Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20196 del 03/10/2011

Cassazione civile sez. lav., 03/10/2011, (ud. 14/07/2011, dep. 03/10/2011), n.20196

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Presidente –

Dott. LA TERZA Maura – Consigliere –

Dott. BANDINI Gianfranco – rel. Consigliere –

Dott. FILABOZZI Antonio – Consigliere –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 21215/2007 proposto da:

LANIFICIO ANGELICO S.R.L., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PACUVIO 34, presso lo

studio dell’avvocato ROMANELLI Guido, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato FROJO CARLO, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

F.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA TACITO 50,

presso lo studio dell’avvocato COSSU Bruno, che lo rappresenta e

difende, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 412/2007 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 09/05/2007 R.G.N. 1688/06;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

14/07/2011 dal Consigliere Dott. GIANFRANCO BANDINI;

udito l’Avvocato ROMANELLI GUIDO;

udito l’Avvocato BOMBOI SAVINA per delega COSSU BRUNO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GAETA Pietro, che ha concluso per il rigetto del ricorso in quanto

infondato.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso al Tribunale di Biella F.G. convenne in giudizio la Lanificio Angelico srl e premesso che:

– lavorava alle dipendenze della società convenuta dal 1996 con mansioni di operaio di 3^ livello ex CCNL Tessili, da sempre addetto al turno notturno nel reparto tessitura;

– aveva ricevuto, in data 20.12.2002, una contestazione disciplinare per avere rifiutato, durante il turno svolto nella notte tra il 19 e il 20.12.2002, di seguire altri 5 telai, oltre agli 11 già attribuiti alle sue cure;

– aveva reso le proprie giustificazioni, alle quali non era seguita l’irrogazione di una sanzione disciplinare;

– la convenuta, con lettera del 23.12.2002, gli aveva comunicato il cambio di turno per “motivi inerenti l’attività produttiva e per evitare il verificarsi di fatti molto incresciosì;

– il provvedimento di cambio del turno aveva natura ontologicamente disciplinare e appariva altresì ritorsivo e non giustificato da ragioni tecnico-organizzative;

– a seguito del cambio di turno aveva contratto una patologia clinica da ansia, anche conseguente ai persistenti disturbi del sonno, che lo avevano costretto ad assumere farmaci psicotropi e sonniferi;

– aveva subito, sempre a causa del cambio di turno, un danno patrimoniale da riduzione salariale di circa 300 euro mensili, conseguente alla perdita della maggiorazione per il turno notturno;

– aveva ottenuto, a seguito di ricorso ex art. 700 c.p.c., provvedimento d’urgenza con cui era stato ordinato all’azienda di reintegrarlo immediatamente nel turno notturno, provvedimento peraltro rimasto ineseguito;

tutto ciò premesso, chiese dichiararsi l’invalidità e/o nullità del provvedimento di mutamento del turno e ordinarsi alla società convenuta di reintegrarlo nel turno notturno, con condanna della stessa al pagamento, a titolo di risarcimento dei danni, delle differenze salariali conseguenti alle decurtazioni subite dal dicembre 2002 sino all’effettiva reintegrazione e della somma di euro 50.000 a titolo di risarcimento dei danni biologico, morale ed esistenziale.

Radicatosi il contraddicono e sulla resistenza della convenuta, il Giudice adito respinse il ricorso.

Con sentenza del 22.3 – 9.5.2007, la Corte d’Appello di Torino, accogliendo il gravame proposto da F., dichiarò illegittimo il denunciato provvedimento di cambio de turno, ordinò alla parte datoriale la riassegnazione del F. a turno notturno e la condannò al risarcimento del danno patrimoniale e dei danni morale ed esistenziale.

A sostegno del decisum la Corte territoriale ritenne quanto segue:

– era condivisibile l’orientamento giurisprudenziale, richiamato anche dal primo Giudice, secondo cui il trasferimento del dipendente per incompatibilità ambientale è legittimo, ai sensi dell’art. 2103 c.c., in tanto in quanto il lavoratore abbia determinato con il suo comportamento una oggettiva disfunzione di carattere organizzativo, alla quale il datore di lavoro possa porre rimedio con atti organizzativi coerenti e ragionevoli, tra i quali il trasferimento;

anche in tale prospettiva, dunque, il giudice, pur non potendo entrare nel merito della scelta imprenditoriale, insindacabile ex art. 41 Cost., deve comunque operare una duplice valutazione, da un lato accertando l’oggettiva esistenza della dedotta situazione di incompatibilità ambientale, dall’altro esaminando la coerenza e la ragionevolezza del provvedimento di trasferimento adottato dal datore di lavoro;

– nessuna delle circostanze in base alle quali il primo Giudice aveva ritenuto che il comportamento del F. fosse stato tale da determinare una oggettiva disfunzione di carattere organizzativo risultava provata e, a ben vedere, “la dedotta incompatibilità ambientale altro non era che il conflitto tra diversi operai, tra i quali il sig. F., e l’azienda in ordine ai carichi di lavoro del turno notturno”;

– era prassi comune, anche presso il Lanificio Angelico, che le aziende, prima di aumentare l’assegnazione del numero dei telai, concludessero con il delegato sindacale un apposito accordo e, nella specie, non era stato raggiunto un accordo sindacale sulla richiesta della parte datoriale di aumentare l’assegnazione del numero di telai in caso di assenza, per malattia o per ferie, di altri lavoratori;

per questa ragione, nel turno di notte, quando era presente il delegato sindacale, non veniva mai chiesto ai lavoratori di seguire un numero superiore di telai; il F., nell’ultimo periodo, controllava 11 telai, cioè il numero massimo di quelli controllati da un solo lavoratore; nella notte tra il 19 e il 20.12.2002 era stato richiesto al F. di seguire contemporaneamente 16 telai e di seguire i 5 telai in più nella mezz’ora di pausa; “il comando aziendale era, dunque, doppiamente illegittimo, non solo sotto il profilo dell’anomalo carico di lavoro assegnato senza previo accordo con il delegato sindacale, ma anche sotto il profilo del mancato rispetto della salute del lavoratore e della sua sicurezza, posto che l’azienda non può obbligare il lavoratore a rinunciare alla pausa, cioè al breve spazio di mezz’ora che gli spetta per il riposo e che va considerato incomprimibile, soprattutto nel turno di notte, noiosamente più gravoso”;

– in difetto di un problema organizzativo determinato dal comportamento del F., della non tempestività della reazione aziendale rispetto ai fatti addebitati al lavoratore e della riferita possibilità dell’azienda di percorrere altre vie per ovviare a temporanee carenze di organico, il provvedimento adottato di mutamento del turno non costituiva una scelta imprenditoriale ragionevole;

– il trasferimento in esame era quindi illegittimo per l’insussistenza dei presupposti di cui all’art. 2103 c.c.;

– risultava altresì svelata la natura ritorsiva ed ontologicamente disciplinare del provvedimento aziendale; “Se è vero che il criterio posi hoc propter hoc non è un elemento determinante al fine di valutare il rapporto causale tra due fatti, non si può negare che, nel caso di specie, appaia fortemente indiziante lo strettissimo rapporto cronologico, già rilevato, tra il rifiuto del sig. F. di accettare l’assegnazione di altri telai (risalente al turno della notte tra il 19 e il 20.12.2002) ed il provvedimento aziendale di mutamento del turno (datato 23.12.2002), che a sua volta giunge subito dopo la contestazione disciplinare (del 20.12.2002) e le giustificazioni del lavoratore (23.12.2002), e che giunge al posto di una (altrimenti prevedibile) sanzione disciplinare che, verosimilmente, il datore di lavoro non ha irrogato perchè consapevole che essa sarebbe stata illegittima, per le ragioni sopra esposte (illegittimità della pretesa aziendale di assegnare altri telai al sig. F. e legittimità del suo rifiuto). La natura disciplinare del provvedimento aziendale è svelata, oltrechè dal rapporto cronologico, dal tenore letterale della stessa lettera di trasferimento, che ha valenza quasi confessoria (v. doc. 3 appellante, “per evitare il verificarsi di fatti molto incresciosi”:

scilicet, come quelli accaduti appena tre giorni prima) e dal fatto di non essere il trasferimento giustificato da alcuna altra ragione tecnico-organizzativa diversa dalla pretesa incompatibilità ambientale, melatasi del tutto inconsistente, nè da altri “motivi inerenti l’attività produttiva”, pur citati nel provvedimento aziendale, ma mai allegati specificamente dalla società appellata nè nella fase cautelare nè nei due gradi del giudizio”;

– entrambi i motivi di appello accolti (relativi, rispettivamente, alla “mancanza della prova in ordine alle esigenze tecnico organizzative” ed alla “mancanza della prova in ordine alla ragionevolezza del provvedimento”) non potevano ritenersi inammissibili per novità, come eccepito dalla Società appellata, posto che la tesi del legittimo esercizio dello jus variandi per incompatibilità ambientale era stata introdotta nel giudizio di primo grado proprio dalla difesa del Lanificio Angelico ed “integralmente accolta dal Tribunale”, – era incontestabile la risarcibilità del danno patrimoniale da lucro cessante subito dal F., pari alle differenze salariali per la maggiorazione lavoro notturno non percepita;

andavano risarciti il danno morale e il danno esistenziale subiti dal F., da intendere il primo quale mero dolore o patema d’animo interiore ed il secondo come ogni pregiudizio (di natura non meramente emotiva o interiore, ma oggettivamente accertarle) che alteri le abitudini e gli assetti relazionali propri del soggetto, inducendolo a scelte di vita diverse quanto all’espressione e realizzazione della sua personalità nel mondo esterno; tali danni andavano liquidati a titolo equitativo e in misura forfettaria tenendo conto “della lunga durata dell’illegittima adibizione del sig. F. al turno diurno (che perdura dal gennaio 2003 a tutt’oggi, senza che la società appellata abbia dato esecuzione all’ordinanza cautelare del 10.4.2003, confermata in sede di reclamo), della natura ontologicamente disciplinare e estorsiva del provvedimento aziendale, della visibile lesione della dignità e dell’immagine professionale subite dal lavoratore nel contesto aziendale, nonchè del rilevante disagio psichico e psicosomatico patito a causa dell’alterazione dell’abituale ritmo sonno/veglia e delle conseguenti ripercussioni sull’organizzazione della vita familiare e di relazione”.

Avverso la suddetta sentenza della Corte territoriale la Lanificio Angelico srl ha proposto ricorso per cassazione fondato su otto motivi.

L’intimato F.G. ha resistito con controricorso, illustrato con memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione dell’art. 2103 c.c. e del CCNL Tessili all’epoca vigente, deducendo che il cambiamento di turno non rientra nell’ambito applicativo dell’art. 2103 c.c. e che il suddetto CCNL, all’art. 41, non prevede accordo o mera consensualità tra il lavoratore e/o le OO.SS. e l’ente datoriale per eventuali cambi di turno; viene formulato il seguente quesito di diritto: “dica la Corte se il mero cambio di turno rientri nell’alveo applicativo dell’art. 2103 c.c., e se per lo stesso alla luce dell’ex CCNL tessili art. 40-41 era richiesto il consenso del lavoratore o dei suoi rappresentanti sindacali”.

Con il secondo motivo la ricorrente denuncia violazione degli artt. 112, 434 e 437 c.p.c., contestando l’ammissibilità dei motivi di appello accolti e relativi alla “mancanza della prova in ordine alle esigenze tecnico organizzative” ed alla “mancanza della prova in ordine alla ragionevolezza del provvedimento”, viene formulato il seguente quesito di diritto: “dica la Corte se il Giudice può accogliere due motivi di ricorso nuovi ritenendone l’ammissibilità in ragione del fatto che gli stessi trattino un argomento meramente richiamato in linea difensiva da parte avversa”.

Con il terzo motivo la ricorrente denuncia violazione dell’art. 2103 c.c., dolendosi che la Corte territoriale abbia esteso il suo controllo sul merito della scelta imprenditoriale; viene formulato il seguente quesito di diritto: “dica la Corte se il Giudice in ipotesi di cambio turno possa entrare nel merito della scelta imprenditoriale operata dall’ente datoriale”.

Con il quarto motivo la ricorrente denuncia violazione dell’art. 2103 c.c., anche alla luce dell’art. 41 ex CCNL Tessili, con riferimento al mantenimento del trattamento economico, invocando il principio secondo cui, in ipotesi di mutamento dell’orario di lavoro, nessuna somma spetta al dipendente, trattandosi di differenza salariale dovuta per le particolari condizioni di lavoro e non per le mansioni svolte; viene formulato il seguente quesito di diritto: “dica la Corte se il dipendente in ipotesi di spostamento del turno da quello di notte a quello di giorno conserva il diritto al compenso prima percepito”.

Con il quinto motivo la ricorrente denuncia violazione dell’art. 2697 c.c., con riferimento alla pretesa risarcitoria del danno patrimoniale, deducendo che il fatto costitutivo di tale pretesa non era stato oggetto di prova da parte del lavoratore; viene formulato il seguente quesito di diritto: “dica la Corte se la parte che reclama la pretesa risarcitoria è onerata a dare la prova del fatto costitutivo della pretesa”.

Con il sesto motivo la ricorrente denuncia violazione dell’art. 7 Statuto Lavoratori, anche con riferimento all’art. 84 del CCNL Tessiti all’epoca vigente, deducendo che:

il mero nesso di successione cronologica tra la contestazione degli addebiti disciplinari non seguita da alcuna sanzione ed il successivo trasferimento del dipendente non costituisce sicuro criterio di giudizio per ritenere il carattere effettivamente punitivo di tale trasferimento e la sua conseguente illegittimità siccome sanzione atipica;

– l’aumento dei telai in assegnazione, verificatosi nella notte tra il 19 e il 20 dicembre 2002, stante la sua natura temporanea, doveva ritenersi consentito alla luce della richiamata disposizione del CCNL Tessili vigente all’epoca dei fatti di causa;

viene formulato il seguente quesito di diritto: “dica la Corte se il mero susseguirsi cronologico tra la contestazione degli addebiti disciplinari ed il mutamento di turno possa essere qualificato come sanzione atipica e se la temporanea assegnazione dei macchinari richiede l’accordo”.

Con il settimo motivo la ricorrente denuncia violazione degli artt. 1223, 2697 e 2059 c.c., dolendosi che la Corte territoriale abbia ritenuto la sussistenza dei danni morale ed esistenziale sulla base del mero cambio di turno e di una valutazione soggettiva della questione, non sostenuta da elementi testimoniali o presuntivi certi;

viene formulato il seguente quesito di diritto: “dica la Corte se il mero cambio turno è fatto sufficiente a provare l’esistenza del danno esistenziale e/o di quello morale”.

Con l’ottavo motivo la ricorrente denuncia violazione dell’art. 2059 c.c. e art. 112 c.p.c., dolendosi che la Corte territoriale non abbia ricollegato il risarcimento del danno morale all’esistenza di un reato “come supposto da parte avversa nelle richieste introduttive”, ove tale voce di danno era stata ricollegata “all’asserita violazione dell’art. 650 c.p. da parte del Lanificio Angelico”, viene formulato il seguente quesito di diritto: “dica la Corte se il Giudice può desumere la causa petendi supposta al risarcimento del danno morale per ragioni diverse rispetto a quelle dedotte dalla parte”.

2. Osserva preliminarmente la Corte che l’art. 366 bis c.p.c., è applicabile ai ricorsi per cassazione proposti avverso i provvedimenti pubblicati dopo l’entrata in vigore (2.3.2006) del D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 (cfr., D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 27, comma 2) e anteriormente al 4.7.2009 (data di entrata in vigore della L. n. 68 del 2009) e, quindi, anche al presente ricorso, atteso che la sentenza impugnata è stata pubblicata il 9.5.2007.

In base alla norma suddetta, nei casi previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1), 2), 3) e 4), l’illustrazione di ciascun motivo si deve concludere, a pena di inammissibilità, con la formulazione di un quesito di diritto; secondo l’orientamento di questa Corte il principio di diritto previsto dall’art. 366 bis c.p.c., deve consistere in una chiara sintesi logico-giuridica della questione sottoposta al vaglio del giudice di legittimità, formulata in termini tali per cui dalla risposta – negativa od affermativa – che ad esso si dia, discenda in modo univoco l’accoglimento od il rigetto del gravame (cfr, ex ptuhmis, Cass., SU, n. 20360/2007).

In particolare deve considerarsi che il quesìto di diritto imposto dall’art. 366 bis c.p.c., rispondendo all’esigenza di soddisfare l’interesse del ricorrente ad una decisione della lite diversa da quella cui è pervenuta la sentenza impugnata, ed a tempo stesso, con una più ampia valenza, di enucleare, collaborando alla funzione nomofilattica della Suprema Corte di Cassazione, il principio di diritto applicabile alla fattispecie, costituisce il punto di congiunzione tra la risoluzione del caso specifico e l’enunciazione del principio generale, e non può consistere in una mera richiesta di accoglimento del motivo o nell’interpello della Corte di legittimità in ordine alla fondatezza della censura cosi come illustrata nello svolgimento dello stesso motivo, ma deve costituire la chiave di lettura delle ragioni esposte e porre la Corte in condizione di rispondere ad esso con l’enunciazione di una regola iuris che sia, in quanto tale, suscettibile di ricevere applicazione in casi ulteriori rispetto a quello sottoposto all’esame del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata (cfr., ex plurimis, Cass., nn. 11535/2008; 19892/2007).

Conseguentemente è inammissibile non solo il ricorso nel quale il suddetto quesito manchi, ma anche quello nel quale sia formulato in modo inconferente rispetto alla illustrazione dei motivi d’impugnazione; ovvero sia formulato in modo implicito, si da dovere essere ricavato per via di interpretazione dal giudice; od ancora sia formulato in modo tale da richiedere alla Corte un inammissibile accertamento di fatto; od, infine, sia formulato in modo del tutto generico (cfr., ex plurimis, Cass., SU, 20360/2007, cit.).

3. Deve ancora rilevarsi che la decisione impugnata, per quanto concerne l’illegittimità dell’impugnato provvedimento datoriale di cambio turno, si fonda su due distinte ragioni, ciascuna delle quali di per sè idonea a sostenere la decisione:

– la prima costituita dalla ritenuta insussistenza dei presupposti di cui all’art. 2103 c.c.;

– la seconda costituita dalla ritenuta natura ritorsiva ed ontologicamente disciplinare del provvedimento aziendale.

4. La seconda delle suddette rationes deciderteli è stata censurata con i sesto motivo di ricorso.

Il motivo, nei distinti profili in cui si articola, non merita accoglimento.

4.1 Quanto al primo profilo perchè la Corte territoriale, come diffusamente esposto nello storico di lite, non ha affatto ritenuto la natura ritorsiva e di sanzione disciplinare atipica del provvedimento contestato basandosi unicamente sul criterio cronologico, ma fondando la sua decisione su un complesso di considerazioni, nell’ambito delle quali il rapporto cronologico tra il rifiuto da parte del lavoratore della richiesta datoriale di aumento dell’assegnazione dei telai e il provvedimento impugnato viene indicato soltanto come “fortemente indiziante”.

Trova quindi applicazione il condiviso orientamento di questa Corte secondo cui il motivo d’impugnazione è rappresentato dall’enunciazione, secondo lo schema normativo con cui il mezzo è regolato dal legislatore, della o delle ragioni per le quali, secondo chi esercita il diritto d’impugnazione, la decisione è erronea, con la conseguenza che, in quanto per denunciare un errore bisogna identificarlo e, quindi, fornirne la rappresentazione, l’esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si concretino in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata, le quali, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere, dovendosi, dunque, il motivo che non rispetti tale requisito considerarsi nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo; in riferimento al ricorso per Cassazione tale nullità, risolvendosi nella proposizione di un “non motivo”, è espressamente sanzionata con l’inammissibilità ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 4 (cfr., ex plurimis, Cass., n. 359/2005).

4.2 Analoghe considerazioni valgono anche con riferimento al secondo profilo del motivo all’esame, posto che la sentenza impugnata ha ritenuto l’illegittimità della richiesta datoriale sulla base della riscontrata esistenza di una prassi aziendale per la quale, prima di aumentare l’assegnazione del numero dei telai, doveva essere concluso con il delegato sindacale un apposito accordo, nella specie non verificatosi, e, al contempo, perchè la parte datoriale non poteva obbligare il lavoratore a rinunciare alla pausa.

5. Dalla testè rilevata inaccoglibilità del sesto motivo di ricorso discende l’applicabilità del principio, costantemente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui, ove la sentenza sia sorretta da una pluralità di ragioni, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, il rigetto delle doglianze relative ad una di tali ragioni rende inammissibile, per difetto di interesse, l’esame relativo alle altre, pure se tutte tempestivamente sollevate, in quanto i ricorrenti non hanno più ragione di avanzare censure che investono una ulteriore ratio decidendi, giacchè, pur se esse fossero fondate, non potrebbero produrre in nessun caso l’annullamento della sentenza (cfr, ex plurimis, Cass., nn. 12976/2001; 18240/2004; 13956/2005; 20454/2005).

Ne consegue l’inammissibilità delle censure (primo, secondo e terzo motivo di ricorso) inerenti, per ragioni sostanziali o processuali, alla ritenuta illegittimità del provvedimento per insussistenza dei presupposti di cui all’art. 2103 c.c..

6. Il quarto motivo di ricorso è inconferente, poichè la Corte territoriale non ha affatto affermato che, in ipotesi di cambio di turno da notturno a diurno, il lavoratore conserva il diritto al compenso prima percepito (secondo il contenuto specifico della doglianza, quale cristallizzato dallo svolto quesito di diritto), ma ha riconosciuto il diritto al risarcimento del danno patrimoniale da lucro cessante subito dal F. per effetto dell’illegittimo provvedimento, liquidandolo in misura pari alle differenze salariali per la maggiorazione lavoro notturno non percepita.

7. Il quinto motivo di ricorso è inammissibile per la genericità del quesito di diritto; esso infatti non contiene alcuno specifico richiamo alla fattispecie concreta a cui dovrebbe riferirsi, cosicchè, in definitiva, quale che fosse la risposta al medesimo data, la stessa non consentirebbe, proprio per la genericità del quesito, di riconoscere la fondatezza o meno della doglianza svolta.

8. In base al già ricordato principio di diritto inerente ai necessari requisiti dei motivi di ricorso per cassazione, deve rilevarsi che anche il settimo motivo di ricorso non è conferente rispetto alle ragioni poste a base della sentenza impugnata, che ha fondato la risarcibilità dei danni morale ed esistenziale non già sul “mero cambio di turno”, ma sulle negative conseguenze che detto illegittimo provvedimento, nei termini già ampiamente richiamati nello storico di lite, aveva prodotto in pregiudizio del lavoratore.

9. L’ottavo motivo di ricorso è inammissibile sia per la genericità del quesito di diritto, sia per la violazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, non essendo stati ivi riportati i passi del ricorso introduttivo del giudizio illustrativi delle ragioni a cui era ricollegato il dedotto danno morale.

10. In definitiva il ricorso va rigettato.

Le spese, comprensive di quelle inerenti all’intervenuta fase inibitoria, sono liquidate come in dispositivo e seguono la soccombenza; ne va disposta la distrazione a favore dell’avv. Bruno Cossu.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a rifondere te spese, da distrarsi a favore dell’avv. Bruno Cossu, che liquida in Euro 25,00, oltre ad Euro 3.000,00 (tremila) per onorari, spese generali, I.V.A. e C.P.A. come per legge.

Così deciso in Roma, il 14 luglio 2011.

Depositato in Cancelleria il 3 ottobre 2011

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