Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20194 del 03/10/2011

Cassazione civile sez. lav., 03/10/2011, (ud. 30/06/2011, dep. 03/10/2011), n.20194

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Presidente –

Dott. LA TERZA Maura – Consigliere –

Dott. CURCURUTO Filippo – Consigliere –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. FILABOZZI Antonio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 1024/2008 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE EUROPA 175, presso

la DIREZIONE AFFARI LEGALI POSTE ITALIANE, rappresentata e difesa

dall’avvocato URSINO Anna Maria, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

F.M.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1410/2006 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 04/01/2007 r.g.n. 722/03;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

30/06/2011 dal Consigliere Dott. ANTONIO FILABOZZI;

udito l’Avvocato URSINO ANNA MARIA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte di Appello di Palermo, confermando la sentenza impugnata, ha ritenuto la illegittimità della sanzione disciplinare irrogata dalla società Poste Italiane spa a F.M. per essersi rifiutato di svolgere la prestazione lavorativa secondo il sistema cosiddetto “ad areola”, in base al quale il singolo operatore è tenuto alla consegna non solo della corrispondenza della zona di sua competenza, ma anche, pro quota, di quella di altra zona ricompresa nella medesima area di recapito (ed areola), in caso di assenza del dipendente assegnato a quest’ultima zona. A tale conclusione la Corte territoriale è pervenuta osservando che, con il sistema della ed areola, ed in conseguenza della eliminazione della “scorta”, originariamente prevista per il caso di assenza del titolare di una delle zone della c.d. areola, la prestazione richiesta al lavoratore non avrebbe potuto essere esaurita nell’ambito dell’orario di lavoro normale, come invece preteso dalla società, sicchè il rifiuto opposto dal lavoratore radicava una mera presa d’atto di tale impossibilità di fornire la prestazione.

Avverso tale sentenza ricorre per cassazione la società Poste Italiane spa affidandosi a due articolati motivi di ricorso.

L’intimato non ha svolto attività difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2086, 2094 e 2104 c.c., in relazione all’art. 41 Cost., nonchè vizio di motivazione, chiedendo a questa Corte di stabilire “se costituisca rifiuto disciplinarmente rilevante l’omessa presa in carico della corrispondenza affidata comprensiva di quella relativa alla zona d’abbinamento, sull’assunto che il recapito di tale corrispondenza determinerebbe il superamento delle 6 ore giornaliere”.

2.- Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e 1363 c.c., in relazione agli artt. 28, 30 ccnl dell’11.1.2001, nonchè degli stessi articoli di legge in relazione agli artt. 51 e 54 del ccnl, formulando un quesito di diritto identico a quello di cui al primo motivo.

3.- Il primo motivo deve ritenersi inammissibile in quanto del tutto inconferente rispetto alla motivazione della sentenza impugnata.

La Corte territoriale, nel ritenere giustificato il rifiuto opposto dal lavoratore alla richiesta della società, ha infatti osservato che la contestazione disciplinare si fondava sul presupposto che l’ulteriore attività richiesta ai lavoratori avesse natura meramente aggiuntiva e potesse essere svolta nell’orario di lavoro ordinario.

Venuto meno questo presupposto, sarebbe venuta meno anche la legittimità della sanzione irrogata ai lavoratori.

Poste tali premesse, i giudici d’appello hanno rilevato che, in realtà, “l’impossibilità dell’esecuzione della prestazione aggiuntiva nell’ambito dell’orario d’obbligo si ricava dalla stessa strutturazione del sistema delle areole, in relazione al quale le parti sociali (Poste ed organizzazioni sindacali), nella valutazione del rapporto energie lavorative/quantità della prestazione, avevano ritenuto che, nell’ambito delle 6 ore giornaliere, l’addetto allo smistamento della posta poteva garantire il recapito di una sola zona … in ragione di detto rapporto, le parti sociali hanno previsto la necessità di una scorta, per il caso di assenza del titolare di una delle quattro zone, con la conseguenza che, nel sistema originario, l’abbinamento assumeva un carattere eventuale e residuale, verificandosi solo nel caso di contemporanea assenza di un titolare e della scorta”; laddove, invece, “con il sistema unilateralmente adottato a seguito della scadenza dell’accordo del 2 luglio 1998 …

ed, in particolare, in conseguenza della eliminazione della scorta … il carico aggiuntivo, conseguente all’abbinamento, è diventato più frequente e quindi più oneroso per il titolare della singola zona, di tal che non era più sufficiente il suo impegno lavorativo corrispondente alle 6 ore giornaliere”, derivandone che il rifiuto opposto dal lavoratore doveva ritenersi giustificato dal momento che la prestazione aggiuntiva avrebbe comunque comportato il superamento del limite settimanale dell’orario di lavoro ordinario.

4.- Se questa è la ratto deciderteli sulla quale il giudice d’appello ha fondato la propria decisione, la società ricorrente avrebbe dovuto contestare anzitutto i presupposti sui quali la stessa era fondata, ovvero l’affermazione che, secondo la società, l’ulteriore attività avesse natura meramente aggiuntiva e potesse essere svolta nell’orario di lavoro ordinario, e quella, collegata alla prima, secondo cui, all’opposto, in conseguenza della eliminazione della “scorta” e del maggior carico di lavoro aggiuntivo, era diventato impossibile soddisfare la richiesta del datore di lavoro nell’ambito dell’orario di lavoro ordinario. La ricorrente, dopo avere premesso una articolata esposizione relativa alla normativa applicabile alle c.d. prestazioni d’areola, si è limitata, invece, ad affermare che “non portare con sè, preordinatamente, tutta la posta in affidamento, senza neppure verificare nei fatti la impossibilità di recapitarla nell’orario d’obbligo, con eventuale restituzione di quella non potuta recapitare nelle 6 ore, costituisce inequivocabilmente rifiuto per comportamento concludente” e che “il lavoratore, rifiutandosi di adempiere all’ordine impartito non ha indicato alcun impedimento legittimo, nè l’impossibilità di eseguire la prestazione, rifiutandosi arbitrariamente di eseguire l’ordine di lavoro per questioni di mero principio”, riassumendo il contenuto di tali censure nel quesito con il quale si chiede a questa Corte di stabilire “se costituisca rifiuto disciplinarmente rilevante l’omessa presa in carico della corrispondenza affidata comprensiva di quella relativa alla zona d’abbinamento, sull’assunto che il recapito di tale corrispondenza determinerebbe il superamento delle 6 ore giornaliere”.

In questo modo, la ricorrente ha completamente omesso di prendere in considerazione le argomentazioni svolte nella sentenza impugnata in ordine alla impossibilità, per il portalettere, di espletare in concreto l’attività aggiuntiva entro l’orario normale di lavoro (anche considerando il limite di 36 ore settimanali: cfr. pagg. 7 e 8 della sentenza impugnata), e così di proporre specifiche censure attinenti alle ragioni poste dal giudice d’appello a fondamento della decisione impugnata.

5.- Va rimarcato, al riguardo, che la proposizione, mediante il ricorso per cassazione, di censure prive di specifica attinenza al decisum della sentenza impugnata comporta l’inammissibilità del ricorso per mancanza di motivi che possono rientrare nel paradigma normativo di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4. Il ricorso per cassazione, infatti, deve contenere, a pena di inammissibilità, i motivi per i quali si richiede la cassazione, avente carattere di specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata, il che comporta l’esatta individuazione del capo di pronunzia impugnata e l’esposizione di ragioni che illustrino in modo intellegibile ed esauriente le dedotte violazioni di norme o principi di diritto, ovvero le carenze della motivazione, restando estranea al giudizio di cassazione qualsiasi doglianza che riguardi pronunzia diverse da quella impugnata (cfr. explurimis Cass. n. 17125/2007, Cass. n. 3612/2004, Cass. n. 16763/2002). Di qui l’inammissibilità del primo motivo.

6.- Il secondo motivo, con il quale si contesta l’affermazione della sentenza impugnata, secondo cui sarebbe stato impossibile completare la consegna dei plichi postali entro l’orario settimanale di lavoro, riproponendo il medesimo quesito di diritto di cui al primo motivo, deve essere ritenuto improcedibile, ai sensi dell’art. 369 c.p.c., comma 2, poichè il contratto collettivo posto a fondamento delle censure espresse con lo stesso motivo, e oggetto dell’esame del giudice d’appello, non risulta essere stato ritualmente allegato al ricorso per cassazione.

1.- Questa Corte ha ripetutamente affermato che in tema di ricorso per cassazione per violazione o falsa applicazione dei contratti collettivi, è improcedibile quel ricorso al quale non è stato allegato in veste integrale l’accordo collettivo di cui si controverte, atteso che l’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, pone a carico del ricorrente un vero e proprio onere di produzione, che ha per oggetto il contratto collettivo nel suo testo integrale e non già solo nella parte su cui si è svolto il contraddittorio o che viene invocata nell’impugnazione di legittimità, ciò perchè la Cassazione, nell’esercizio della funzione nomofilattica, ben può cercare all’interno del contratto collettivo ciascuna clausola, anche non oggetto dell’esame delle parti o del giudice di merito, che comunque ritenga utile all’interpretazione (sull’onere di produzione del testo integrale dei contratti collettivi sui quali il ricorso si fonda, cfr. ex multis Cass. sez. unite n. 20075/2010, Cass. n. 4373/2010, Cass. n. 219/2010, Cass. n. 27876/2009, Cass. n. 16619/2009, Cass. n. 15495/2009, Cass. n. 2855/2009, Cass. n. 21080/2008, Cass. n. 6432/2008, cui adde Cass. n. 21366/2010 e Cass. n. 21358/2010). Si è precisato inoltre che l’onere di depositare i contratti e gli accordi collettivi, imposto a pena d’improcedibilità del ricorso per cassazione dall’art. 369, comma 2, n. 4, è soddisfatto solo con il deposito da parte del ricorrente dei contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda, senza che possa essere considerata sufficiente la mera allegazione dell’intero fascicolo di parte del giudizio di merito in cui sia stato già effettuato il deposito di detti atti (Cass. n. 4373/2010 cit.) e che l’onere di depositare il testo integrale dei contratti collettivi di diritto privato previsto dalla citata norma non è limitato al procedimento di accertamento pregiudiziale sull’efficacia, validità ed interpretazione dei contratti e accordi collettivi nazionali di cui all’art. 429 bis c.p.c., ma si estende al ricorso ordinario ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, avuto riguardo alla necessità che la S.C. sia messa in condizione di valutare la portata delle singole clausole contrattuali alla luce della complessiva pattuizione, e dovendosi ritenere pregiudicata la funzione nomofilattica della S.C. ove l’interpretazione delle norme collettive dovesse essere limitata alle sole clausole contrattuali esaminate nei gradi di merito (Cass. sez. unite n. 20075/2010 cit., nonchè Cass. n. 27876/2009 cit.).

8.- Nella specie, le censure espresse con il motivo in esame fanno riferimento ad alcune norme del contratto collettivo, in particolare quelle degli artt. 28 e 30 del ccnl dell’11.1.2001, alle quali viene dato un rilievo centrale ai fini della valutazione del comportamento del lavoratore. La società ricorrente, tuttavia, ha omesso di depositare insieme al ricorso per cassazione il testo integrale del contratto collettivo al quale le suddette censure fanno riferimento – limitandosi semplicemente a riportare in ricorso una parte del testo dei suddetti articoli – e non ha neppure specificato se il documento in questione sia stato prodotto nelle precedenti fasi merito e, in questo caso, in quale sede processuale lo stesso possa essere rinvenuto, venendo così meno all’onere imposto, a pena di improcedibilità, dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4.

9.- Il ricorso deve essere pertanto respinto.

10.- Stante il mancato svolgimento di attività difensiva da parte dell’intimato, non deve provvedersi in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; nulla sulle spese.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 30 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 3 ottobre 2011

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