Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20182 del 25/07/2019

Cassazione civile sez. un., 25/07/2019, (ud. 18/06/2019, dep. 25/07/2019), n.20182

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Primo Presidente f.f. –

Dott. MANNA Antonio – Presidente di Sezione –

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Consigliere –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sui ricorsi entrambi recanti il n. 7034/2019 proposti da:

PROCURATORE GENERALE DELLA REPUBBLICA PRESSO LA CORTE SUPREMA DI

CASSAZIONE, elettivamente domiciliato in ROMA, presso la CANCELLERIA

DELLA PROCURA GENERALE DELLA CORTE DI CASSAZIONE;

– ricorrente –

nonchè

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO;

– ricorrente successivo –

contro

D.G.P., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA APPENNINI

60, presso lo studio dell’avvocato CARMINE DI ZENZO, rappresentato e

difeso dall’avvocato GIANFRANCESCO IADECOLA;

– resistente –

avverso la sentenza n. 213/2018 del CONSIGLIO SUPERIORE DELLA

MAGISTRATURA, depositata il 20/12/2018;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

18/6/2019 dal Consigliere ALDO CARRATO;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. GAETA Pietro, che ha concluso per l’accoglimento del

ricorso ed annullamento della sentenza 213/18;

uditi gli avvocati Gianfrancesco Iadecola ed Emanuele Manzo per

l’Avvocatura Generale dello Stato.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il P.G. presso la Corte di cassazione promuoveva azione disciplinare nei confronti del Dott. D.G.P., sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Lecco, contestandogli l’illecito di cui al D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 1, comma 1, e art. 2, comma 1, lett. g), consistito nel non aver esercitato, nella fase delle indagini preliminari, il dovuto controllo sui termini di scadenza della misura cautelare degli arresti domiciliari così da procrastinare illegittimamente, nel procedimento n. 1701/2016 R.G. GIP, la liberazione di P.F., rimesso in libertà con 65 giorni di ritardo rispetto alla scadenza dei suddetti termini prescritti per legge in relazione all’ipotesi di reato contestate allo stesso P. nell’ordinanza applicativa della custodia cautelare emessa dal GIP presso il Tribunale di Lecco in data 11 dicembre 2015 ed eseguita nei confronti dell’indagato il 16 dicembre 2015.

La Sezione disciplinare del C.S.M., con sentenza n. 213/2018 (depositata il 20 dicembre 2018), assolveva l’incolpato dall’addebito ascrittogli per essere lo stesso rimasto escluso.

A fondamento dell’adottata decisione la suddetta Sezione disciplinare evidenziava, innanzitutto, come fosse rimasto accertato incontestabilmente in fatto che, una volta emessa dal GIP la misura cautelare degli arresti domiciliari, lo stesso GIP indicava nello scadenzario informatico un termine erroneo con riferimento alla scadenza del termine di custodia cautelare e che, essendo gli appositi registri informatici di entrambi gli uffici (ovvero della Procura della Repubblica e del GIP) comuni, doveva ritenersi che il Dott. D.G. avesse fatto affidamento sul termine così individuato.

Sulla base di ciò la Sezione disciplinare del C.S.M. riteneva che la violazione di legge di cui era stato incolpato il magistrato dell’Ufficio del P.M. dovesse ritenersi scusabile, siccome causata, non tanto da difetti organizzativi del suo Ufficio, bensì da un errore materiale dell’Ufficio GIP, poi ripreso dalla segreteria della Procura della Repubblica. L’organo disciplinare ravvisava, quindi, che nella fattispecie si fosse configurato un legittimo affidamento da parte del Dott. D.G. sulla esattezza della data indicata dal sistema informatico e delle informazioni fornite.

In sostanza, dunque, pur incombendo certamente sul Dott. D.G. quale titolare delle indagini a carico del P.F. – l’obbligo di vigilare sulla legittima durata della misura cautelare applicata al suddetto indagato, lo stesso magistrato – avendo riguardo a tutte le concrete circostanze del caso – aveva commesso un errore scusabile, confidando ragionevolmente sul normale e regolare svolgimento di compiti propri del personale di cancelleria e del colleghi dell’Ufficio GIP.

Avverso la sentenza in discorso della Sezione disciplinare del C.S.M. hanno proposto – ai sensi del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 24, – distinti ricorsi alle Sezioni unite di questa Corte il Ministero della Giustizia (basato su un solo motivo) e il P.G. presso la Corte di cassazione (affidato a due motivi).

Il Dott. D.G. non risulta essersi costituito con controricorso, ma il suo difensore ha depositato, in data 27 maggio 2019, memoria ai sensi dell’art. 611 c.p.p..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo avanzato il Ministero della Giustizia ha denunciato la violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), per inosservanza od erronea applicazione del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 2, comma 1, lett. g), e art. 3 bis, nonchè la violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. d), per insufficienza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione risultante dalla impugnata sentenza.

A sostegno dell’articolata censura il ricorrente Ministero ha dedotto come, nel caso di specie, si dovessero ritenere insussistenti quelle eccezionali condizioni in presenza delle quali può ritenersi mitigato il rigore del dovere di vigilanza preteso dal magistrato e che consentano di valutare la concreta fattispecie in termini di scarsa rilevanza, ai sensi del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 3 bis, ovvero, in chiave di scusabilità della negligenza, in relazione all’art. 2, comma 1, lett. g), dello stesso D.Lgs., e ciò avuto riguardo al grave ritardo con il quale era stata disposta la liberazione dell’indagato sottoposto alla misura cautelare degli arresti domiciliari, ove era rimasto ristretto per ben 65 giorni oltre il termine di scadenza massima prevista per legge.

A tal proposito il ricorrente Ministero pone in risalto come l’erronea indicazione della scadenza del termine di fase risultante dal sistema informatico dell’ufficio GIP-GUP del Tribunale, nella cartella condivisa “Procura-Gip”, successivamente riportata negli scadenzari informatico e cartaceo della Procura della Repubblica, assunta dal Dott. D.G., quale P.M., come “scriminante”, non lo esimeva dal dovere di controllare l’esatta scadenza del termine, nonchè, quotidianamente, da quello di verificare la posizione degli indagati in regime di custodia cautelare.

2. Con il primo formulato motivo il Procuratore Generale presso questa Corte ha dedotto la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 1, comma 1, e art. 2, comma 1, lett. g), in relazione all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b).

A fondamento di tale censura il P.G. ha denunciato l’illegittimità della decisione impugnata, poichè, nel caso di specie, avrebbe dovuto ritenersi pienamente integrata la fattispecie disciplinare contestata nei richiamati termini al Dott. D.G., essendo egli incorso nella negligente condotta consistita nell’aver omesso il necessario controllo sulla scadenza del termine di custodia cautelare, provvedendo tempestivamente alla revoca della stessa, non potendo sortire alcuna efficacia esimente nè la disorganizzazione dell’ufficio nè alcun’altra disfunzione delle segreterie o cancellerie degli uffici giudiziari, dovendo il magistrato controllare anche il rispetto della correttezza degli adempimenti esecutivi della propria segreteria o cancelleria e ciò, in particolar modo, in relazione all’assolvimento del penetrante obbligo di vigilare diuturnamente sul rispetto del diritto fondamentale alla libertà personale del soggetto sottoposto ad indagini o imputato in capo al magistrato assegnatario del procedimento.

2.1. Con il secondo motivo il ricorrente P.G. ha denunciato la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, risultando il vizio dal testo del provvedimento impugnato, nonchè dal contenuto della relazione ispettiva e dai precedenti disciplinari dell’incolpato, in relazione all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), avuto, in particolare, riguardo all’omessa valutazione – in funzione della possibile scusabilità dell’errore commesso dal Dott. D.G. dell’insussistenza di alcun profilo di criticità presso il suo ufficio di appartenenza (risultando, al momento del fatto, a pieno organico) e al richiamo di un precedente disciplinare specifico a carico dell’incolpato, siccome già sanzionato (mediante la sentenza n. 11/2015 della Sezione disciplinare del C.S.M.) con la censura per due episodi di tardiva scarcerazione.

3. Rileva il collegio che i due ricorsi, i cui motivi sono essenzialmente basati sulle medesime argomentazioni critiche dell’impugnata sentenza della Sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura n. 231/2018 emessa nei confronti del Dott. D.G.P., possono essere trattati congiuntamente.

Le censure, così come complessivamente svolte dai ricorrenti, sono fondate e, perciò, meritano accoglimento, dovendosi escludere, nel caso di specie, la sussistenza dell’errore scusabile ravvisato con l’impugnata sentenza in favore del Dott. D.G., alla stregua della univoca giurisprudenza di queste Sezioni unite, che si è specificamente occupata anche di fattispecie disciplinari simili.

Per come emergente dallo svolgimento in fatto della vicenda disciplinare e dallo stesso contenuto della sentenza oggetto del ricorso deve ritenersi incontestatamente accertato, nella sua configurazione oggettiva, la sussistenza della condotta concretamente ascritta al Dott. D.G. (ed invero nemmeno contestata dalla sua difesa sotto questo profilo), ritenuta dal P.G. procedente di questa Corte tale da concretare l’illecito disciplinare di cui al D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 1,comma 1, e art. 2, comma 1, lett. g), nei dettagliati termini già precedentemente riportati.

I due ricorrenti, sulla base di tale pacifica premessa fattuale, contestano la conformità a diritto dell’impugnata sentenza, con la quale si è ritenuto di escludere la sussistenza – sul piano giuridico – dell’illecito con riferimento all’elemento psicologico, sul presupposto della configurabilità di un errore scusabile nella condotta del Dott. D.G. (nell’esercizio delle sue funzioni di Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Lecco), siccome riconducibile ad un errore materiale dell’Ufficio GIP in ordine alla predisposizione del relativo scadenzario dei termini di custodia riferiti ai soggetti indagati, ripercossosi anche sulla correlata organizzazione dei registri informatici dell’Ufficio del P.M. e, quindi, come tale, idoneo ad ingenerare un legittimo affidamento in capo al Dott. D.G. sulla esattezza della data di scadenza del termine di custodia di fase nei confronti dell’indagato P.F., del cui procedimento in sede di indagini preliminari egli era titolare.

La motivazione dell’impugnata sentenza è errata in punto di diritto e, all’evidenza, illogica e contraddittoria sul piano motivazionale, cogliendo nel segno le censure proposte da entrambi i ricorrenti avuto riguardo sia alla denunciata violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 109 del 2006, artt. 1, comma 1, e art. 2, comma 1, lett. g), (con riferimento all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b)) che – per l’appunto – al prospettato vizio di mancanza, contraddittorietà e (in particolare) manifesta illogicità del percorso logico-giuridico adottato dalla Sezione disciplinare del C.S.M. (in relazione all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e)).

E’ – come si detto – incontroverso, nel caso di specie, che quando è avvenuta la scadenza dei termini di custodia il processo si trovava in fase di indagini preliminari presso il pubblico ministero (nella persona del Dott. D.G.) e che la mancata rimessione in libertà del suddetto indagato è stata ritenuta imputabile – con l’impugnata sentenza – ad una errata annotazione sull’apposita scheda redatta dal GIP del termine di durata della custodia cautelare.

In relazione a siffatte circostanze, queste Sezioni Unite hanno chiarito – con riferimento a fattispecie analoghe – che l’illecito disciplinare di cui trattasi deve essere contestato al P.M. titolare delle indagini preliminari. In proposito si è, infatti, messo in risalto che – secondo quanto si desume dall’art. 328 c.p.p., comma 1, – il ruolo del GIP nella fase pre-processuale è subordinato al duplice limite dei “casi previsti dalla legge” e della “richiesta di parte”, non essendo egli nelle condizioni, anche quando ha emesso la misura cautelare della custodia in carcere, di poter individuare, successivamente all’esecuzione della misura ed all’espletamento dell’interrogatorio di garanzia, il relativo termine di scadenza, non avendo egli l’esatta cognizione dello sviluppo del procedimento. In altri termini, nell’indicata fase processuale, il GIP, organo di garanzia “ad acta”, è destinato ad intervenire solo incidentalmente, (v. Corte Cost. n. 89 del 1998 nonchè l’art. 279 c.p.p., e art. 91 disp. att. c.p.p.) su impulso del P.M. che procede o dell’indagato, ma la gestione della posizione di quest’ultimo – qualora sia stato sottoposto ad una misura custodiale – appartiene al P.M., quale soggetto processuale a conoscenza dell’evoluzione delle indagini. Da ciò consegue che è su di lui che ricade il dovere di attivarsi per assicurare il rispetto dei termini massimi di custodia ed evitare, così, illegittime compressioni della libertà personale dell’indagato (cfr., ad es., Cass. SU n. 3021/2015, n. 5686/2015, n. 24135/2018 e, da ultimo, n. 17120/2019).

Sulla base di tale presupposto di ordine sistematico è del tutto consequenziale ritenere che era sul Dott. D.G. (quale titolare delle indagini dell’indagato sottoposto alla misura degli arresti domiciliari) che incombeva il suddetto dovere, poichè – per giurisprudenza consolidata di queste Sezioni unite (cfr., ex multis e tra le più recenti, sentenze nn. 8896/2017 e 4887/2019) – risponde dell’illecito disciplinare di cui al D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 1, e art. 2, comma 1, lett. g), il magistrato che, con violazione dei doveri di diligenza e con grave violazione di legge determinata da ignoranza o negligenza inescusabile, ometta di effettuare il doveroso controllo sulla scadenza del termine di durata della custodia cautelare. A ciò si è anche aggiunto che non rileva la circostanza che l’indagato si trovi agli arresti domiciliari, atteso che tale misura costituisce, comunque, una privazione della libertà personale equivalente alla custodia cautelare in carcere ex art. 284 c.p.p., comma 5, (risultando, altresì, del tutto ininfluenti sia la mancata richiesta di una riparazione per l’ingiusta detenzione da parte dell’imputato, sia la circostanza, di mero fatto, che l’episodio non abbia avuto alcuna risonanza pubblica attraverso i mezzi di comunicazione di massa).

E’ stato anche, più puntualmente, affermato (v., ad es., SU n. 507/2011 e n. 18191/2013), che il magistrato (nel caso in esame il P.M. che procede alle indagini preliminari che ancora non si siano concluse) ha l’obbligo di vigilare diuturnamente circa la persistenza delle condizioni, anche temporali, cui la legge subordina la privazione della libertà personale di chi è sottoposto ad indagini; pertanto, integra grave violazione di legge determinata da negligenza inescusabile – illecito disciplinare punito dal D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 2, comma 1, lett. g), – il comportamento del magistrato che abbia scarcerato un indagato con notevole ritardo (nel caso che qui viene in rilievo, 65 giorni) rispetto al momento in cui erano decorsi i termini di custodia cautelare (agli arresti domiciliari), senza che possa assumere rilevanza giustificante che il fatto sia ascrivibile ad una mera dimenticanza di trascrizione della data di scadenza dei termini nello scadenzario personale, o che il giudice sia stato sottoposto, in quello stesso periodo, ad un gravoso carico di lavoro e vi abbia fatto fronte, dimostrando notevole produttività, nonostante la sussistenza di difficoltà familiari e personali, non versandosi in una delle ipotesi di assoluta inesigibilità o di sussistenza di causa eccezionale impeditive dell’osservanza del suddetto specifico dovere prescritto per garantire il rispetto del diritto assoluto della libertà personale dell’indagato.

Quindi, nessuna causa riconducibile ad una di queste ultime situazioni eccezionali poteva – diversamente da quanto rilevato nell’impugnata sentenza – ritenersi sussistente al fine di giustificare la condotta tenuta dal Dott. D.G. (appartenente, peraltro, ad un Ufficio di Procura che non presentava particolari criticità e risultava ad organico pieno) nella gestione della posizione dell’indagato P.F., posto che egli non avrebbe potuto nè dovuto “appiattirsi” sulle risultanze dello scadenzario informatico predisposto dall’Ufficio GIP ai fini del computo dei termini di custodia cautelare. Egli aveva, infatti, un preciso ed inderogabile obbligo – proprio per effetto della necessaria osservanza del dovere specifico poc’anzi puntualizzato – di seguire in modo diretto ed autonomo la sequenza dello svolgimento dei termini di custodia applicabili ai soggetti dallo stesso indagati e, quindi, evitare di determinarne l’illegittimo (eventuale) superamento, evenienza che ha – nel caso di specie – concretato una sua gravissima negligenza tale da configurare gli estremi della violazione disciplinare correttamente e legittimamente attribuitagli nella vicenda qui esaminata.

Non poteva, quindi, essere ravvisata – sul piano logico e giuridico nella condotta del Dott. D.G. una scusabilità della relativa violazione di legge asserendo che essa era stata indotta da un affidamento incolpevole ritenuto – ma irragionevolmente dalla Sezione disciplinare del C.S.M., oltre che in senso contrario alla lettera e alla ratio del precetto disciplinare violato e alla salvaguardia dell’interesse pubblico dal medesimo tutelato – generato dall’erronea indicazione della scadenza del termine di fase nel sistema informatico dell’ufficio GIP-GUP del Tribunale nella cartella condivisa “Procura-Gip”, successivamente riportata negli scadenzari informatico e cartaceo della Procura della Repubblica, dal momento che – come più volte rimarcato – il Dott. D.G. non poteva esimersi dal dovere di controllare l’esatta scadenza del termine nonchè, diuturnamente, la posizione dell’indagato in regime di custodia cautelare.

4. In definitiva, alla stregua delle illustrate complessive argomentazioni, consegue l’accoglimento di entrambi i ricorsi, con la derivante cassazione dell’impugnata sentenza ed il rinvio alla Sezione disciplinare del C.S.M., in diversa composizione, che si atterrà al principio di diritto secondo cui “integra grave violazione di legge determinata da negligenza inescusabile – e, come tale, idonea a determinare la configurazione dell’illecito disciplinare sanzionato dal D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 1, comma 1, e art. 2, comma 1, lett. g), – il comportamento del P.M. che abbia disposto la rimessione in libertà di un indagato sottoposto a misura custodiale con notevole ritardo (nel caso di specie, 65 giorni) rispetto al momento in cui erano decorsi i termini di custodia cautelare (anche se agli arresti domiciliari) relativi alla fase delle indagini preliminari, senza che possa assumere rilevanza, in termine di scusabilità della condotta, l’erronea indicazione della scadenza del termine di fase nel sistema informatico dell’ufficio GIP-GUP del Tribunale nella cartella condivisa Procura-Gip, successivamente riportata negli scadenzari informatico e cartaceo della Procura della Repubblica, posto che il P.M., titolare delle indagini, non può in alcun modo sottrarsi al dovere di controllare l’esatta scadenza del termine nonchè, diuturnamente, di verificare la posizione dell’indagato in regime di custodia cautelare”.

All’accoglimento del ricorso proposto dal Ministero della Giustizia consegue – ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 3, (tenendo conto anche della natura del rito applicabile in sede di rinvio) – la condanna del soccombente Dott. D.G. al pagamento delle relative competenze del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nei sensi di cui in dispositivo.

PQM

La Corte di cassazione, a Sezioni Unite, accoglie entrambi i ricorsi, cassa l’impugnata sentenza e rinvia alla Sezione disciplinare del C.S.M., in diversa composizione.

Condanna il resistente Dott. D.G.P. al pagamento dei compensi, in favore del ricorrente Ministero della Giustizia, che si liquidano in Euro 4000,00, oltre eventuali spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio delle Sezioni Unite, il 18 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 25 luglio 2019

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