insussistenza, ai sensi dell’art. 31, richiamato, di paventabili “gravi danni” a carico della salute psico-fisica dei minori quali conseguenza dell’allontanamento paterno, tenuto altresì conto dei precedenti penali e della condotta complessiva del D.S., di per sè idonea a costituire un concreto pericolo per la sicurezza e l’ordine pubblico dello Stato italiano;

avverso il provvedimento della corte d’appello perugina, D.S.A.M. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di sette motivi di impugnazione;

nessuno intimato ha svolto difese in questa sede.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

con il primo motivo, il ricorrente censura il provvedimento impugnato per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 31, per avere il giudice a quo seguito un’interpretazione illegittimamente restrittiva dei “gravi motivi” relativi alla salute psicofisica dei minori a giustificazione del rilascio del permesso di soggiorno rivendicato;

il motivo è infondato;

osserva il Collegio come, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, i “gravi motivi connessi con lo sviluppo psicofisico” del minore, che consentono la temporanea autorizzazione alla permanenza in Italia del suo familiare, secondo la disciplina prevista dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 31, devono consistere in situazioni oggettivamente gravi, comportanti una seria compromissione dell’equilibrio psicofisico del minore, non altrimenti evitabile se non attraverso il rilascio della misura autorizzativa; la normativa in esame non può quindi essere intesa come volta ad assicurare una generica tutela del diritto alla coesione familiare del minore e dei suoi genitori. Sul richiedente l’autorizzazione incombe, pertanto, l’onere di allegazione della specifica situazione di grave pregiudizio che potrebbe derivare al minore dall’allontanamento del genitore (Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 773 del 16/01/2020, Rv. 656450 01; Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 9391 del 16/04/2018, Rv. 649062 – 01);

nella specie – ferma la mancata specifica allegazione, da parte dell’odierno interessato, della situazione di grave pregiudizio (diversa da quella considerata dal giudice a quo) che potrebbe derivare al minore d’allontanamento del genitore – osserva il Collegio come la corte d’appello abbia correttamente evidenziato, sulla scorta delle analisi di carattere psicologico-cliniche richiamate in motivazione, l’effettiva insussistenza di alcun grave danno prefigurabile, ai danni dei minori, a seguito dell’allontanamento del padre, in considerazione della buona rete familiare costruita attorno agli stessi, giudicata idonea a sostenerne, con ragionevole adeguatezza, il percorso di crescita psicofisica, a fronte, per converso, dei concreti rischi di pericolosità sociale connessi alla permanenza dell’odierno ricorrente sul territorio italiano, in considerazione dei gravi precedenti connessi allo spaccio di stupefacenti e alle frequentazioni con persona gravata da numerosissimi delitti e sottoposta a plurime misure di prevenzione e alla sorveglianza speciale di polizia;

si tratta di valutazioni di natura interpretativa pienamente coerenti con il significato della “clausola generale” riferita ai “gravi motivi” contenuta nel testo di legge interpretato, di per sè, insuscettibili di integrarne l’ipotesi della falsa applicazione infondatamente denunciata dall’odierno ricorrente;

con il secondo e il settimo motivo, il ricorrente censura il provvedimento impugnato per violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, per avere il giudice a quo dettato una motivazione irriducibilmente contraddittoria a sostegno della propria decisione, astenendosi dall’effettuare alcun giudizio prognostico sui presumibili danni allo sviluppo psicofisico dei figli minorenni dell’interessato, e per avere contraddittoriamente affermato l’esistenza di un buon rapporto del ricorrente con i propri figli, prospettando, di seguito, l’ipotesi di un “mero disagio” a carico di quelli in considerazione dell’allontanamento paterno;

il motivo è infondato;

al riguardo, osserva il Collegio come, ai sensi dell’art. 132 c.p.c., n. 4, il difetto del requisito della motivazione si configuri, alternativamente, nel caso in cui la stessa manchi integralmente come parte del documento/sentenza (nel senso che alla premessa dell’oggetto del decidere, siccome risultante dallo svolgimento processuale, segua l’enunciazione della decisione senza alcuna argomentazione), ovvero nei casi in cui la motivazione, pur formalmente comparendo come parte del documento, risulti articolata in termini talmente contraddittori o incongrui da non consentire in nessun modo di individuarla, ossia di riconoscerla alla stregua della corrispondente giustificazione del decisum;

infatti, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, la mancanza di motivazione, quale causa di nullità della sentenza, va apprezzata, tanto nei casi di sua radicale carenza, quanto nelle evenienze in cui la stessa si dipani in forme del tutto inidonee a rivelare la ratio decidendi posta a fondamento dell’atto, poichè intessuta di argomentazioni fra loro logicamente inconciliabili, perplesse od obiettivamente incomprensibili;

in ogni caso, si richiede che tali vizi emergano dal testo del provvedimento, restando esclusa la rilevanza di un’eventuale verifica condotta sulla sufficienza della motivazione medesima rispetto ai contenuti delle risultanze probatorie (ex plurimis, Sez. 3, Sentenza n. 20112 del 18/09/2009, Rv. 609353 – 01);

ciò posto, nel caso di specie, è appena il caso di rilevare come la motivazione dettata dalla corte territoriale a fondamento della decisione impugnata sia, non solo esistente, bensì anche articolata in modo tale da permettere di ricostruirne e comprenderne agevolmente il percorso logico, avendo la corte d’appello dato conto, in termini lineari e logicamente coerenti, dei contenuti ascrivibili alle fonti di prova esaminate e del grado della relativa attendibilità sulla base di criteri interpretativi e valutativi dotati di piena ragionevolezza e congruità logica;

l’iter argomentativo compendiato dal giudice a quo sulla base di tali premesse è pertanto valso a integrare gli estremi di un discorso giustificativo logicamente lineare e comprensibile, elaborato nel pieno rispetto dei canoni di correttezza giuridica e di congruità logica, come tale del tutto idoneo a sottrarsi alle censure in questa sede illustrate dal ricorrente;

con il terzo motivo, il ricorrente censura il provvedimento impugnato per violazione dell’art. 116 c.p.c. e D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 31, per avere il giudice a quo erroneamente interpretato il valore probatorio delle valutazioni psicologico-cliniche effettuate dalla Dottoressa M. sui minori;

il motivo è inammissibile;

osserva al riguardo il Collegio come, in tema di ricorso per cassazione, la violazione dell’art. 116 c.p.c. (norma che sancisce il principio della libera valutazione delle prove, salva diversa previsione legale) è idonea ad integrare il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 4, solo quando il giudice di merito disattenda tale principio in assenza di una deroga normativamente prevista, ovvero, all’opposto, valuti secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza probatoria soggetta ad un diverso regime) (Sez. 3, Sentenza n. 11892 del 10/06/2016, Rv. 640193 – 01);

peraltro, il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (che attribuisce rilievo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo per il giudizio), nè in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’art. 132 c.p.c., n. 4 – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante (Sez. 3, Sentenza n. 11892 del 10/06/2016, Rv. 640194 – 01);

nella specie, il ricorrente, lungi dal denunciare il mancato rispetto, da parte del giudice a quo, del principio del libero apprezzamento delle prove (ovvero del vincolo di apprezzamento imposto da una fonte di prova legale), – ovvero lungi dall’evidenziare l’omesso esame, da parte del giudice a quo, di uno specifico fatto decisivo idoneo a disarticolare, in termini determinanti, l’esito della scelta decisoria adottata o un vizio costituzionalmente rilevante della motivazione (entro lo schema di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5) – si è limitato a denunciare un (pretesa) cattivo esercizio, da parte della corte territoriale, del potere di apprezzamento del fatto sulla base delle prove selezionate, spingendosi a prospettare una diversa lettura nel merito dei fatti di causa, in coerenza ai tratti di un’operazione critica del tutto inammissibile in questa sede di legittimità;

con il quarto motivo, il ricorrente censura il provvedimento impugnato per violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, anche in relazione agli artt. 9 e segg. della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo, per avere il giudice a quo illegittimamente affermato la mancata dimostrazione di particolari ragioni idonee a giustificare un interesse dei minori a vivere in Italia, se non quello generico al mantenimento delle relazioni scolastiche e amicali instaurate;

il motivo è inammissibile;

osserva il Collegio come il ricorrente abbia prospettato il vizio in esame senza cogliere in modo specifico la ratio individuata dal giudice a quo a sostegno della decisione assunta;

sul punto, varrà richiamare il principio, consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, ai sensi del quale, il motivo d’impugnazione è rappresentato dall’enunciazione, secondo lo schema normativo con cui il mezzo è regolato dal legislatore, della o delle ragioni per le quali, secondo chi esercita il diritto d’impugnazione, la decisione è erronea, con la conseguenza che, siccome per denunciare un errore occorre identificarlo (e, quindi, fornirne la rappresentazione), l’esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si concretino in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata, le quali, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere, dovendosi, dunque, il motivo che non rispetti tale requisito, considerarsi nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo. In riferimento al ricorso per Cassazione tale nullità, risolvendosi nella proposizione di un “non motivo”, è espressamente sanzionata con l’inammissibilità ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 4 (Sez. 3, Sentenza n. 359 del 11/01/2005, Rv. 579564 – 01);

nella specie, avendo la corte territoriale disatteso la domanda dell’odierno ricorrente sul presupposto dell’insussistenza di gravi motivi connessi all’allontanamento del padre dai figli minori, e della correlativa prevalenza del pericolo, per la sicurezza dello Stato, della permanenza dello stesso sul territorio italiano, nel proporre la questione della illegittimità dell’affermazione, fatta propria dal giudice a quo, della mancata dimostrazione di particolari ragioni idonee a giustificare un interesse dei minori a vivere in Italia (se non quello generico al mantenimento delle relazioni scolastiche e amicali instaurate), dimostra di non essersi confrontato con le ragioni essenziali della decisione impugnata, essendosi inammissibilmente limitato a estrapolare l’argomento denunciato dal complessivo contesto della decisione, diretta a comprovare l’insussistenza di “gravi motivi” connessi all’allontanamento del padre dei figli minori;

con il quinto motivo il ricorrente censura il provvedimento impugnato per omesso esame di fatti decisivi controversi, per avere il giudice a quo trascurato la circostanza costituita dall’essere, il richiedente, coniugato con cittadina italiana e per essere lo stesso padre di due minori entrambi cittadini italiani, e come tale non espellibile, ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, comma 2, lett. c) e dunque titolare del diritto al rilascio del permesso di soggiorno per motivi familiari ai sensi dell’art. 28 reg. t.u. immigrazione approvato con il D.P.R. n. 394 del 1999;

il motivo è inammissibile;

osserva il Collegio come, ferma l’inammissibile novità della circostanza dedotta con il motivo in esame (non avendo il ricorrente allegato la documentazione necessaria ad attestarne l’avvenuta introduzione nelle precedenti fasi del giudizio), i fatti (pretesamente decisivi) qui indicati non risultino in alcun modo riferibili al contenuto della domanda originariamente proposta in questa sede, essendo stata detta domanda sin dall’origine specificamente diretta al rilascio dell’autorizzazione al conseguimento del permesso di soggiorno di cui all’art. 31 del T.U. immigrazione, e non già all’accertamento della diversa ed eventuale circostanza della non espellibilità del ricorrente dal territorio italiano: condizione o prerogativa personale, quest’ultima, del tutto diversa da quella posta a oggetto dell’odierno giudizio;

con il sesto motivo il ricorrente censura il provvedimento impugnato per omesso esame di fatti decisivi controversi, per avere il giudice a quo omesso di considerare che i figli minori sono di cittadinanza italiana e per aver trascurato i possibili gravi danni agli stessi derivabili dall’allontanamento paterno;

il motivo è infondato;

sul punto, osserva il Collegio come al caso di specie (relativo all’impugnazione di una sentenza pubblicata dopo la data del 11/9/12) trovi applicazione il nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5 (quale risultante dalla formulazione del D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 1, lett. b), conv., con modif., con la L. n. 134 del 2012), ai sensi del quale la sentenza è impugnabile con ricorso per cassazione “per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”;

secondo l’interpretazione consolidatasi nella giurisprudenza di legittimità, tale norma, se da un lato ha definitivamente limitato il sindacato del giudice di legittimità ai soli casi d’inesistenza della motivazione in sè (ossia alla mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, alla motivazione apparente, al contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili o alla motivazione perplessa e obiettivamente incomprensibile), dall’altro chiama la corte di cassazione a verificare l’eventuale omesso esame, da parte del giudice a quo, di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza (rilevanza del dato testuale) o dagli atti processuali (rilevanza anche del dato extratestuale), che abbia costituito oggetto di discussione e abbia carattere decisivo (cioè che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia), rimanendo escluso che l’omesso esame di elementi istruttori, in quanto tale, integri la fattispecie prevista dalla norma, là dove il fatto storico rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti (cfr. Cass. Sez. Un., 22/9/2014, n. 19881; Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830);

ciò posto, l’odierna doglianza del ricorrente deve ritenersi infondata, siccome diretta a censurare, non già l’omissione rilevante ai fini dell’art. 360, n. 5 cit., bensì l’errata valutazione, da parte del giudice a quo, di fatti effettivamente considerati o comunque non decisivi, con la conseguente radicale insussistenza dell’omissione denunciata;

sulla base delle considerazioni complessivamente richiamate, rilevata la complessiva infondatezza delle censure esaminate, deve essere pronunciato il rigetto del ricorso;

non vi è luogo per l’adozione di alcuna statuizione in ordine alla regolazione delle spese del presente giudizio, non avendo alcun intimato svolto difese in questa sede;

dev’essere viceversa attestata (ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater) la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

PQM

Rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 23 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 11 gennaio 2021

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