Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20190 del 07/10/2016

Cassazione civile sez. un., 07/10/2016, (ud. 07/06/2016, dep. 07/10/2016), n.20190

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RORDORF Renato – Primo Presidente f.f. –

Dott. AMOROSO Giovanni – Presidente Sezione –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

Dott. MATERA Lina – Consigliere –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Consigliere –

Dott. IACOBELLIS Marcello – Consigliere –

Dott. VIRGILIO Biagio – rel. Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 4067/2016 proposto da:

D.N.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CASSIODORO

1/A, presso lo studio dell’avvocato MARCO ANNECCHINO, che lo

rappresenta e difende, per delega in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE DI CASSAZIONE, MINISTERO DELLA

GIUSTIZIA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 146/2015 del CONSIGLIO SUPERIORE DELLA

MAGISTRATURA, depositata il 22/12/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

07/06/2016 dal Consigliere Dott. BIAGIO VIRGILIO;

udito l’Avvocato Marco ANNECCHINO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SALVATO Luigi, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1.1. Con sentenza n. 146 del 20 novembre 2015, depositata il 22 dicembre 2015, la Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura ha inflitto al dott. D.N.S., sostituto procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello di (OMISSIS), sezione distaccata di (OMISSIS), la sanzione della censura, avendolo ritenuto responsabile dell’illecito disciplinare di cui al D.Lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, art. 1, comma 1, e art. 2, comma 1, lett. d).

Al dott. D.N. era stato contestato di avere, nella veste di rappresentante della pubblica accusa nel processo penale pendente a carico di O.M.A., “deliberatamente preso contatti con l’imputata, prima dell’udienza, anticipandole il contenuto di quella che sarebbe stata la propria requisitoria ed il tenore delle richieste che intendeva fare quoadpoenam alla Corte di appello, fornendo all’imputata espressi consigli circa il comportamento da tenere in udienza e le cose da dichiarare spontaneamente, onde indurre la Corte ad una riduzione della pena già inflitta con la sentenza di primo grado”.

Era stata in ciò ravvisata una condotta gravemente scorretta nei confronti dell’imputata, del difensore, di un coimputato e dei giudici del collegio, come tale integrante l’illecito disciplinare contemplato nel citato D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 2, comma 1, lett. d), (secondo il quale costituiscono illecito disciplinare nell’esercizio delle funzioni “i comportamenti abitualmente o gravemente scorretti” nei confronti, fra l’altro, delle parti, dei loro difensori o di altri magistrati).

1.2. La Sezione disciplinare ha premesso che l’incolpato, con relazione inviata al Procuratore generale presso la Corte d’appello di Cagliari nel febbraio 2014, aveva riferito di essersi preoccupato che la O., madre di due bambini piccoli, potesse essere allontanata dall’Istituto “(OMISSIS)”, presso il quale era ospitata, e che, ivi recatosi il (OMISSIS) per avere un colloquio con due volontarie che seguivano le persone ospitate, al fine di poter meglio calibrare le richieste da propone in sede di requisitoria, aveva avuto un colloquio – definito casuale – con la O., nel corso del quale le aveva suggerito di partecipare all’udienza per illustrare direttamente alla Corte le sue condizioni di vita ed i suoi progetti di reintegro nella società civile, provvedendo anche a riferire telefonicamente il contenuto del colloquio al difensore di fiducia della donna.

La Sezione ha poi affermato che l’effettiva esistenza dei contatti oggetto di contestazione tra il don. D.N. e l’imputata risulta dimostrata sulla base delle concordanti dichiarazioni rese da magistrati ed operatori che si erano occupati a vario titolo della situazione della O..

In particolare, ha richiamato: la segnalazione del dott. Z., componente del collegio del processo di appello, il quale aveva esposto di aver appreso dal responsabile dell’Istituto “Suore delle Poverelle” che l’incontro tra l’incolpato e la O. era di fatto avvenuto; le dichiarazioni rese all’Avvocato generale di Sassari dalla coordinatrice della struttura, la quale aveva riferito che il dott. D.N. aveva effettuato, nei mesi di settembre e ottobre 2013, alcune telefonate per informarsi dell’andamento del soggiorno in comunità dell’imputata e che il 6 novembre 2013, presentatosi personalmente nell’istituto, si era appartato in una stanza con la O. per circa 30/40 minuti e all’uscita le aveva consigliato di essere presente all’udienza e di fare dichiarazioni in modo di avere uno sconto di pena; le dichiarazioni rese all’udienza del (OMISSIS) dinanzi alla Sezione disciplinare dalle testi C. e B. e dal teste avv. P., difensore della O.; la nota informativa del presidente del collegio del processo d’appello, dott. A.P., la quale aveva evidenziato che l’incolpato le aveva riferito di aver reso edotta l’imputata, prima della celebrazione del processo, in ordine al contenuto delle conclusioni che avrebbe formulato all’esito del dibattimento.

Il Giudice disciplinare ha, pertanto, ritenuto sufficientemente provato che l’incolpato aveva di propria iniziativa preso contatti con l’imputata in epoca antecedente l’udienza senza informare preventivamente il difensore di fiducia, aveva anticipato alla stessa il contenuto della propria requisitoria e fornitole consigli circa il comportamento da tenere in udienza e le dichiarazioni da rendere al fine di ottenere una riduzione della pena: tali fatti integrano l’illecito disciplinare contestato, configurando una condotta gravemente scorretta nei confronti dell’imputata (per avere il rappresentante della pubblica accusa conferito con essa in sede extraprocessuale, senza l’ausilio del difensore ed in assenza di ogni garanzia riconosciuta dal codice di rito), del difensore (privato della possibilità di assistere al colloquio e di interloquire al riguardo) e del coimputato nello stesso procedimento penale (che aveva subito una effettiva disparità di trattamento).

Infine, la Sezione ha ritenuto adeguata la sanzione della censura, aggiungendo che i fatti accertati sono “senz’altro tali da escludere l’applicabilità del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 3 bis, alla luce della evidente grave compromissione dell’immagine del magistrato”.

2. Il dott. D.N. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di cinque motivi.

3. Il Ministro della giustizia non ha svolto attività difensiva.

4. L’avvocato del ricorrente ha presentato osservazioni scritte sulle conclusioni del pubblico ministero, ai sensi dell’art. 379 c.p.c., comma 4.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.1. Con il primo motivo, il ricorrente denuncia “travisamento della prova”, in relazione all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e).

Lamenta che la Sezione disciplinare ha ritenuto provato che egli aveva fornito consigli all’imputata in ordine al comportamento da tenere in udienza e alle dichiarazioni da rendere in quella sede, laddove, come risulta dalle dichiarazioni rese dalla coordinatrice dell’Istituto in cui l’imputata era ospitata, il ricorrente non aveva affatto indicato a quest’ultima le cose da dire in udienza, ma si era semplicemente limitato ad esortarla a difendersi.

Col terzo motivo, è denunciata la violazione del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 2, in relazione all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b).

Il ricorrente contesta che possa definirsi gravemente scorretta la condotta del pubblico ministero che si intrattenga a parlare con un imputato o che anticipi a questo le conclusioni che intende formulare in dibattimento: osserva, quanto al primo aspetto, che occorre valutare l’oggetto del colloquio e quello tenuto con la O. – come emerge dalle testimonianze rese in dibattimento – non aveva riguardato il processo, ma le condizioni dei figli dell’imputata (in coerenza con l’interesse sempre dimostrato dal ricorrente per i diritti dei minori); quanto al secondo profilo, rileva che il pubblico ministero può rassegnare le proprie conclusioni depositando la requisitoria per iscritto prima dell’udienza.

Aggiunge che non vi è stata alcuna scorrettezza nè nei confronti del difensore dell’imputata, non avendo il ricorrente fornito suggerimenti sulla strategia difensiva, nè nei confronti del coimputato, stante la diversità delle posizioni processuali delle parti.

1.2. I motivi, da esaminare congiuntamente per stretta connessione, sono infondati.

La Sezione disciplinare ha effettuato una valutazione complessiva della vicenda, in base all’insieme delle risultanze probatorie acquisite, giungendo alla conclusione che la condotta dell’incolpato integrasse l’illecito disciplinare contestatogli.

Si tratta di una valutazione che si sottrae alle censure esposte.

Basta rilevare, infatti, che lo stesso dott. D.N., nella sopra citata relazione al Procuratore generale del febbraio 2014, ha ammesso i fatti essenziali oggetto del capo di incolpazione, cioè di aver avuto un incontro con l’imputata prima dell’udienza dibattimentale, nel corso del quale le consigliò il comportamento processuale da tenere, invitandola a partecipare all’udienza e dandole indicazioni sul contenuto delle dichiarazioni da rendere, oltre ad anticiparle le conclusioni che egli avrebbe formulato in quella sede: e un siffatto comportamento è da solo sufficiente, come ha correttamente ritenuto il Giudice disciplinare, a configurare l’illecito disciplinare addebitato.

2.1. Con il secondo e il quarto motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b) e c), la violazione del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 18, artt. 511 e 526 c.p.p., art. 111 Cost., e art. 6 della CEDU.

Si duole del fatto che la sentenza impugnata si è basata su prove dichiarazioni rese all’Avvocato generale dalla coordinatrice dell’Istituto che ospitava l’imputata (secondo motivo); note scritte della dott.ssa A., presidente del collegio giudicante (quarto motivo) – assunte in violazione del principio del contraddittorio, in quanto non acquisite nel contraddittorio con l’incolpato e con il suo difensore e, comunque, non acquisite nel dibattimento.

2.2. I motivi, da esaminare anch’essi congiuntamente, sono infondati.

Il D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 17, comma 1, prevede che “compiute le indagini, il Procuratore generale formula le richieste conclusive di cui ai commi 2 e 6, e invia alla sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura il fascicolo del procedimento, dandone comunicazione all’incolpato. Il fascicolo è depositato nella segreteria della sezione a disposizione dell’incolpato, che può prenderne visione ed estrarre copia degli atti”.

Le prove acquisite nel corso dell’attività di indagine sono, pertanto, contenute nel fascicolo del procedimento e la facoltà dell’incolpato di esaminarle ed estrarne copia, con conseguente possibilità di presentare memorie difensive e di chiedere l’audizione di testimoni, deve ritenersi idonea ad assicurare i diritti di contraddittorio e di difesa (cfr. Cass. Sez. U. 25/1/2013, n. 1771).

3.1. Con il quinto motivo, infine, è denunciata, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b), la violazione del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 3 bis, nella parte in cui il Giudice disciplinare ha escluso l’esimente della scarsa rilevanza del fatto: il ricorrente sostiene che non vi è stata alcuna compromissione dell’immagine del magistrato, come ritenuto, con motivazione assolutamente inadeguata, dalla Sezione disciplinare.

3.2. Il motivo è infondato.

Premesso che l’applicabilità dell’esimente è rimessa ad una valutazione che costituisce compito esclusivo della Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura e il giudizio negativo è soggetto al sindacato di queste sezioni unite o per errori di impostazione giuridica oppure allorchè la motivazione sia ritenuta viziata ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), la sentenza impugnata contiene sul punto una motivazione che, tenuto anche conto del complesso delle argomentazioni svolte nella pronuncia, si rivela idonea a superare il vaglio di legittimità.

4. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.

Non v’è luogo a provvedere sulle spese.

PQM

La Corte, a sezioni unite, rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 7 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 7 ottobre 2016

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