Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20193 del 25/09/2020

Cassazione civile sez. trib., 25/09/2020, (ud. 27/01/2020, dep. 25/09/2020), n.20193

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – Consigliere –

Dott. CENICCOLA Aldo – est. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 18056/2013 proposto da Ud. 27.1.2020

AGENZIA DELLE ENTRATE (CF (OMISSIS)), in persona del Direttore p.t.,

rapp.ta e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato,

elettivamente domiciliata in Roma alla v. dei Portoghesi n. 12;

– ricorrente –

contro

ARANCA PRODOTTI s.r.l. (CF (OMISSIS)) in persona del legale rapp.te

p.t., rapp.ta e difesa per procura a margine del ricorso dagli avv.

G. Carlo Grillo, Nicola Bianchi e Gaetano Ciancio, elettivamente

domiciliati in Roma alla via Postumia n. 1 presso lo studio DSG;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 226/7/12 depositata in data 5 dicembre 2012

della Commissione Tributaria Regionale di Catanzaro sezione staccata

di Reggio Calabria;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

giorno 27 gennaio 2020 dal relatore Dott. Aldo Ceniccola.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza n. 226/7/12 la Commissione tributaria regionale di Catanzaro, sezione staccata di Reggio Calabria, rigettava l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate avverso la sentenza con la quale la Commissione tributaria provinciale di Reggio Calabria aveva accolto il ricorso proposto dalla Aranca Prodotti s.r.l. avverso l’avviso di accertamento Irpeg ed Ilor n. (OMISSIS).

Osservava la CTR che, come evidenziato dai primi giudici, le valutazioni operate dall’Ufficio si fondavano su contestazioni e rilievi del tutto generici e superficiali, senza analizzare e valutare i rapporti intercorrenti tra le varie società del gruppo. Nessuna valutazione era stata, inoltre, effettuata in merito alla rilevante produzione documentale di parte e sulla regolarità del libro dei verbali di assemblea, come previsto dall’art. 2421 c.c..

Inoltre, pur in presenza di una condivisibile autonomia tra la decisione assunta in sede penale e quella presa in sede tributaria, era evidente che l’impossibilità di reputare provato un fatto nella sua materialità, in sede penale, impediva al giudice tributario di ancorare qualsivoglia giudizio ad un fatto la cui esistenza non era stata provata in sede penale, ove l’accertamento per sua natura è completo, rigoroso, penetrante ed esaustivo.

Avverso tale sentenza l’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi. Resiste Aranca Prodotti s.r.l. mediante controricorso. La controricorrente ha depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo l’Ufficio lamenta la violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, avendo la CTR erroneamente ritenuto che nel caso in esame era stato svolto un accertamento induttivo, trattandosi piuttosto di un accertamento analitico, e non avendo la CTR pronunciato su tutte le eccezioni proposte dall’Ufficio.

1.1 Il motivo è inammissibile.

1.2 Come già osservato condivisibilmente da questa Corte, in una controversia sostanzialmente analoga a quella in esame (Cass. n.

1167/19), la censura di omessa pronuncia va proposta secondo i canoni enunciati da questa Corte a Sezioni unite (Cass., sez. un., 24 luglio 2013 n. 17931) ed il ricorso per cassazione, avendo ad oggetto censure espressamente e tassativamente previste dall’art. 360 c.p.c., deve essere articolato in specifici motivi, riconducibili in maniera immediata ed inequivocabile ad una delle cinque ragioni di impugnazione stabilite dalla citata disposizione, pur senza la necessaria adozione di formule sacramentali o l’esatta indicazione numerica di una delle predette ipotesi (cfr. Cass. n. 24553/13).

1.3 Sulla base di tali principi, deve rilevarsi come il motivo evidenzi una commistione di vizi fra loro incompatibili, quali risultano quello della motivazione apparente e di omessa pronunzia, mentre esso contiene prospettazioni tra loro eterogenee, volte a sostenere la violazione di legge (quando prospetta l’errore del giudice per avere ritenuto essere in presenza di un accertamento di tipo induttivo), l’omessa pronunzia sulle eccezioni, nemmeno riproposte anche solo succintamente nel motivo (con violazione ulteriore dell’art. 366 c.p.c.) e la motivazione apparente, senza che nemmeno la parte ricorrente abbia invocato alcuna disposizione di legge nella quale classificare il vizio prospettato (cfr. in

relazione ad analoga controversia Cass. n. 1167/19 cit.).

2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta il difetto di motivazione, ai sensi art. 360 c.p.c., n. 5, in relazione all’omessa valutazione degli specifici motivi di impugnazione proposti dall’Ufficio, essendosi la CTR limitata ad operare un mero rinvio alle motivazioni poste a fondamento della decisione di primo grado ed omettendo di trascrivere i motivi posti dall’appellante a fondamento dell’impugnazione.

2.1 Il motivo è inammissibile.

2.2 Anche in relazione a tale motivo può condividersi quanto rilevato da questa Corte con la già richiamata sentenza n. 1167 del 2019 che ha osservato come attraverso tale motivo parte ricorrente abbia contestato il difetto di motivazione, evocando l’art. 360 c.p.c., n. 5, ma facendo contestuale riferimento alla violazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 36 che attiene alla diversa ipotesi di nullità assoluta della sentenza (Cass. n. 28113/2013). Rileva, inoltre, la circostanza che la censura non rispetta i requisiti di specificità dei motivi del ricorso innanzi alla Corte di legittimità, ai sensi degli artt. 360 e 366 c.p.c., e di rilevanza e decisività dei fatti asseritamente pretermessi (Cass. n. 9368/2006 e n. 1014/2006), in alcun modo riportati o richiamati nella censura.

2.3 D’altronde, anche a volere interpretare la censura come volta a contestare il vizio di motivazione, alla luce dell’attuale disposto dell’art. 360 c.p.c., n. 5, va osservato che la possibilità di denuncia dei vizi di motivazione è limitata al caso di “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”: anche sotto tale profilo il motivo è inammissibile, non facendo alcun esplicito riferimento ai fatti decisivi per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti e che la CTR avrebbe omesso di esaminare.

3. Con il terzo motivo l’Ufficio si duole della violazione e falsa applicazione dell’art. 654 c.p.p. e dell’art. 116 cod. proc. Civ., non avendo alcuna autorità di cosa giudicata nel giudizio tributario la sentenza penale di assoluzione emessa in materia di reati tributari.

3.1 Il motivo è infondato, in quanto non tiene conto del fatto che il giudice di appello non ha basato la propria decisione sul giudicato penale, ed, anzi, ha evidenziato le ragioni della decisione, aggiungendo che, a suo avviso, gli elementi indicati dall’Ufficio a sostegno della pretesa apparivano ancorati a mere presunzioni, cui non hanno fatto seguito riscontri probanti di alcun genere.

3.2 Il giudice di appello ha poi evocato “ad ulteriore sostegno delle valutazioni di cui immediatamente sopra”, il riferimento alle sentenze del giudice penale che sono pervenute alla conclusione secondo cui “i fatti addebitati non risultavano provati nella loro materialità”, sicchè risulta, in definitiva, che la CTR ha ancorato la sua decisione ad una specifica e plurima valutazione del materiale indiziario, offerto dall’Ufficio.

3.3 Nè, a fronte di tale decisione, viene in questa sede formulata una specifica censura, idonea a consentire la rivisitazione dell’operato giudiziale della CTR.

3.4 Nel caso di specie, insomma, il giudice di appello non si limitato a rilevare l’esistenza di una sentenza definitiva in materia di reati tributari o ad estenderne automaticamente gli effetti con riguardo all’azione accertatrice dell’ufficio tributario; al contrario, la sentenza impugnata ha esercitato i suoi autonomi poteri di valutazione della condotta delle parti e del complessivo materiale probatorio acquisito agli atti, verificando la rilevanza della sentenza penale assolutoria ai fini dell’accertamento materiale dei fatti riguardanti la fattispecie al suo esame.

4. Le ragioni che precedono impongono il rigetto del ricorso. Le spese della fase di legittimità seguono il regime della soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.

5. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater la Corte dà atto della non sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Pone a carico dell’Agenzia delle entrate le spese del giudizio di legittimità, liquidandole in Euro 15.000 per compensi ed Euro 200 per esborsi.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 27 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 25 settembre 2020

 

 

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