Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20191 del 25/09/2020

Cassazione civile sez. trib., 25/09/2020, (ud. 27/01/2020, dep. 25/09/2020), n.20191

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – Consigliere –

Dott. CENICCOLA Aldo – est. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 17103/2013 proposto da:

BANCA POPOLARE DEL LAZIO soc. coop. p.a. (CF (OMISSIS)), in persona

del legale rapp.te p.t., rapp.ta e difesa per procura speciale in

calce al ricorso dall’avv. Augusto Fantozzi, dall’avv. Roberto

Tieghi e dall’avv. Daniela Cutarelli, presso i quali elettivamente

domicilia in Roma alla via Sicilia n. 66;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE (CF (OMISSIS)), in persona del Direttore p.t.,

rapp.ta e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato,

elettivamente domiciliata in Roma alla v. dei Portoghesi n. 12;

– resistente –

avverso la sentenza n. 45/01/13 depositata in data 11 marzo 2013

della Commissione Tributaria Regionale di Roma;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

giorno 27 gennaio 2020 dal relatore Dott. Aldo Ceniccola.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza n. 45/01/13 depositata in data 11 marzo 2013 la Commissione tributaria regionale di Roma accoglieva l’appello proposto dall’Ufficio avverso la sentenza con la quale la Commissione tributaria provinciale di Roma aveva accolto il ricorso proposto dalla Banca Popolare del Lazio soc. coop. p.a., avverso il provvedimento con il quale l’Agenzia delle entrate aveva solo parzialmente riconosciuto il diritto al rimborso Irpeg nella misura di Euro 26.273,20 a fronte della maggior richiesta di Euro 154.946,37.

Osservava la CTR che la controversia traeva origine dal fatto che l’istituto di credito aveva presentato la dichiarazione dei redditi per l’anno 1984, determinando l’imposta Irpeg in Lire 272.365.000, con imposta versata in acconto pari a Lire 572.383.000 e che pertanto aveva domandato il rimborso di Lire 300.018.000.

Successivamente, però, l’Amministrazione finanziaria aveva notificato un avviso per l’anno di imposta 1984 con il quale veniva accertato un maggior reddito Irpeg pari a Lire 521.511.000, riducendo perciò il credito da rimborsare in Lire 50.872.000; avverso tale avviso di accertamento l’istituto di credito aveva presentato ricorso, definendo poi la lite pendente, ai sensi della L. 30 dicembre 1991, n. 413, art. 34 versando in tre rate la somma di Lire 115.182.000.

Ottenuta l’estinzione della controversia, la banca insisteva nel domandare il rimborso della somma di Lire 300.018.000, ma l’Amministrazione finanziaria ne limitava il riconoscimento ad Euro 26.273,20.

La Commissione regionale, riformando la sentenza dei giudici di primo grado, respingeva l’istanza della contribuente, osservando che, scelta la strada della definizione agevolata, la vertenza con il fisco doveva ritenersi chiusa, non essendo ipotizzabile che, al di là dei casi di errore e violazione della normativa, per gli stessi anni interessati dalla definizione, rimanessero questioni ancora da risolvere.

Secondo la CTR, la conseguenza della definizione agevolata implica la rinuncia del contribuente a qualsiasi questione relativa al periodo di imposta cui si riferisce il condono e da cui trae direttamente origine e fondamento la richiesta di rimborso del credito di imposta, ciò rendendo impossibile la rivisitazione di aspetti inerenti la dichiarazione oggetto di accertamento o rimettere in discussione rapporti tributari ormai esauriti. Avverso tale sentenza la Banca Popolare del Lazio propone ricorso per cassazione affidato a due motivi.

L’Amministrazione finanziaria non si è costituita tempestivamente, ma ha presentato istanza di partecipazione all’eventuale discussione orale della causa.

La ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo lamenta l’illegittimità della sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione della L. 30 dicembre 1991, n. 413, artt. 34,40 e 57 (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), osservando che l’adesione alla definizione automatica delle liti pendenti comporta la commutazione dell’obbligazione tributaria sub iudice in un’obbligazione legale dal contenuto predeterminato integralmente dal legislatore, con la conseguenza che l’avviso di accertamento, emanato in relazione all’anno 1984, deve considerarsi del tutto privo di effetti e che la dichiarazione originariamente presentata dal contribuente resta soggetta all’ordinaria liquidazione D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, ex art. 36-bis con tutte le relative conseguenze in ordine ai rimborsi dei crediti di imposta in essa indicati. 1.1 Tale impostazione risulterebbe confermata dalla circolare del 9 maggio 1992, n. 12/7/1033, con la quale l’Amministrazione finanziaria ha sottolineato che restano salvi gli effetti della liquidazione automatica della dichiarazione originaria, ai sensi della norma da ultimo richiamata, nonchè dall’ordinanza della Corte Costituzionale n. 340 del 2005.

1.2 Il motivo è infondato.

1.3 La pretesa fatta valere dalla ricorrente ha per oggetto la restituzione di una somma versata a titolo di acconto, in eccedenza rispetto a quanto dalla stessa dichiarato; il successivo avviso, tuttavia, ha accertato un maggior reddito e di conseguenza ridotto la somma pretesa in restituzione. Il contenzioso instaurato avverso tale avviso è stato successivamente definito ai sensi della L. n. 413 del 1991 e la contribuente, ritenendo che la definizione agevolata abbia determinato l’inefficacia dell’avviso di accertamento, evidenzia che per l’effetto, consolidandosi quanto rappresentato nell’originaria dichiarazione, il diritto al rimborso spetterebbe nella misura inizialmente indicata.

1.4 Già in relazione al condono di cui alla L. 27 dicembre 2002, n. 289, questa Corte ha condivisibilmente osservato che “In tema di condono fiscale L. n. 289 del 2002, ex art. 16il recupero delle maggiori somme versate dal contribuente anteriormente alla definizione agevolata della lite e relative al medesimo rapporto tributario, non è consentito e spetta nel solo caso eccezionale e derogatorio, di cui al citato art. 16, comma 5 di totale soccombenza dell’Amministrazione finanziaria nel giudizio di merito, stante il principio generale, informatore della disciplina del condono, per cui la novazione del rapporto tributario litigioso estingue i reciproci debiti e crediti tra le parti, senza che venga in rilievo l’esatto accertamento dell’imponibile” (cfr. Cass. n. 4573/19).

1.5 Come pure, secondo Cass. n. 14828/08 “In tema di condono fiscale e con riferimento alla definizione automatica prevista dalla L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 9 la presentazione della relativa istanza preclude al contribuente ogni possibilità di rimborso per le annualità d’imposta definite in via agevolata, ivi compreso il rimborso di imposte asseritamente inapplicabili per assenza del relativo presupposto (nella specie, IVA ritenuta deducibile in quanto la società contribuente esercitava attività medica in regime di esenzione); il condono, infatti, in quanto volto a definire transattivamente la controversia in ordine all’esistenza di tale presupposto, pone il contribuente di fronte ad una libera scelta fra trattamenti distinti, quali coltivare la controversia nei modi ordinari, conseguendo eventualmente il rimborso delle somme indebitamente pagate, o corrispondere quanto dovuto per la definizione agevolata, senza possibilità di riflessi o interferenze con quanto eventualmente già corrisposto in via ordinaria”.

1.6 Il medesimo effetto preclusivo si verifica anche in relazione alla definizione agevolata di cui alla L. n. 413 del 1991.

1.7 Il meccanismo predisposto dagli artt. 32 ss. della legge in esame è, infatti, fondato sulla necessità di una presentazione di una denuncia integrativa, che prende il posto di quella originaria, per cui il credito nascente dal versamento di acconti deve essere calcolato tenendo conto non del reddito esposto inizialmente, ma di quello risultante dalla dichiarazione integrativa, costituente una manifestazione di volontà irrevocabile ai sensi dell’art. 57 della legge citata.

1.8 Tale principio è stato, del resto, più volte ribadito dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui “In tema di condono fiscale, le dichiarazioni integrative previste dalla L. 30 dicembre 1991, n. 413, diversamente dalle ordinarie dichiarazioni fiscali, non hanno natura di mere dichiarazioni di scienza o di giudizio, come tali modificabili, nè costituiscono momenti del procedimento volto all’accertamento dell’obbligazione tributaria, ma integrano atti volontari, frutto di scelta ed autodeterminazione da parte del contribuente, i cui effetti non sono però rimessi alla volontà di quest’ultimo, ma sono previsti dalla legge, come conseguenza dell’osservanza di specifiche disposizioni che regolano ciascuna dichiarazione, la quale, una volta presentata, è irrevocabile e non può essere modificata dall’ufficio nè contestata dal contribuente, se non per errore materiale, il quale dev’essere manifesto e riconoscibile, e non può consistere in un ripensamento successivo alla dichiarazione” (Cass. n. 15172/06; nello stesso senso, da ultimo, v. Cass. 17141/18).

2. Il secondo motivo, con il quale il contribuente evidenzia l’avvenuto passaggio in giudicato della sentenza di primo grado ai fini del riconoscimento del diritto al maggior danno da svalutazione monetaria ex art. 1224 c.c., comma 2, è assorbito.

3. Le considerazioni che precedono impongono il rigetto del ricorso.

4. Non vi è luogo a provvedere in ordine alle spese di lite, stante la soccombenza del ricorrente, osservato che l’Amministrazione finanziaria non ha svolto difese.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dall’art. 1, comma 17, della L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 27 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 25 settembre 2020

 

 

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