Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20199 del 03/10/2011

Cassazione civile sez. lav., 03/10/2011, (ud. 22/09/2011, dep. 03/10/2011), n.20199

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LAMORGESE Antonio – Presidente –

Dott. DI CERBO Vincenzo – rel. Consigliere –

Dott. NOBILE Vittorio – Consigliere –

Dott. MAMMONE Giovanni – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 23301/2007 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso

lo studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, rappresentato e difeso

dall’avvocato PANNONE Ottavio, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

F.M.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 4434/2006 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 15/09/2006 R.G.N. 6566/05;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

22/09/2011 dal Consigliere Dott. VINCENZO DI CERBO;

udito l’Avvocato ANNA BUTTAFOCO per delega OTTAVIO PANNONE;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

La Corte:

Fatto

RILEVATO IN FATTO E DIRITTO

che:

1. la Corte d’appello di Roma, in parziale riforma della sentenza di prime cure, ha dichiarato l’illegittimità del termine apposto al contratto di lavoro con decorrenza 1 marzo 2000 stipulato da Poste Italiane s.p.a. con F.M.;

2. per la cassazione di tale sentenza Poste Italiane s.p.a. ha proposto ricorso; la lavoratrice è rimasta intimata;

3. il Collegio ha disposto che sia adottata una motivazione semplificata;

4. con i primi due motivi la società ricorrente censura (denunciando violazione dell’art. 1372 c.c., comma 1, artt. 1175, 1375, 2697, 1427 e 1431 cod. civ. e vizio di motivazione) la statuizione della sentenza impugnata che ha rigettato l’eccezione di risoluzione del rapporto per mutuo consenso;

le censure sono infondate; secondo l’insegnamento di questa Suprema Corte (cfr., in particolare, Cass. 17 dicembre 2004 n. 23554) nel giudizio instaurato ai fini del riconoscimento della sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato (sul presupposto dell’illegittima apposizione al relativo contratto di un termine finale ormai scaduto) per la configurabilità di una risoluzione del rapporto per mutuo consenso è necessario che sia accertata – sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto a termine, nonchè alla stregua delle modalità di tale conclusione, del comportamento tenuto dalla parti e di eventuali circostanze significative – una chiara e certa comune volontà delle parti medesime di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo; la valutazione del significato e della portata del complesso di tali elementi di fatto compete al giudice di merito, le cui conclusioni non sono censurabili in sede di legittimità se non sussistono vizi logici o errori di diritto; nel caso in esame la Corte di merito ha ritenuto che la mera inerzia del lavoratore dopo la scadenza del contratto non fosse sufficiente, stante la sua durata, e in mancanza di ulteriori elementi di valutazione, a far ritenere la sussistenza dei presupposti della risoluzione del rapporto per mutuo consenso e tale conclusione in quanto priva di vizi logici o errori di diritto resiste alle censure mosse in ricorso;

5. quanto alla statuizione concernente l’illegittimità del termine osserva il Collegio che la Corte di merito ha attribuito rilievo decisivo ai fini della statuizione sull’illegittimità del termine, tra l’altro, alla considerazione che il contratto in esame è stato stipulato, per esigenze eccezionali … – ai sensi dell’art. 8 del c.c.n.l. 26 novembre 1994, come integrato dall’accordo aziendale 25 settembre 1997 – in data successiva al 30 aprile 1998;

tale considerazione – in base all’indirizzo ormai consolidato in materia dettato da questa Corte (con riferimento al sistema vigente anteriormente al c.c.n.l. del 2001 ed al D.Lgs. n. 368 del 2001) – è sufficiente a sostenere l’impugnata decisione in relazione alla statuizione concernente la nullità del termine apposto al contratto de quo, statuizione censurata con il terzo, quarto e quinto motivo di ricorso;

al riguardo, sulla scia di Cass. S.U. 2 marzo 2006 n. 4588, è stato precisato che l’attribuzione alla contrattazione collettiva, della L. n. 56 del 1987, ex art. 23, del potere di definire nuovi casi di assunzione a termine rispetto a quelli previsti dalla L. n. 230 del 1962, discende dall’intento del legislatore di considerare l’esame congiunto delle parti sociali sulle necessità del mercato del lavoro idonea garanzia per i lavoratori ed efficace salvaguardia per i loro diritti (con l’unico limite della predeterminazione della percentuale di lavoratori da assumere a termine rispetto a quelli impiegati a tempo indeterminato) e prescinde, pertanto, dalla necessità di individuare ipotesi specifiche di collegamento fra contratti ed esigenze aziendali o di riferirsi a condizioni oggettive di lavoro o soggettive dei lavoratori ovvero di fissare contrattualmente limiti temporali all’autorizzazione data al datore di lavoro di procedere ad assunzioni a tempo determinato” (cfr. Cass. 4 agosto 2008 n. 21063;

cfr. altresì Cass. 20 aprile 2006 n. 9245, Cass. 7 marzo 2005 n. 4862, Cass. 26 luglio 2004 n. 14011). “Ne risulta, quindi, una sorta di “delega in bianco” a favore dei contratti collettivi e dei sindacati che ne sono destinatari, non essendo questi vincolati all’individuazione di ipotesi comunque omologhe a quelle previste dalla legge, ma dovendo operare sul medesimo piano della disciplina generale in materia ed inserendosi nel sistema da questa delineato” (cfr., fra le altre, Cass. 4 agosto 2008 n. 21062, Cass. 23 agosto 2006 n. 18378); in tale quadro, ove però, come nel caso di specie, un limite temporale sia stato previsto dalle parti collettive (anche con accordi integrativi del contratto collettivo) la sua inosservanza determina la nullità della clausola di apposizione del termine (v.

fra le altre Cass. 23 agosto 2006 n. 18383, Cass. 14 aprile 2005 n. 7745, Cass. 14 febbraio 2004 n. 2866); in particolare, quindi, come questa Corte ha univocamente affermato e come va anche qui ribadito, “in materia di assunzioni a termine di dipendenti postali, con l’accordo sindacale del 25 settembre 1997, integrativo dell’art. 8 del c.c.n.l. 26 novembre 1994, e con il successivo accordo attuativo, sottoscritto in data 16 gennaio 1998, le parti hanno convenuto di riconoscere la sussistenza della situazione straordinaria, relativa alla trasformazione giuridica dell’ente ed alla conseguente ristrutturazione aziendale e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso di attuazione, fino alla data del 30 aprile 1998; ne consegue che deve escludersi la legittimità delle assunzioni a termine cadute dopo il 30 aprile 1998, per carenza del presupposto normativo derogatorio, con l’ulteriore conseguenza della trasformazione degli stessi contratti in contratti a tempo indeterminato, in forza della L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1” (v., fra le altre, Cass. 1 ottobre 2007 n. 20608; Cass. 28 novembre 2008 n. 28450; Cass. 4 agosto 2008 n. 21062; Cass. 27 marzo 2008 n. 7979, Cass. 18378/2006 cit.);

6. il ricorso deve essere in definitiva rigettato;

7. con riferimento al problema dell’applicazione dello ius superveniens, rappresentato dalla L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32, commi 5, 6 e 7, in vigore dal 24 novembre 2010, e cioè della possibilità di ricomprendere tra i giudizi pendenti ai quali fa riferimento il citato comma 7 anche il giudizio di cassazione, va premesso, in via di principio, che costituisce condizione necessaria per poter applicare nel giudizio di legittimità lo ius superveniens che abbia introdotto, con efficacia retroattiva, una nuova disciplina del rapporto controverso, il fatto che quest’ultima sia in qualche modo pertinente rispetto alle questioni oggetto di censura nel ricorso, in ragione della natura del controllo di legittimità, il cui perimetro è limitato dagli specifici motivi di ricorso (cfr.

Cass. 8 maggio 2006 n. 10547, Cass. 27 febbraio 2004 n. 4070); tale condizione non sussiste nella fattispecie ove si consideri che non è stata avanzata alcuna altra censura che riguardi in qualche modo le conseguenze economiche della dichiarazione di nullità della clausola appositiva del termine (del resto la sentenza impugnata aveva rigettato espressamente qualsiasi pretesa risarcitoria);

8. nulla deve essere disposto in materia di spese legali concernenti il giudizio di cassazione atteso il mancato svolgimento di attività processuale da parte della lavoratrice, rimasta intimata.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; nulla spese.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 22 settembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 3 ottobre 2011

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