Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20185 del 18/08/2017


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Cassazione civile, sez. I, 18/08/2017, (ud. 04/04/2017, dep.18/08/2017),  n. 20185

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TIRELLI Francesco – Presidente –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – rel. Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 22650/2012 proposto da:

R.F., (c.f. (OMISSIS)), elettivamente domiciliato in Roma,

Via S. Alberto Magno n.9, presso l’avvocato Severini Gaetano, che lo

rappresenta e difende, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Ministero

dell’Economia e delle Finanze, in persona dei rispettivi Ministri

pro tempore, domiciliati in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato, che li rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 655/2012 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 09/06/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

04/04/2017 dal cons. VALITUTTI ANTONIO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale

SORRENTINO FEDERICO, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito, per il ricorrente, l’Avvocato Severini Gaetano che si riporta.

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

1. R.F. ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte d’appello di Torino n. 655/2012, depositata il 9 giugno 2012, con la quale il giudice di seconde cure – riformando la decisione n. 32/2010, emessa dal Tribunale di Catanzaro, che aveva accolto la domanda dell’istante di corresponsione di un indennizzo per l’interclusione della residua parte del fondo rimasta di sua proprietà, dopo l’espropriazione, disposta con Decreto Prefettizio 24 marzo 1972, della maggiore estensione di h. 34.96.20 di alcuni terreni siti in agro del Comune di (OMISSIS) – riteneva che, per il principio di onnicomprensività dell’indennità di espropriazione, applicabile anche quando si tratti di esproprio parziale, detta indennità coprisse tutti i pregiudizi derivanti dal procedimento ablatorio. Il ricorso è affidato a due motivi. I resistenti Ministero per i Beni e le Attività Culturali e Ministero dell’Economia e delle Finanze hanno replicato con controricorso.

2. Le censure sono infondate.

2.1. Deduce, anzitutto, il ricorrente che l’impugnata sentenza sarebbe affetta da nullità, per non essere stato integrato il contraddittorio, nel giudizio di appello, nei confronti della Sovrintendenza delle Antichità della Calabria, che era stata, invece, parte nel procedimento di primo grado. Senonchè va osservato, al riguardo, che la Sovrintendenza costituisce un’articolazione periferica del Ministero per i Beni e le Attività Culturali (cfr. C. St. 6513/2008; TAR Toscana, 1620/2012; TAR Lombardia, 538/1999), talchè la sua attività è riferibile a detto Ministero – parte del giudizio di secondo grado – in forza del rapporto organico. Per cui, essendo stato parte del processo di appello l’ente titolare del rapporto in contestazione, la dedotta nullità della decisione di appello non può ritenersi sussistente.

2.2. Il ricorrente lamenta, poi, che la Corte di Appello non abbia ritenuto di riconoscere all’istante ed ai suoi fratelli l’indennizzo per l’interclusione della residua parte del fondo dei R. – rimasta in loro proprietà dopo l’espropriazione, disposta con Decreto Prefettizio 24 marzo 1972, di h. 34.96.20 di terreno loro appartenuti – sul presupposto della ritenuta applicabilità, nella specie, pur trattandosi di esproprio parziale, del principio di onnicomprensività dell’indennità di espropriazione che, ad avviso della Corte territoriale, coprirebbe tutti i pregiudizi derivanti dal procedimento ablatorio, ivi compresa l’interclusione della restante parte del fondo e la perdita di accesso al medesimo. Tanto più che l’indennità di esproprio sarebbe stata accettata dagli espropriati con verbale di accordo bonario del 18 dicembre 1972.

2.2.1. Ritiene, per contro, l’istante che – pur non intendendo “negare l’esistenza del principio, di mera interpretazione giurisprudenziale, dell’onnicomprensività – siffatto principio non troverebbe applicazione nel caso di specie, non vertendosi in un’ipotesi di deprezzamento subito dalle porzioni immobiliari residue, rispetto a quelle oggetto dell’espropriazione, bensì di un caso in cui tali porzioni residue erano rimaste intercluse, per effetto del provvedimento ablatorio. La domanda attorea avrebbe, invero, avuto ad oggetto esclusivamente il danno subito per effetto della mancata concessione, da parte dell’Amministrazione espropriante, del passaggio coattivo sul fondo vicino, per la coltivazione della porzione di terreno rimasta in proprietà del R., per non avere costituito oggetto di ablazione.

2.2.2. La doglianza è infondata, atteso che – come correttamente osservato dalla Corte territoriale – il pregiudizio lamentato dall’odierno ricorrente, che non poteva vantare tout court un diritto al passaggio sui fondi limitrofi espropriati, ma solo alla costituzione coattiva di una servitù di passaggio su tali fondi, avrebbe potuto essere rimosso attraverso la costituzione di detta servitù, ai sensi dell’art. 1051 c.c. e ss.. La norma di cui all’art. 1054 c.c., sull’interclusione del fondo a seguito di alienazione a titolo oneroso o di divisione, trova, invero, applicazione anche nell’analoga ipotesi di interclusione derivante da espropriazione per pubblica utilità, sicchè il diritto di accesso senza corresponsione di indennità va fatto valere dal proprietario del fondo rimasto intercluso nei confronti dell’ente espropriante (Cass. 09/11/2009, n. 23707).

Ne deriva che il pregiudizio lamentato, di certo non riconducibile ad un illecito aquiliano della p.a., è sostanzialmente dipeso dalla mancata proposizione, da parte dell’espropriato, dell’azione per la costituzione coattiva della servitù di passaggio di cui agli artt. 1051 c.c. e ss..

3. Il ricorso va, pertanto, rigettato con condanna del soccombente alle spese del presente giudizio.

PQM

 

rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente, in favore dei controricorrenti, alle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 4 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 18 agosto 2017

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