Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20198 del 18/08/2017
Cassazione civile, sez. lav., 18/08/2017, (ud. 28/04/2017, dep.18/08/2017), n. 20198
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. AMOROSO Giovanni – Presidente –
Dott. CURCIO Laura – Consigliere –
Dott. MANNA Antonio – Consigliere –
Dott. BALESTRIERI Federico – rel. Consigliere –
Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 29549-2011 proposto da:
POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. (OMISSIS), in persona del legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA VIALE
MAZZINI 134, presso lo studio dell’avvocato LUIGI FIORILLO, che la
rappresenta e difende, giusta delega in atti;
– ricorrente –
contro
D.M.Y. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA,
VIA NAPOLEONE III, 28, presso lo studio dell’avvocato DANIELE LEPPE,
rappresentata e difesa dall’avvocato SERGIO BELLOTTI, giusta delega
in atti;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 8349/2010 della CORTE D’APPELLO di ROMA,
depositata il 01/12/2010 R.G.N. 10659/2006.
Fatto
RILEVATO IN FATTO
Che la Corte d’appello di Roma, con sentenza depositata il 1 dicembre 2010, dichiarava l’illegittimità del termine apposto al primo contratto di lavoro stipulato da Poste Italiane s.p.a. c.D.M.Y. il 17.1.05, ai sensi del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1 con la seguente causale: “ragioni di carattere sostitutivo correlate alla specifica esigenza di provvedere alla sostituzione del personale addetto al servizio di recapito, smistamento e trasporto presso il Polo Corrispondenza Lazio, assente con diritto alla conservazione del posto nel periodo dal 16.1.04 al 13.3.04”, dichiarando sussistente tra le parti un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato a partire dal 17.1.05, con condanna della società Poste al pagamento delle retribuzioni maturate dalla costituzione in mora.
Che per la cassazione di tale sentenza Poste Italiane s.p.a. ha proposto ricorso affidato a quattro motivi; resiste la D.M. con controricorso, poi illustrato con memoria.
Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO
Che la Corte territoriale, premesso che a norma del citato D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, le ragioni di carattere sostitutivo devono basarsi su specifiche esigenze intrinsecamente temporanee, ha ritenuto che nella specie difettasse, nel contratto di assunzione a termine, l’indicazione di tali specifiche causali e comunque la prova del nesso causale tra tali esigenze e l’assunzione della lavoratrice a termine.
Che la statuizione concernente l’illegittimità del termine è stata censurata dalla società ricorrente con quattro motivi nei quali vengono denunciati violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., artt. 115 e 116 c.p.c., oltre ad insufficiente e contraddittoria motivazione; dell’art. 12 preleggi, art. 1419 c.c., D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1 e artt. 115,253,420 e 421 c.p.c.; ed infine degli artt. 1206,1207,1219,2094 e 2697 c.c.. La società deduce in particolare che avrebbe errato la Corte territoriale nell’affermare, con riferimento alle realtà aziendali complesse, la non specificità delle clausole di assunzione sopra riportate, ed a ritenere non provato il nesso causale tra le ragioni indicate in contratto e la singola assunzione.
Che il primo motivo di ricorso (riguardando il terzo le conseguenze ripristinatorie del rapporto, il quarto le conseguenze patrimoniali dell’accertata illegittimità del contratto, ivi compresa l’applicabilità dello ius supervenienens costituito dalla L. n. 183 del 2010, art. 32), pur teoricamente fondato -posto che questa Corte di legittimità ha affermato (cfr., in particolare, Cass. 26 gennaio 2010 n. 1577 e Cass. 26 gennaio 2010 n. 1576, Cass. 25 settembre 2014 n. 20227) che, in tema di assunzione a termine di lavoratori subordinati per ragioni di carattere sostitutivo, nelle situazioni aziendali complesse, in cui la sostituzione non è riferita ad una singola persona, ma ad una funzione produttiva specifica, occasionalmente scoperta, l’apposizione del termine deve considerarsi legittima se l’enunciazione dell’esigenza di sostituire lavoratori assenti, da sola insufficiente ad assolvere l’onere di specificazione delle ragioni stesse, risulti integrata dall’indicazione di elementi ulteriori (quali l’ambito territoriale di riferimento, il luogo della prestazione lavorativa, le mansioni dei lavoratori da sostituire, il loro diritto alla conservazione del posto di lavoro) che consentano di determinare il numero dei lavoratori da sostituire, ancorchè non identificati nominativamente- non è idoneo a comportare la cassazione della sentenza impugnata, restando fermo, in ogni caso, l’accertato difetto di prova del nesso tra la causale di assunzione e la posizione lavorativa assegnata alla dipendente.
Che nella specie la ricorrente lamenta, col secondo motivo, di aver chiesto di provare tale ultima circostanza e tuttavia il relativo capitolo di prova (inammissibilmente neppure riprodotto in ricorso, Cass. n. 9748/10) è stato ritenuto dalla sentenza impugnata generico, e la società Poste non censura adeguatamente tale accertamento, del resto rimesso al prudente apprezzamento del giudice di merito (cfr. ex anis, Cass. n. 2201/07).
Che non vi è dunque spazio per l’esercizio dei poteri ufficiosi, invocati da Poste, ciò presupponendo un valido quadro probatorio tempestivamente delineato dalle parti, senza che il giudice possa porre rimedio ad una totale carenza di efficace allegazione sui fatti costitutivi della domanda o dell’eccezione, potendo soltanto supplire ad eventuali lacune delle risultanze di causa ai fini dell’accertamento della verità materiale (cfr. al riguardo: Cass. Sez. Un. 20 aprile 2005 n. 8202, cui adde, ex plurimis: Cass. 26 maggio 2010 n. 12847; Cass. 2 febbraio 2009 n. 2577; Cass. 12 maggio 2006 n. 11039).
Che anche il terzo motivo (inerente le conseguenze ripristinatorie del rapporto) risulta infondato in base al monolitico orientamento di questa Corte (a cominciare da Cass. n. 12985/08 e successiva conforme giurisprudenza).
Che risultando infondati i suddetti motivi, resta da esaminare l’ultimo, con cui la ricorrente Poste si duole delle conseguenze economiche stabilite a suo carico dalla sentenza impugnata, invocando in particolare lo ius superveniens, costituito dalla L. n. 183 del 2010, art. 32.
Che la censura è fondata, avendo la L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5, stabilito che “Nei casi di conversione del contratto a tempo determinato, il giudice condanna il datore di lavoro al risarcimento del lavoratore stabilendo un’indennità onnicomprensiva nella misura compresa tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo ai criteri indicati nella L. 15 luglio 1966, n. 604, art. 8”.
Che la L. n. 92 del 2012, all’art. 1 comma 13, con chiara norma di interpretazione autentica ha poi disposto: “La disposizione di cui alla L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32, comma 5, si interpreta nel senso che l’indennità ivi prevista ristora per intero il pregiudizio subito dal lavoratore, comprese le conseguenze retributive e contributive relative al periodo compreso fra la scadenza del termine e la pronuncia del provvedimento con il quale il giudice abbia ordinato la ricostituzione del rapporto di lavoro”.
Che le S.U. di questa Corte (sent. n. 21691/2016) hanno stabilito che tale disciplina si applica anche ai giudizi in corso, quale che sia l’epoca della sentenza impugnata e del ricorso per cassazione, salvo il limite del giudicato, nella specie insussistente.
Che per tali ragioni la sentenza impugnata va cassata in ordine alla determinazione della misura risarcitoria, con rinvio ad altro giudice per la sua quantificazione alla luce del predetto L. n. 183 del 2010, art. 32, per il periodo compreso tra la scadenza del termine e la sentenza che ha ordinato la ricostituzione del rapporto (cfr. Cass. n. 14461/15), con interessi e rivalutazione a decorrere dalla detta pronuncia (cfr. Cass. n. 3062/16), oltre che per la determinazione delle spese, comprese quelle di cui al presente giudizio di legittimità.
PQM
La Corte accoglie il quarto motivo di ricorso, nei sensi di cui in motivazione, e rigetta i restanti; cassa la sentenza impugnata in relazione alla censura accolta e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 28 aprile 2017.
Depositato in Cancelleria il 18 agosto 2017