Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20188 del 18/08/2017


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Cassazione civile, sez. I, 18/08/2017, (ud. 21/06/2017, dep.18/08/2017),  n. 20188

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPPI Aniello – Presidente –

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – rel. Consigliere –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 25255/2011 proposto da:

G.D.F., elettivamente domiciliato in Roma, Via

XXIV Maggio n. 43, presso lo studio dell’avvocato Golino Vincenzo,

che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato Bonelli

Giacomo, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Venini S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, Via Federico Confalonieri n. 5,

presso lo studio dell’avvocato Manzi Luigi, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato Mercurio Francesco, giusta procura a

margine del controricorso;

– controricorrente –

e contro

G.P., M.E., M.F.A.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1202/2011 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 17/05/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

21/06/2017 dal cons. DI VIRGILIO ROSA MARIA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale CAPASSO

LUCIO, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito, per il ricorrente, l’Avvocato Giacomo Bonelli che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso;

udito, per la controricorrente, l’Avvocato Gianluca Calderara, con

delega, che ha chiesto il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

G.D.F., nella qualità di coerede per rappresentazione (essendo premorta la madre B.M.P.) del defunto B.F. e, pro quota, quale cessionario dei diritti ereditari di A.B., moglie del de cuius, chiedeva in giudizio la tutela del diritto d’autore spettante al nonno, noto designer di vetri, sia per l’aspetto morale che patrimoniale, deducendo che la Venini spa realizzava e vendeva vetri realizzati sulla base di disegni di proprietà del maestro senza alcuna autorizzazione alla vendita e riproduzione e senza alcun riconoscimento economico, e che pubblicizzava nei propri cataloghi e nel sito Internet dette opere, ledendo il diritto d’autore anche sotto il profilo dell’inedito e del diritto di modifica.

La Venini si costituiva, eccepiva che il diritto d’autore spettava agli eredi in via indivisa R.D. n. 633 del 1941, ex art. 115 e che il diritto morale poteva esser fatto valere solo dal coniuge e figli superstiti e che tale era anche la figlia vivente; eccepiva la competenza arbitrale ex art. 12 del contratto del 1986.

B.C.M. non si costituiva; interveniva G.P., fratello dell’attore.

Con sentenza non definitiva del 15/9-14/10/2002, Il Tribunale, per quanto ancora interessa, respingeva la domanda di risarcimento del danno morale e rimetteva in istruttoria; con sentenza definitiva n. 1269 del 2007, dichiarava la competenza arbitrale quanto alle questioni riguardanti i disegni “(OMISSIS)” e respingeva nel resto le domande dell’attore.

L’appello proposto da G.D.F. veniva integralmente respinto dalla Corte d’appello di Venezia, con la sentenza del 7/317/5/2011.

Nello specifico, la Corte d’appello, posto il legittimo possesso da parte della Venini dei disegni del maestro, ha rilevato che la creazione del “vetro” partiva dal disegno, a cui seguiva la collaborazione tra il B. ed il maestro vetraio della fornace Venini, sortendo all’esito un’opera finita, in tutto o in parte conforme al disegno iniziale; che la realizzazione di due prototipi, come affermato dal teste R., non valeva quale riconoscimento della permanenza dei diritti esclusivi in capo al B., dovendo piuttosto considerarsi che la realizzazione di un prototipo “anche per l’artista era la prassi di Venini” (teste T.) e che il secondo prototipo rimaneva alla Venini unitamente ai disegni che il maestro cedeva dietro corrispettivo; che non v’era la prova che la Venini avesse realizzato un prototipo unico di cui si fosse privata con la consegna al B., pur avendo acquistato il disegno di riferimento, come si rilevava dalla testimonianza del Bo., fraintesa dal G..

Secondo la Corte del merito, la fattispecie era affine al caso regolato dall’art. 109, comma 2 Legge d.a., per cui si doveva ritenere che in occasione della cessione onerosa dei disegni il maestro avesse trasmesso alla Venini non solo la proprietà dei disegni, ma anche il diritto di riproduzione del prototipo che era stato realizzato sulla base del disegno.

Quanto al motivo fatto valere nei confronti della ritenuta sottrazione dall’ambito del giudizio delle opere (OMISSIS), stante la nullità del contratto del 1/4/1986 e della relativa clausola arbitrale, la Corte di merito ha rilevato che, eccepita l’esistenza del contratto con la clausola in primo grado, la controparte ne aveva chiesto la nullità solo in grado d’appello, che in ogni caso, l’eccepita indeterminatezza era da ritenersi infondata stante il rinvio ai programmi di lavoro che integravano il contratto almeno per le due serie, e che, infine, ove ritenuta la nullità, le conclusioni non sarebbero state dissimili rispetto a quanto già rilevato.

La Corte territoriale ha respinto il motivo col quale la parte si doleva della reiezione della domanda intesa a far valere la titolarità del diritto morale, rilevando che non era derivato alcun danno al buon nome ed alla fama del maestro, ed era infine solo enunciata la violazione del diritto di inedito.

Ricorre il G., sulla base di quattro motivi.

Si difende con controricorso la Venini.

La Venini ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Col primo motivo, il ricorrente si duole del vizio di omessa motivazione da parte della Corte del merito.

Sostiene che i disegni iniziali costituivano solo la base di partenza del successivo processo creativo ed elaborativo svolto in fornace, quindi ai fini della duplicazione dell’opera erano praticamente inservibili; che è immotivata l’asserzione secondo cui il vetro finito era pur sempre partito da un disegno del maestro; che la sentenza non spiega perchè vi sarebbe una relazione indissolubile tra il disegno ed il prototipo e perchè sia stato attribuito valore essenziale ai fini del decidere al possesso dei disegni, mentre avrebbe dovuto valutare con più attenzione il fatto che è del tutto ragionevole ritenere che i disegni siano migliaia e che siano solo una insignificante minoranza i 193 depositati da Venini in causa (solo 150 numerati, non inclusi in elenco, e ridepositati all’udienza del 6/3/2008, senza potersi accertare se fossero gli stessi prodotti in primo grado).

Secondo il ricorrente, la Corte del merito non spiega alcunchè sulla mancata congruenza tra le opere ed i disegni(salvo che per un numero esiguo), nè individua i disegni che hanno costituito solo una base di partenza e quelli invece idonei a realizzare un manufatto in vetro; non motiva sulla deduzione che nessuno dei disegni è idoneo alla realizzazione del manufatto; accredita la tesi che esistessero sempre due prototipi, uno per il maestro, l’altro per la Venini, dando credito alla versione del R., arrivato a fine 1989, quando la fase creativa si era conclusa, mentre non valuta le dichiarazioni di T. e C., non spiega quale sarebbe stato il fraintendimento della testimonianza del Bo., a.d. che intratteneva i rapporti col maestro, la cui dichiarazione è stata comunque tagliata.

Ed infine le ricevute di pagamento, solo cinque per un rapporto di anni, non indicano come causale la cessione di qualsivoglia diritto su vetri, modelli, prototipi, sono generiche a fronte del contratto del 1986, che sia pure confuso e lacunoso, esclude chiaramente la cessione di qualsivoglia diritto.

Il motivo presenta profili di inammissibilità ed infondatezza.

Superata rapidamente la prospettazione dell’inammissibilità del ricorso per essere stata esercitata l’azione da uno dei titolari dei diritti in comunione, senza la previa deliberazione dei comunisti ex art. 1108 c.c. per essere stata detta eccezione proposta in primo grado, non accolta e non riproposta in sede di appello incidentale, va rilevato che la Corte del merito ha ampiamente argomentato sulla rilevanza dei disegni, il cui possesso legittimo era coperto da giudicato interno, illustrando il processo produttivo dell’opera vetraria, come risultante dalle testimonianze e dalla stessa comunicazione del B., che partiva dal disegno per arrivare al prototipo, arrivando a concludere per l’esistenza di due prototipi, uno dei quali rimaneva al maestro B..

Ora, a fronte di dette deduzioni, l’odierno ricorrente tenta di introdurre inammissibili censure in fatto, quali la mancata corrispondenza tra i disegni e le opere oggetto di causa, nonchè l’ipotizzata non coincidenza tra i disegni riprodotti in appello e quelli prodotti in primo grado; nel resto, prospetta una diversa lettura delle testimonianze, si duole della mancata specifica spiegazione del fraintendimento della testimonianza del Bo., a cui attribuisce valenza fondamentale, ma, all’evidenza, si tratta di censure tutte che esulano dal vizio motivazionale fatto valere, che non può consistere nella critica della sufficienza del ragionamento posto dal giudice del merito a base dell’interpretazione degli elementi probatori del processo, sostanziandosi in definitiva nella richiesta di una diversa valutazione.

E, come affermato nelle pronunce 17761/2016 e 2805/2011, Il motivo di ricorso con cui, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, come modificato dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 2 si denuncia omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, deve specificamente indicare il “fatto” controverso o decisivo in relazione al quale la motivazione si assume carente, dovendosi intendere per “fatto” non una “questione” o un “punto” della sentenza, ma un fatto vero e proprio e, quindi, un fatto principale, ex art. 2697 c.c., (cioè un fatto costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo) od anche un fatto secondario (cioè un fatto dedotto in funzione di prova di un fatto principale), purchè controverso e decisivo.

Come tra le ultime rilevato nella pronuncia 9368/2006, e conf. 24092/2013, 25608/2013, 14752/2007, in tema di giudizio di cassazione, la deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando, così, liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti (salvo i casi tassativamente previsti dalla legge); conseguentemente, per potersi configurare il vizio di motivazione su un asserito punto decisivo della controversia, è necessario un rapporto di causalità fra la circostanza che si assume trascurata e la soluzione giuridica data alla controversia, tale da far ritenere che quella circostanza, se fosse stata considerata, avrebbe portato ad una diversa soluzione della vertenza: ne consegue pertanto che il mancato esame di elementi probatori, contrastanti con quelli posti a fondamento della pronunzia, costituisce vizio di omesso esame di un punto decisivo solo se le risultanze processuali non esaminate siano tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia probatoria delle altre risultanze sulle quali il convincimento è fondato, onde la “ratio decidendi” venga a trovarsi priva di base.

Col secondo motivo, il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 109 e 110 Legge dir. autore; sostiene che l’art. 109, comma 2, è l’eccezione di stretta e tassativa interpretazione, che può valere solo per la cessione della matrice fisica, mentre i prototipi erano esemplari dell’opera e non certo stampi.

Il secondo motivo è infondato.

Va nel merito ritenuta la correttezza dell’interpretazione della Corte del merito, che ha ritenuto assimilabile la situazione di specie a quella prevista dall’art. 109, comma 2 Legge dir.autore che, derogando a quanto previsto dal comma 1 (“Art. 109. La cessione di uno o più esemplari dell’opera non importa, salvo patto contrario, la trasmissione dei diritti di utilizzazione, regolati da questa legge.), dispone che:” Tuttavia la cessione di uno stampo, di un rame inciso o di altro simile mezzo usato per riprodurre un’opera d’arte, comprende, salvo patto contrario, la facoltà di riprodurre l’opera stessa, semprechè tale facoltà spetti al cedente.””.

E tale assimilazione è giustificata dal rilievo di fondo che il disegno, nella fattispecie che qui interessa, non viene in considerazione come oggetto ex se di immediata fruizione, ma come strumento di riproduzione.

Ora, la Corte del merito ha dato interpretazione estensiva e non già analogica della norma, ritenendo il prototipo non (solo) quale esemplare dell’opera, ma quale mezzo usato per riprodurre l’opera d’arte, ovvero il progetto realizzato dal designer, da passare successivamente all’ufficio tecnico della vetreria per la riproduzione degli ulteriori pezzi.

Come affermato nella pronuncia 9205 del 1/9/1999, l’interpretazione estensiva di disposizioni “eccezionali” o “derogatorie”, rispetto ad una avente natura di “regola”, se pure in astratto non preclusa, deve ritenersi comunque circoscritta alle ipotesi in cui il plus di significato, che si intenda attribuire alla norma interpretata, non riduca la portata della norma costituente la regola con l’introduzione di nuove eccezioni, bensì si limiti ad individuare nel contenuto implicito della norma eccezionale o derogatoria già codificata altra fattispecie avente identità di ratio con quella espressamente contemplata.

E, come tra le ultime ribadito nella pronuncia 30722/2011, l’interpretazione estensiva tende a ricomprendere nella concreta portata della norma tutti i casi da essa anche implicitamente considerati, quali risultanti sulla base della lettera ma anche della ratio della disposizione.

Col terzo motivo, il ricorrente denuncia ambedue i vizi ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, in relazione alla statuizione con cui la pronuncia impugnata ha ritenuto inammissibile nonchè infondato il motivo d’appello inteso a far valere l’erroneità della sentenza definitiva di primo grado, per avere ritenuto sottratta al giudice ordinario la competenza sulle opere “(OMISSIS)” e “(OMISSIS)”, in forza della clausola compromissoria inserita nel contratto.

Secondo il G., il Giudice avrebbe dovuto dichiarare la nullità del contratto del 1986 e quindi della clausola compromissoria, in ogni caso di per sè invalida per come formulata.

Ora, come affermato nella sentenza del 6/11/2013, n. 25024, in virtù del principio di autonomia della clausola compromissoria, essa ha un’individualità nettamente distinta dal contratto nel quale inserita, non costituendone un accessorio; da ciò consegue che la nullità del negozio sostanziale non travolge, per trascinamento, la clausola compromissoria in esso contenuta, restando rimesso agli arbitri l’accertamento della dedotta invalidità.

Ed in senso conforme, si è espressa la successiva pronuncia del 6/8/2014, n. 17711.

Spettava quindi agli arbitri pronunciare sulla eventuale nullità del contratto.

Quanto infine alla dedotta nullità della clausola, va rilevato in via preliminare che il ricorrente non ha neppure riportato il contenuto della clausola in oggetto, limitandosi ad indicare le omissioni della stessa a pag. 37 del ricorso, con ciò contravvenendo al disposto di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6, senza neppure indicare la sede processuale in cui, nel presente giudizio di legittimità, è rinvenibile la clausola, senza rispettare il disposto di cui all’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4 (così, le pronunce Sez.U. 25/3/2010, n. 7161 e del 2/12/2008, n. 28547).

Col quarto mezzo, il ricorrente si duole dei due vizi ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, in relazione alla statuizione sul diritto morale d’autore, ribadendo la violazione da parte della Venini del diritto di inedito di cui all’art. 24 Legge dir. autore, anche in relazione all’art. 12, comma 1, e sostenendo di avere fatto presente nel ricorso per sequestro conservativo in corso di causa, che le due eredi del maestro, la figlia C.M. e la moglie erano decedute, rispettivamente, il (OMISSIS) e il (OMISSIS).

Il mezzo è inammissibile.

Il ricorrente ha affermato di avere fatto valere il diritto di inedito ex art. 24 anche in relazione all’art. 12, comma 1, più che ex art. 20: ora a tacere dal diverso riferimento normativo (l’art. 20 si riferisce al diritto di far valere la paternità dell’opera), nel merito l’art. 24, comma 1, nella parte che qui interessa dispone: “Il diritto di pubblicare le opere inedite spetta agli eredi dell’autore o ai legatari delle opere stesse, salvo che l’autore abbia espressamente vietata la pubblicazione o l’abbia affidata ad altri…” e l’art, 12, al terzo comma, specifica che:” E’ considerata come prima pubblicazione la prima forma di esercizio del diritto di utilizzazione.”.

Ora, come dedotto dalla stessa parte, tutte le opere in relazione alle quali ha agito sono prodotte e commercializzate da tempo, da cui consegue l’infondatezza in radice della doglianza, rimanendo così assorbita ogni ultriore questione.

Conclusivamente, va respinto il ricorso.

Le spese del giudizio seguono la soccombenza.

PQM

 

La Corte respinge il ricorso; condanna il ricorrente alle spese, liquidate in Euro 8200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi; oltre spese forfettarie ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 21 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 18 agosto 2017

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